Megafono come simbolo di comunicazione efficace
Comunicazione efficace: cos’è e come funziona

La retorica ci aiuta a comunicare in modo efficace

La comunicazione è molto più di un semplice scambio di informazioni. Comunicare significa infatti ottenere un risultato persuasivo. Molti pensano che comunicatori si nasca. Non è vero: comunicatori si diventa, grazie all’arte della retorica, strumento indispensabile per imparare a comunicare meglio. In questo articolo cerchiamo di raccontare quali sono le caratteristiche della comunicazione efficace e di chiarire quali sono le tecniche per diventare comunicatori migliori.

telefono con filo come metafora di comunicazione efficace

Perché è importante comunicare efficacemente?

La risposta è semplice. Perché altrimenti si destinano alla sconfitta i migliori progetti e le migliori intenzioni. Inoltre, possiamo dire banalmente che la comunicazione efficace facilita le relazioni, i processi e le azioni. Ad esempio, all’interno dell’ambiente di lavoro, migliora la produttività, facendo risparmiare il tempo che verrebbe sprecato nel “mettere una pezza” a incomprensioni e fraintendimenti. 

Comunicazione efficace: cos’è? Una definizione

Dare una definizione di comunicazione efficace è semplice. Quello che è difficile è metterla in pratica. Cominciamo con il dire che, per comunicare in modo efficace, non basta soltanto esprimersi in maniera chiara e coerente o mettere a parte chi ci ascolta su quale sia il nostro stato d’animo. Comunicare in modo efficace significa piuttosto cambiare i comportamenti e le opinioni del ricevente o, in alcuni casi, per lo meno insinuare un dubbio che possa mettere in discussioni idee precostituite. Non a caso, la retorica viene definita come l’arte della persuasione. Questa definizione ci fa capire come chi comunica abbia una grande responsabilità e come l’etica giochi un ruolo chiave. L’emittente, infatti, deve essere consapevole dell’effetto che possono avere i suoi atti comunicativi. Allo stesso modo, il fruitore deve conoscere le strategie di comunicazione per non farsi manipolare. In questo articolo parleremo della comunicazione dalla parte dell’emittente. In articoli futuri affronteremo invece la comunicazione dal punto di vista del ricevente.

Iniziamo subito col dire che comunicare bene non significa parlare a macchinetta e inondare gli altri con il fiume in piena delle nostre parole. Molti tra coloro che adottano questa tecnica ritengono di essere grandi comunicatori, ma non lo sono affatto. Qualcuno ricorda quello che hanno detto? Qualcuno ha cambiato comportamenti e opinioni dopo che li ha ascoltati? Di solito no.
Questi personaggi appartengono alla categoria dei “ciao, come sto?”. Sono individui autoreferenziali, che si beano del proprio dire, senza preoccuparsi minimamente di chi hanno di fronte. La domanda che dovrebbero porsi è: sto ottenendo un risultato? La comunicazione efficace ha poco a che fare con il parlare senza sosta, ma molto di più con il raggiungimento dello scopo che il comunicatore si è prefissato. Quindi il primo suggerimento che possiamo dare per raggiungere una comunicazione efficace è di organizzare il dire, pensando a quali sono gli obiettivi che vogliamo raggiungere. Sembra una banalità, ma non lo è. Molti di quelli che ritengono di essere grandi comunicatori, parlano e basta. Ma non hanno in mente un risultato da raggiungere. C’è da dire che a volte l’ottengono lo stesso, semplicemente grazie alla tecnica dello sfinimento del ricevente. Ma, di solito, funziona una volta sola. La successiva il destinatario cercherà di cambiare strada.

Leggi anche: Comunicazione efficace: tecniche e strategie

Come funziona?

La comunicazione, più o meno efficace, viene veicolata attraverso tre canali:

Si è diffusa l’idea che la comunicazione efficace passi soprattutto dal canale non-verbale e da quello paraverbale, mentre le parole ricoprano un’importanza secondaria. La teoria che molti amano è che conta come lo dici, non cosa dici. A supporto di questa affermazione, da decenni gira nelle aule della formazione manageriale una statistica che lascia perplessi: “noi comunichiamo per il 7% con le parole, per il 38% con il modo di dirle e per il 55% con le espressioni del volto e del corpo”.

