Andrea Granelli intervista Alberto Cairo, il mago delle infografiche: immagini della retorica, retorica delle immagini: Comprendere attraverso immagini, Adv, maggio 2015.
Alberto Cairo è un giornalista spagnolo, consulente ed educatore nel campo della visualizzazione dei dati, esperto sul tema delle infografiche, e autore del libro “L’arte funzionale. Infografica e visualizzazione delle informazioni”. Attualmente è professore di Information Graphics and Visualization presso l’Università di Miami, ed è titolare di corsi presso le Università online di North Carolina-Chapel Hill, e Oberta, in Catalogna (Spagna).
Secondo lei, da cosa nasce la “moda” delle infografiche?
Uno degli elementi trainanti risiede nell’attenzione che le infografiche sono in grado di suscitare nei social media, come hanno del resto intuito i professionisti del marketing: condividere un’infografica su Twitter, per esempio, genera alti tassi di engagement, ed è una delle ragioni principali per cui sono tanto utilizzate negli ultimi tempi. In molti casi, tuttavia, quei contenuti non sono vere e proprie infografiche, perché molto sbilanciate sulla componente “grafica”, a discapito di quella “info”. Pur essendo rappresentazioni semplicistiche della realtà – e in questo senso la tendenza è preoccupante – hanno contribuito a creare grande interesse intorno al tema della visualizzazione del dato come strumento di comunicazione in settori come il giornalismo, con risvolti – dal mio punto di vista – ben più entusiasmanti. Ho poi l’impressione che strumenti sempre più semplici e flessibili – che permettono di costruire infografiche efficaci con il minimo sforzo – stiano dando luogo a una democratizzazione nell’ambito della rappresentazione del dato, estendendo ai non professionisti la possibilità di costruire visualizzazioni di successo.
Nei suoi libri affronta il tema della comunicazione efficace nel progettare un’infografica. Quali sono i tre aspetti più importanti ?
Il primo aspetto da considerare è la qualità delle informazioni utilizzate: non si tratta solo di individuare i dati corretti (getting the right information), ma anche di interpretarli nella maniera giusta per evitare fraintendimenti (getting the information right). È utile ricordarlo, nonostante l’apparente ovvietà, alla luce della facilità con cui i dati possono trarre in inganno anche il più fine analista. Occorre analizzarli con cautela, ricorrendo a fonti originali e pareri esperti sui fenomeni che si intende analizzare, e solo dopo pensare alla grafica. Il secondo aspetto riguarda l’adeguatezza delle forme utilizzate alle tipologie di analisi che si intende facilitare. Una mappa, per esempio, è molto meno adatta di un diagramma a barre per il confronto accurato di dati quantitativi, ma è perfetta per la rappresentazione di pattern transitori e informazioni geografiche. Questo tipo di ragionamento è quasi del tutto assente nella progettazione delle infografiche che vediamo di questi tempi: un approccio critico che permetta di costruire rappresentazioni più efficaci, basato sulle cose che sappiamo del modo in cui gli umani elaborano le informazioni visive. Nonostante i meccanismi alla base della cognizione umana ci siano noti solo in parte, quel che sappiamo può essere molto utile per costruire rappresentazioni migliori. Gli esseri umani, per esempio, sono piuttosto efficaci nel confrontare visivamente oggetti monodimensionali (i.e. lunghezze, spessori, …), ma sono molto meno abili con oggetti multidimensionali (i.e. aree). Il terzo aspetto è l’appeal visivo. Le visualizzazioni offerte agli utenti devono essere belle e attirare l’attenzione: tipografia, colore, composizione, distribuzione degli spazi bianchi, interfaccia (nelle infografiche interattive), sono tutti elementi importanti.
Dagli esempi che lei cita sembra quasi che ci sia una “corrente latina” – spagnola e latino-americana – particolarmente esperta e innovativa su questo tema; è un’osservazione corretta?
Non parlerei di “corrente latina”, sebbene sia innegabile l’esistenza di una comunità vitale e coesa in paesi come la Spagna e l’Italia (per ragioni che non mi sono ancora ben chiare). Ma non vedo “correnti” vere e proprie: ciascuno di noi differisce per approccio, stile e specializzazione.
Ci sono differenze culturali che influenzano la lettura delle infografiche che i progettisti devono tenere presente?
Il punto è controverso: nell’ambito delle ricerche sulla visualizzazione del dato sono emerse alcune evidenze sulle differenze – per esempio – nella percezione del colore in culture diverse, ed è un elemento che non può essere ignorato. La mia opinione personale – magari completamente errata – tuttavia, è che tutti gli esseri umani condividano alcuni elementi di base nel modo di elaborare le informazioni visuali. Credo si possa parlare di veri e propri “universali” cognitivi: se si intende invitare al confronto tra dati quantitativi, è preferibile evitare di usare aree per rappresentarli.
La retorica antica parlava di stili. Nel suo libro lei descrive 10 profili di grandi progettisti di infografiche. Potremmo definire dei veri e propri stili retorico/narrativi?
Certamente. Possiamo individuare vere e proprie “scuole” nella progettazione di infografiche: approcci differenti che dipendono da obiettivi e ambiti di applicazione. Ci sono progettisti che vedono la creazione di infografiche come attività artistica, maggiormente focalizzati sull’appeal estetico. In ambito finanziario, viceversa, precisione e accuratezza della rappresentazione sono più importanti delle “infiocchettature” e della piacevolezza estetica. Credo però che alla fine l’obiettivo comune sia quello di informare il pubblico nel miglior modo possibile: dare loro le informazioni di cui necessitano per condurre vite migliori, nella forma più chiara e comprensibile.
La capacità di leggere (e produrre) infografiche dovrebbe entrare maggiormente nel mondo delle imprese. La sensazione è che siamo ancora agli inizi. Come diffondere maggiormente il tema nelle aziende?
Non solo fra le imprese: a mio parere è una capacità che dovremmo avere tutti. In un libro del cartografo Mark Monmonier sono elencate le competenze che un individuo ben istruito dovrebbe possedere: tradizionalmente, la competenza principale è considerata la lettura, ma Monmonier si spinge più avanti nel descriverne altre. L’articolazione verbale – la capacità di esprimersi correttamente usando le parole – ma anche la competenza numerica, una capacità spesso dimenticata, ma sempre più importante per affrontare il mondo moderno. E infine la capacità grafica: saper descrivere realtà, concetti e idee attraverso rappresentazioni visive assume particolare rilevanza nella descrizione di fenomeni complessi, poiché in molti casi la codifica di dati attraverso mappe e diagrammi è l’unico modo per esplorarne i dettagli. Tale competenza dovrebbe essere oggetto di insegnamento nelle scuole (elementari e medie), con un grado di approfondimento molto maggiore di quello attuale: le scuole si limitano a insegnare come leggere diagrammi e grafici a barre, ma vi sono moltissime altre forme di rappresentazione potenzialmente molto utili. La scienza, del resto, ha abbracciato da tempo questo approccio: in campi come le neuroscienze e la biologia, le visualizzazioni sono strumenti di lavoro molto importanti per la comprensione delle grandissime quantità di dati con cui gli scienziati hanno a che fare ogni giorno.