In pubblicità si usa l’eziologia, ossia l’argomentazione del perché. Gli esempi di Cadillac, Avis, Chivas Regal
Nella comunicazione persuasiva talvolta si ricorre all’eziologia. Secondo Armando Plebe e Pietro Emanuele, “si tratta del dirigere la propria argomentazione nella direzione dell’attribuire uno o più fatti accaduti alle cause che si ritiene opportuno evidenziare in luogo di altre possibili cause degli stessi effetti” (1). Ne abbiamo parlato in due precedenti articoli in riferimento alla politica (2).
Una simile strategia retorica si attua pure in pubblicità. Una sua utilizzazione risale addirittura al 1915. Theodore MacManus (1872-1940) scrisse un annuncio per la Cadillac, intitolato The penalty of leadership (“La penalizzazione di essere i primi” o “Il peso del primato”), che rappresenta una tappa determinante nella storia dell’advertising. Oggi rientrerebbe in un’azione di crisis communication, giacché la casa automobilistica si vide nella necessità di affrontare una situazione difficile: un problema tecnico nell’impianto elettrico di un suo modello provocava cortocircuiti e incendi. La concorrenza ne approfittò per lederne la reputazione, meticolosamente costruita dal famoso copywriter americano, il quale rispose alle critiche, individuandone la ragione in alcuni sentimenti negativi a partire dall’invidia:
“In ogni campo dell’impegno umano, chi è primo deve perennemente vivere sotto il bianco riflettore della notorietà. Che il primato appartenga a un uomo o a un prodotto, l’emulazione e l’invidia sono sempre al lavoro. In arte, in letteratura, in musica, nell’industria, il premio e il castigo sono sempre gli stessi. Il premio è il vasto riconoscimento; il castigo, la feroce negazione e detrazione. Quando il lavoro di un uomo diventa uno standard per tutto il mondo, egli diventa anche il bersaglio per gli attacchi dei gruppetti di invidiosi. Se il suo lavoro è solo mediocre, verrà lasciato da un canto – se ottiene un capolavoro, metterà in agitazione milioni di lingue. L’invidia non punta la propria lingua forcuta verso l’artista che produce un quadro qualsiasi. Che voi scriviate o dipingiate o suoniate o cantiate nessuno lotterà per sorpassarvi o calunniarvi, a meno che il vostro lavoro non sia segnato dal marchio del genio. Molto, molto tempo dopo che un grande lavoro o una grande opera sono stati compiuti, coloro che ne sono infastiditi o invidiosi continueranno a gridare che non è possibile fare una cosa così. Piccole voci di spregio furono elevate nel campo dell’arte contro il nostro Whistler, accusato di essere un saltimbanco, molto dopo che il mondo lo aveva già acclamato come un immenso genio. Moltitudini migrarono a Bayreuth per pronunciare un atto di fede nello scrigno musicale di Wagner, mentre il piccolo gruppo di coloro che egli aveva detronizzato e scacciato obiettavano rabbiosamente che non era affatto un musicista. Il piccolo mondo continuò a protestare che Fulton non avrebbe mai potuto costruire un battello a vapore, mentre il grande mondo accorreva già sulle rive del fiume per veder passare il suo battello. Chi è primo è aggredito perché è primo e lo sforzo di eguagliarlo è solo una prova in più di questo primato. Gli inseguitori cercano di deprezzare e distruggere ciò che non riescono a eguagliare e superare – ma non fanno che confermare la superiorità di colui che si sforzano di soppiantare. In questo non c’è nulla di nuovo. È vecchio quanto il mondo, antico quanto le passioni umane: invidia, paura, avidità, ambizione e desiderio di scavalcare. Tutto questo non porta a nulla. Se il leader fa veramente da battistrada, continua ad essere il leader. I maestri nel campo della poesia, nel campo della pittura, nel campo del lavoro, ognuno a turno viene assalito e ciascuno tiene alti i propri allori attraverso il tempo. Colui che è abile o grande si fa riconoscere, non importa quanto sia forte il clamore delle negazioni. Colui che merita di vivere, vive” (3).
L’affermazione contenuta nella conclusione assume il carattere della gnome, il procedimento stilistico che consiste nell’esprimere brevemente, talvolta in forma di proverbio, un principio generale, magari derivante da un’esperienza peculiare. Più precisamente, per definire un giudizio alla fine del testo – è il nostro caso – si usa il vocabolo “epifonema”.
