A Bologna, la retorica della destra

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Una Meloni veemente, un Berlusconi che alterna momenti di ritorno agli antichi fulgori e momenti appannati, un Salvini apostolo del pane e salame. La retorica della destra si confronta in Piazza Maggiore a Bologna. La kermesse della Lega di oggi è l’occasione per ascoltare la carrellata di discorsi di Fratelli d’Italia-Forza Italia-Lega.
Giorgia Meloni parla per prima. Paragona Renzi e Alfano a Stanlio e Ollio, tanto per chiarire il registro scelto. La strategia della “reductio” non si limita a questo paragone. Il governo Renzi viene definito “marionette piazzate lì da Frau Merkel”.
Nell’oratoria della Meloni, non mancano le “false dicotomie”, argomentazioni che costringono il ragionamento in una cornice banalizzante che conduce forzatamente verso un bipolarismo irriducibile, anche se, nella realtà, questo bipolarismo non è necessariamente esistente. Questo modo di ragionare impone scelte tra scenari alternativi, anche quando non è necessario o giusto operare scelte simili. È la filosofia del “O con me o contro di me”, alla quale si può sempre rispondere “né con te, né contro di te”, proponendo una terza via.
Giorgia Meloni propone una serie di scelte forzate: la scelta obbligata tra la vita dei piccoli migranti e dei piccoli italiani (come si fa a scegliere? sono sempre bambini); la scelta obbligata tra l’aiuto ai poveri stranieri e ai poveri italiani (anche qui: come si può scegliere?).
“[Quelli della Sinistra] Piangono per un bambino massacrato sulla spiaggia ma se ne fregano dei bambini cristiani massacrati dal fondamentalismo islamico.”
“[I radical chic] hanno sempre qualcosa da dare ai poveri del globo terraqueo, non a quelli che vivono a casa loro”.
Silvio Berlusconi gli dà giù con il marketing. Il ragionamento è basato sui numeri: se la Lega, Fratelli d’Italia e Forza Italia si mettono insieme possono battere il Pd di Renzi e il M5S di Grillo.
“Con noi uniti in campo non ci sarà più alcuna possibilità di vittoria per il Pd e il suo mai eletto presidente del Consiglio.”
Non manca un classico berlusconiano: l’argomentazione della vittima. L’agnus dei è costretto a scendere in politica per salvare il Paese, malgrado il parere contrario di amici, parenti e collaboratori.
“Sono qui perché ha vinto il mio senso di responsabilità […]. In me è forte quel senso dello Stato che mi ha imposto e mi impone oggi di essere ancora in campo per salvare l’Italia da un destino confuso e negativo.”
Il nemico da battere è Beppe Grillo, paragonato a Hitler con una “reductio ad Hilterum”. Anche detta fallacia di Leo Strauss, è una strategia di delegittimazione che consiste nel paragonare gli atteggiamenti del proprio avversario a quelli di un personaggio riconosciuto universalmente come negativo.
“In Grillo molti passaggi sono identici a quelli del signor Hitler.”
L’antico smalto berlusconiano, porta il leader di Forza Italia a un’enumerazione. Un elenco di tre punti che poi, però, perde la chiarezza tipica della trinità argomentativa a causa di una raffica di sottopunti.
“I punti del programma sono tre meno e tre più. Meno tasse, meno Stato, meno Europa. Più aiuto a chi ha bisogno, più garanzie per ciascuno di noi, più sicurezza per tutti.”
Berlusconi va oltre il tempo previsto per il suo intervento, con una mitragliata di domande retoriche, che però rischiano di superare il confine della più feroce banalità.
“Siete d’accordo sull’abbassare le tasse alla famiglia, alle imprese alle partite iva?”
“Siete d’accordo sull’eliminare la tassa sulla prima casa?”
“Siete d’accordo sull’eliminare l’imposta di successione?”
“Siete d’accordo di eliminare l’imposta sui fabbricati e sui terreni agricoli?”
“Siete d’accordo sulla chiusura di quella piovra cattiva che si chiama Equitalia?”
“Siete d’accordo che le persone anziane non possono avere una pensione al di sotto dei mille euro?”
“Siete d’accordo che le nostre mamme abbiano diritto a una pensione?”
In puro stile marketing, conclude con un invito all’azione: “Scrivete su un foglio bianco il nome di vostri amici e parenti che non sono andati a votare e convinceteli”.
Matteo Salvini ricorda Ermes Mattielli, il commerciante – recentemente stroncato da un infarto – che aveva ferito due nomadi scoperti a rubare nel suo deposito.
Il momento più rilevante del discorso di Salvini è la proposta di dare il voto ai ragazzi di 16-17 anni.
“Diamo il diritto di voto ai ragazzi di 16 e 17 anni, altro che ius soli.”
Più di Giorgia Meloni, è Salvini a meritare il titolo di “re della falsa dicotomia”. Se ne serve anche a Bologna.
“I ragazzi italiani vanno fuori e ci riempiamo di immigrati che rompono le scatole dalla mattina alla sera.”
“Uno Stato che dà 500 euro al mese a un invalido totale e 1500 al primo [??] che non scappa da nessuna guerra.”
“[Quelli della Sinistra] aiutano chi sta lontano e si dimenticano del pensionato che sta nel loro pianerottolo.”
Per concludere con un prosaico “Se non ti va bene pane e salame torna a casa tua.”
Salvini nobilita il suo discorso citando Salvemini (“non un leghista brutto e cattivo”) ed Einaudi: “Via i prefetti, dove ci sono i prefetti non c’è democrazia”. Lo rende veemente dando del cretino ad Alfano: “Occupati dei poliziotti ed espelli qualche clandestino se ne sei capace, cretino che non sei altro”. Gli conferisce un’iniezione pop, appoggiando la causa di Valentino Rossi: “spero possa superare le invidie e le infamie altrui”.
L’argomentazione dell’invidia degli altri funziona sempre.
Flavia Trupia