A naso si capisce che è una bufala e che questi numeri sono semplicemente usati a sproposito, fuori dal loro contesto originario. Innanzitutto, chi li cita fa raramente riferimento alla fonte, al campione o all’anno di rilevazione. Poi, appare incredibile che il dato statistico rimanga identico con il passare dei decenni. Ci soccorre anche il buon senso: perché, se le parole sono così poco importanti, siamo in grado di ricordare per anni cosa ha detto questo o quel personaggio? O ancora, perché, anche se non ricordiamo le parole, spesso abbiamo una netta percezione di come ci hanno fatto sentire? E, infine, perché gli oratori di tutti i tempi sarebbero impazziti a cercare le argomentazioni più persuasive? Qualcuno sarebbe dovuto andare da Martin Luther King e dirgli: “ehi, lo sai che quella storia del sogno non se la ricorderà mai nessuno?”. La verità è che la statistica del 7-38-55 è stata sempre citata a vanvera. Lo stesso autore della ricerca, lo psicologo statunitense Albert Mehrabian, ha espresso il suo profondo disagio per lo stravolgimento subito da suo studio.

Chiarito questo aspetto, possiamo dire che, oltre a scegliere le parole, dobbiamo concentrarci su come le diciamo. Per quanto riguarda il non verbale, nella comunicazione interpersonale, dobbiamo cercare di governare le espressioni del viso. Se vogliamo ben disporre il nostro interlocutore, è opportuno ricordare che il sorriso aiuta a rilassare chi ci ascolta. Usiamo gli occhi per mantenere un contatto visivo con il ricevente del messaggio, ma con una certa grazia. Il nostro sguardo non deve essere accusatorio, invadente, indagatorio o giudicante e non deve indurlo a entrare in ansia (a meno che non sia esattamente questo il nostro intento!). Quando gesticoliamo, cerchiamo di farlo in modo organico, cioè con il fine di sottolineare quello che diciamo e non con una frenesia che tradisce uno stato di agitazione. Avviciniamoci al nostro interlocutore ma, se vediamo che si allontana, rispettiamo quella che per lui o lei è una no fly zone.

Per quanto riguarda il linguaggio paraverbale, invece, il consiglio più valido che possiamo dare è di fare delle pause. Spesso un oratore viene considerato poco autorevole solo perché parla senza sosta. Le parole devono essere incastonate tra i silenzi e dobbiamo darci il tempo di respirare. Coloro che quando parlano entrano in uno stato di quasi apnea, sembrano insicuri o arroganti, spesso facce della stessa medaglia. È anche fondamentale gestire il tono di voce. C’è chi urla e non si rende conto di stordire chi lo ascolta, e chi sussurra e mette in difficoltà gli interlocutori, costretti a chiedere di ripetere o a fare finta di aver capito. E molti, dopo qualche tentativo, scelgono la seconda soluzione.

due persone stringono la mano per concludere negoziazione di successo grazie alla comunicazione efficace

Gli ostacoli alla comunicazione efficace

Cosa ci impedisce di comunicare efficacemente? Spesso c’è qualcosa che va storto, portando a fraintendimenti e conflitti.

Possono essere diversi gli ostacoli che non ci permettono di mettere in atto una comunicazione efficace. Ne citiamo tre a titolo di esempio.