Al di là dell’eziologia, all’efficacia del messaggio contribuisce pure l’argomento della divisione del tutto nelle sue parti (4). All’inizio leggiamo la locuzione “ogni campo dell’impegno umano”, poi si parla di “arte”, “letteratura”, “musica”, “industria”. Chiaramente si vuole accomunare la Cadillac ai rappresentanti di vari settori, sulla base del malanimo di cui sono stati oggetto. Si ricorre quindi all’exemplum. Ernst Robert Curtius ha osservato che “è un termine tecnico della retorica classica a partire da Aristotele e significa ‘narrazione addotta come dimostrazione’” (5). In effetti MacManus biasima la piccineria di chi criticava immeritatamente il pittore statunitense James Abbott McNeill Whistler, il compositore tedesco Richard Wilhelm Wagner, l’inventore statunitense Robert Fulton.
In un annuncio del 1963, scritto da Paula Green dell’agenzia DDB, si spiegava la preferenza da accordare a un’azienda. L’headline diceva: “Avis è solo il numero due nel noleggio auto. Allora perché dovreste scegliere noi?”. Le ragioni erano specificate nella body copy: “Perché ci impegniamo più degli altri. (Quando non sei il numero uno, è la sola cosa da fare.) Noi non possiamo proprio permetterci posacenere pieni. O serbatoi mezzo vuoti. O tergicristalli consumati. O automobili sporche. O pneumatici sgonfi. O sedili regolabili che poi non si regolano. Climatizzatori che non climatizzano. Sghiacciatori che non sghiacciano. E, naturalmente, con te dobbiamo essere il più premurosi possibile. Farti iniziare la giornata alla grande, con un bel sorriso e un’automobile fiammante, ad esempio una scattante Ford super torque. Dobbiamo persino saperti indicare dove puoi trovare un buon panino al pastrami se passi da Duluth. Perché? Perché sappiamo di non poterti dare per scontato. Perciò, la prossima volta, scegli noi. La fila al nostro sportello è anche più corta” (6).
Una lista più lunga di motivi, che spingono a compiere un’azione d’acquisto, caratterizza un lavoro particolarmente suggestivo, del 1980, di David Abbott (1938-2014):
“A papà”.
“Perché ti conosco da una vita”.
“Perché una bici Rudge rossa una volta fece di me il bambino più felice del quartiere”.
“Perché mi hai lasciato giocare a cricket sul prato”.
“Perché ballavi in cucina con una tovaglia da tè intorno alla vita”.
“Perché il tuo libretto di assegni era sempre in ballo a causa mia”.
“Perché casa nostra era sempre piena di libri e risate”.
“Per tutti i sabati mattina persi a guardare un ragazzotto che giocava a rugby”.
“Perché non hai mai preteso troppo da me e non mi hai lasciato andar via con troppo poco”.
“Per tutte le notti passate a lavorare alla tua scrivania mentre io me ne stavo a letto a dormire”.
“Per non avermi mai messo in imbarazzo raccontando storie sulle api e le cicogne”.
“Perché so che porti nel portafoglio un ritaglio di giornale ingiallito che parla della mia borsa di studio”.
“Perché mi hai sempre fatto lucidare i tacchi delle scarpe con la stessa cura riservata alla tomaia”.
“Perché ti sei ricordato del mio compleanno 38 volte su 38”.
“Perché ancora mi abbracci quando ci vediamo”.
“Perché compri ancora dei fiori a mia madre”.
“Perché hai più capelli bianchi della media e so chi ha dato una mano a farteli venire”.
“Perché sei un nonno fantastico”.
“Perché hai fatto sentire mia moglie come una di famiglia”.
“Perché sei voluto andare al McDonald’s l’ultima volta che ti ho invitato a pranzo”.
“Perché c’eri sempre quando ho avuto bisogno di te”.
“Perché mi hai sempre lasciato fare i miei errori senza dire mai ‘te l’avevo detto’”.
“Perché fai ancora finta che gli occhiali ti servano solo per leggere”.
“Perché non ti dico ‘grazie’ tutte le volte che dovrei”.
“Perché è la festa del papà”.
“Perché se Chivas Regal non te lo meriti tu, chi lo meriterebbe?”.
L’inserzione non è incentrata sul prodotto (se ne rende palese semplicemente il nome alla fine e non una qualsiasi qualità distintiva), ma sul pubblico, rappresentato da un figlio che scrive una lettera al padre per accompagnare un regalo e coglie l’occasione per esprimergli la sua gratitudine. Sull’informazione prevale chiaramente il sentimento, a tal segno che Pasquale Barbella l’ha definito “il testo pubblicitario più istruttivo e toccante che io ricordi”. Poi ha aggiunto: “David non era riuscito a laurearsi: aveva dovuto abbandonare gli studi universitari per prendersi cura del padre malato di cancro […] Si potrebbe aprire un lungo discorso sulle corrispondenze fra la dimensione personale di un professionista della comunicazione e il suo lavoro: il rifiuto degli stereotipi non può che partire dall’autenticità delle esperienze”.
Abbott consigliava ai colleghi: “Mettete voi stessi nel vostro lavoro. Usate la vostra vita per animare il vostro testo. Se c’è qualcosa che vi procura emozioni, è probabile che riesca a commuovere anche qualcun altro” (7).
Si registra dunque un’interazione tra il pathos, il mezzo persuasivo di ordine affettivo con cui si generano stati d’animo e il logos, lo strumento retorico razionale, l’argomentazione, che si attua attraverso l’eziologia. Più precisamente, si delinea una riflessione basata sulla relazione di causa ed effetto allo scopo – l’ha rilevato Olivier Reboul – di “mostrare il valore dell’effetto a partire da quello della causa, o l’inverso” (8): nello specifico si valorizza l’acquavite reclamizzata, che oltre tutto assolve a un’ulteriore funzione. Infatti nell’annuncio del geniale creativo inglese emerge l’utilizzazione di una strategia, che Perelman e Olbrechts-Tyteca classificano fra gli argomenti di reciprocità. Essi “mirano ad applicare lo stesso trattamento a due situazioni che si fanno riscontro” (9). Ne scaturisce la regola del contraccambio, che, secondo Robert B. Cialdini, “dice che dobbiamo contraccambiare quello che un altro ci ha dato” (10).
In un’affissione del 1988, sempre di David Abbott, un “Tirocinante dirigenziale. Anni 42” – così veniva qualificato in una didascalia – affermava: “Non ho mai letto The Economist”. Per la comprensione del messaggio, si richiedeva la collaborazione del destinatario, il quale poteva facilmente desumere che la ragione della singolare condizione dello stagista quarantaduenne emergeva appunto dalla sua rivelazione e perciò era indispensabile la lettura del settimanale.
In un nuovo manifesto si spiegava perché l’occupazione femminile fosse inferiore a paragone di quella degli uomini e che fare per raggiungere la parità tra i due sessi: “Se più donne leggessero The Economist, ci sarebbero meno posti di lavoro per i maschi”.
Un grande dell’advertising fu pure il britannico David Ogilvy (1911-1999), che spesso ricorreva allo story appeal (il “fascino del racconto”). In una famosa campagna del 1951 per un’azienda di abbigliamento la storia nasceva proprio dalla ricerca di una delucidazione. Il protagonista, “l’uomo in camicia Hathway” – recitava l’headline – aveva una benda sull’occhio destro. Non si poteva evitare di chiedersene la cagione. Emanuele Pirella in un’interessante analisi ha suggerito alcune ipotesi: “Un duello d’amore, una rissa in qualche bettola nei bassifondi, un incidente di caccia, una fuga avventurosa?” (11). Una semplice fotografia suscitava la curiosità su quanto era accaduto prima e (perché no?) su quanto sarebbe accaduto dopo e in questo modo il lettore elaborava la trama di una narrazione.
Uno dei claim di più lunga durata in pubblicità fu coniato per L’Oréal Paris nel 1971 da Ilon Specht, allora 23enne copywriter della McCann: “Perché io valgo” (poi declinato in varie forme: “Perché tu vali”, “Perché voi valete”, “Perché noi valiamo”). La sua efficacia e la sua longevità dipendono da una tecnica sillogistica.