  • Mancanza di chiarezza sull’obiettivo che vogliamo ottenere. Se non abbiamo chiaro l’obiettivo, non siamo neanche in grado di pianificare le argomentazioni a supporto del nostro ragionamento e procediamo in modo casuale, “vomitando” le nostre emozioni senza organizzare una strategia. Parliamo dei nostri problemi, senza minimamente prendere in considerazione il punto di vista altrui.
  • Stress e scarso controllo del corpo. Veniamo sopraffatti e letteralmente ignoriamo cosa fa il nostro corpo. Non dominiamo lo sguardo, la postura, i gesti. Possiamo quindi risultare aggressivi perché guardiamo il nostro interlocutore in modo insistente o perché “gli stiamo troppo addosso”, invadendo il suo spazio, o perché stiamo con le braccia conserte o le mani nascoste dalle maniche del maglione e sembriamo distaccati o insicuri.
  • Mancanza di attenzione nei confronti dell’altro. Un atteggiamento tipico dei “ciao, come sto” di cui sopra. Ti fanno una domanda e non ascoltano la risposta. Glielo leggi nello sguardo e nella postura.

Espressioni da evitare

Ci sono espressioni che compromettono una buona comunicazione. Sono apparentemente innocue, ma possono risultare aggressive. Qualche esempio:

  • È buon senso che… È un tentativo di imporre il nostro punto di vista sull’altro. Quello che noi chiamiamo buon senso è il “nostro senso”, non necessariamente quello dell’altro.
  • “Come tu mi insegni”. Un modo di dire che può presupporre un rimprovero implicito. “Dovresti fare così, ma non lo fai…”.
  • “Si è sempre fatto così”. Un’affermazione con la quale imponiamo una pratica che consideriamo buona perché è stata già sperimentata, ma non abbiamo le prove che sia la migliore e che non possa essere soppiantata da un’altra più funzionale.
  • “lo sanno tutti che…”. Un’osservazione che cela disapprovazione. Tradotta suona: “lo sanno tutti, tranne te!”. Se qualcosa non ci sta bene, meglio chiarire qual è il nostro disagio.
  • “Non sta né in cielo né in terra”. Un’altra affermazione aggressiva, malgrado non contenga un insulto. Quando la usiamo, diamo per scontato che solo noi sappiamo come stanno veramente le cose, delegittimando il punto di vista degli altri.

uomo con braccia conserte compie un errore per la comunicazione efficace tramite linguaggio non verbale

L’arte dell’ascolto attivo

Abbiamo già anticipato che una delle chiavi della comunicazione efficace è essere un ascoltatore attento e coinvolto: l’ascolto attivo è una capacità che va allenata e sviluppata.

Esiste una differenza tra sentire e ascoltare: un bravo comunicatore non si limita a esprimere le proprie idee, focalizzandosi solo su ciò che ha da dire, ma dedica la giusta attenzione a chi gli è di fronte.

L’ascolto attivo non permette solo di comunicare efficacemente, ma di costruire una connessione tra gli interlocutori: questa pratica può essere allenata, attraverso diverse accortezze che ci aiuteranno a diventare ascoltatori più attenti e a migliorare la nostra comunicazione:

  • Concentrare l’attenzione sull’altro. Significa che dobbiamo ascoltarlo davvero. Molti di noi, invece di ascoltare, pensano a quello che vogliono dire dopo.
  • Non interrompere. Interrompere è una cattiva abitudine. Ricordiamo però che, se non vogliamo essere interrotti, non possiamo neanche parlare per venti minuti di fila. La brevità è oro.
  • Mostrare interesse. Quando il nostro interlocutore parla, non dobbiamo fingerci morti. Dobbiamo guardarlo, annuire, sorridere, rallegrarci o intristirci, insomma “specchiarci” nelle sue emozioni.
  • Dare un riscontro. È importante che il nostro interlocutore ci veda vivi e attivi. Citiamo quello che ha detto e facciamo riferimento al suo ragionamento. Lo farà sentire compreso e ascoltato anche se ammettiamo di non essere d’accordo con lui o lei.
  • Accogliere le proposte con un “sì”. Quando il nostro interlocutore espone un suo punto di vista, è bene reagine con un “sì” anche se non condividiamo quello che ha detto. La corretta reazione è riprendere il discorso con un “sì ma…”, mai con un “no ma…”.
  • Costruire sulle idee degli altri. Se una soluzione o un’idea non arriva da noi, non è detto che non sia valida e non è detto che noi non possiamo contribuire a migliorarla. Dobbiamo allenarci a lavorare sulle idee altrui, rendendo ovviamente merito a chi le ha proposte per primo.