Il sillogismo è una deduzione, in cui date due proposizioni come premesse (maggiore e minore), ne deriva una terza come conclusione, come conseguenza logicamente necessaria. Ecco un’occorrenza classica:
“Tutti gli uomini sono mortali” (premessa maggiore)
“I Greci sono uomini” (premessa minore)
“I Greci sono mortali” (conclusione).
Bisogna distinguere il sillogismo filosofico o scientifico (per esempio, quello appena riportato) e il sillogismo retorico, imperniati rispettivamente sul vero e sul verosimile (sul probabile). Il secondo è detto parimenti “entimema”. Tale termine viene adoperato ancor più per indicarne uno incompleto, non articolato in tre parti, ma caratterizzato dalla soppressione della premessa maggiore e della conclusione, ossia le due proposizioni comunque incontestabili e “tenute in mente” (è proprio questo il significato della parola “entimema”). L’emittente del messaggio dunque coinvolge il ricevente, rimettendosi alla sua intelligenza e lasciandogli il piacere di completare l’argomentazione. Inoltre il discorso acquista una maggiore forza grazie alla sua riduzione, perché emerge un pensiero più sviluppato in confronto alla sua espressione (12).
Nella comunicazione del brand da cui siamo partiti, si ricorre quindi a un sillogismo retorico incompleto. “Io valgo” svolge la funzione di premessa minore e rimanda alla premessa maggiore “Le donne di valore usano cosmetici adeguati al loro status, quali sono quelli della marca reclamizzata” e alla conclusione “Anch’io devo farlo”. Possiamo evidenziare il meccanismo incentrato sul rapporto di causa ed effetto così: “Perché io valgo e perché le donne di valore usano quei prodotti, lo faccio anch’io”.
Sull’ironia si basa uno spot realizzato dal regista Theo Delaney per un’industria di preservativi. In tre successive inquadrature si vedono tre coppie di coniugi piuttosto anziani. Essi sono – lo chiariscono le diciture sovrapposte alle immagini – “Mr and Mrs Thatcher. Parents of Margaret Thatcher”, “Mr and Mrs Noriega. Parents of General Noriega”, “Mr and Mrs Ceaucescu. Parents of Nicolae Ceaucescu. Il commercial si chiude con l’headline “If they’d only used Jiffi Condom” (“Se solo avessero usato Jiffi Condom”) (13). Al suo mancato impiego risaliva il concepimento di quei personaggi e la sofferenza, per un certo periodo, degli inglesi, dei panamensi e dei rumeni.
Note
(1) Armando Plebe e Pietro Emanuele, Manuale di retorica, Universale Laterza, 1988, pp. 123-124.
(2) “La strategia retorica dell’eziologia”, pubblicato il 4 agosto 2020 e “La strategia retorica dell’eziologia nella comunicazione politica”, pubblicato il 6 maggio 2021.
(3) Traduzione in Marco Vecchia, Hapù. Manuale di tecnica della comunicazione pubblicitaria, Lupetti, 2003, pp. 81-82.
(4) Cfr. Chaïm Perelman, Lucie Olbrechts-Tyteca, Trattato dell’argomentazione. La nuova retorica, Einaudi, 2013, pp. 253-262.
(5) Ernst Robert Curtius, Letteratura europea e Medio Evo latino, La Nuova Italia, 1992, p. 69. Sull’“esempio” si veda Chaïm Perelman e Lucie Olbrechts-Tyteca, op. cit., pp. 381-388.
(6) Traduzione in Giuseppe Mazza (a cura di), Cose vere scritte bene, Franco Angeli, 2016, p. 95.
(7) Pasquale Barbella, “David Abbott’s list”, in Bill magazine, n. 13, giugno 2015 (successivamente ripreso in qualche sito web).
(8) Olivier Reboul, Introduzione alla retorica, Il Mulino, 1996, p. 211.
(9) Chaïm Perelman e Lucie Olbrechts-Tyteca, op. cit., p. 239.
(10) Robert B. Cialdini, Le armi della persuasione. Come e perché si finisce col dire di sì, Giunti, 1995, p. 24.
(11) Emanuele Pirella, Il copywriter. Mestiere d’arte, Il Saggiatore, 2001, p. 75.
(12) Si veda Roland Barthes, La retorica antica, Bompiani, 1972.
(13) Si può vedere in: https://www.youtube.com/watch?v=kE6SqUlINt0.