Una definizione di assertività

Gli esperti ci dicono che per interagire con gli altri dobbiamo imparare a essere assertivi. Cosa significa esattamente? Per costruire una definizione, ci viene in soccorso la psicologa e priscoterapeuta Carlotta Rizzo: “Ancora troppo spesso si rischia di confondere l’assertività con l’aggressività. La definizione di assertività che preferisco (poiché chiarisce molto bene il concetto) è: ‘Capacità di difendere i propri diritti senza ledere quelli altrui’. Per mantenere questo prezioso punto di equilibrio è importante lavorare su tre elementi: ascolto, empatia, intelligenza emotiva“.

Un esempio di comunicazione efficace

Ma cosa significa usare la retorica per essere persuasivi? Un esempio. Quando diciamo alle donne adulte che devono vincere la paura e fare tutti gli anni la mammografia, il nostro obiettivo non è solo informarle (nella maggior parte dei casi lo sanno già!), ma convincerle a comporre quel maledetto numero per prendere l’appuntamento e sottoporsi a un esame diagnostico che è odioso e imbarazzante, oltre cha ansiogeno. Però la posta in gioco è enorme: è la loro stessa vita. Compito dell’arte del dire è trovare gli argomenti più adatti per spingere la signora in questione a prendere l’appuntamento che rimanda da tanto. Quali sono? Le argomentazioni non sono standard, ma cambiano a seconda dell’interlocutore che abbiamo di fronte. E questo non ce lo dice il guru della comunicazione che va di moda sul momento, quello che ha inventato l’acqua calda della segmentazione dei target, ma lo precisa Aristotele nel suo libro Retorica che risale al III secolo avanti Cristo. Quindi, per una donna che crede nella scienza, possiamo dire che le diagnosi precoci portano a sfiorare un più che confortante 90% di guarigione; per una giovane mamma, possiamo puntare sul fatto che deve prendere quell’appuntamento pensando ai suoi figli; per chi tende a negare il problema, possiamo portare i numeri sull’incidenza della malattia…

Esempi di comunicazione efficace in situazioni di disaccordo

Per diventare bravi comunicatori, oltre a conoscerne la definizione e le tecniche fondamentali è opportuno imparare a gestire e apprezzare il disaccordo.

Quando siamo in disaccordo con qualcuno, tendiamo a perdere la razionalità e a mettere in campo difese di tipo emotivo. “Non sono d’accordo con te diventa tu non mi piaci. Così, invece di aprire la mente al punto di vista dell’altro, ci concentriamo sulla difesa” afferma lo scrittore e giornalista Ian Leslie. Un atteggiamento che ci porta al vittimismo (lo abbiamo già incontrato come vero nemico della comunicazione interpersonale) e, in alcuni occasioni, può indurre una reazione aggressiva. Siamo erroneamente portati a pensare che, se il nostro capo non apprezza la nostra proposta, stia pensando che non siamo collaboratori validi o, addirittura, persone valide. Mettiamo in discussione noi stessi, dimentichiamo l’obiettivo del progetto sul quale stiamo lavorando e, infine, perdiamo una grande occasione: quella di confrontarci e fare progressi, proprio grazie allo sprone del disaccordo. È un grande errore, perché invece il disaccordo può essere una fantastica palestra per le idee.

Dialettica gentile

  • Data: 19 Apr - 26 Apr
  • Luogo: Online
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Comunicazione efficace: libri 

Per approfondire le tecniche e le pratiche utili alla comunicazione efficace vi propongo una lista di libri che esplorano l’argomento:

  • Aristotele, Retorica e poetica, Utet, 2006
  • Ian Leslie, Conflicted: why arguments are tearing us apart and how they can bring us toghther, Faber&Faber 2021
  • Chiris Voss (con Thahl Raz), Volere troppo e ottenerlo. Le nuove regole della negoziazione, Vallardi 2017

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