La sapevate che la delusione può essere un valore e lo straniamento può servire a mettere a fuoco un concetto? No, non è magia, è retorica
Nexi è il nome adottato da CartaSì, la società per la gestione di carte di credito di proprietà dell’Istituto centrale delle banche popolari italiane (ICBPI). Per far conoscere il nuovo brand e le soluzioni di pagamento innovative, rese possibili dalla digitalizzazione, l’azienda ha commissionato all’agenzia M&C Saatchi una campagna pubblicitaria, pianificata su vari mezzi. Quella sviluppata sulla stampa è piuttosto accattivante, in quanto si fonda su un procedimento, che in un classico della retorica viene chiamato “delusione delle aspettative”, giacché “ci aspettiamo una cosa e ne viene detta un’altra. In questo caso è il nostro stesso errore a indurci a ridere” (1).
Il discorso termina quindi con una battuta che provoca stupore. Più precisamente l’headline di ciascun annuncio è costituito da due frasi. Con la prima si spinge il lettore a credere che ciò di cui si sta parlando si verificherà in un avvenire lontano. Infatti abbiamo il sintagma “un giorno” in funzione di complemento di tempo e un verbo coniugato al futuro:
“Un giorno potremo pagare in un batter d’occhio”
“Un giorno pagare senza contanti sarà per tutti la normalità”
“Un giorno per ricevere un pagamento basterà un attimo”
“Un giorno pagare sarà bello come chattare”
“Un giorno gestire la tua attività sarà semplice come usare uno smartphone”
“Un giorno avrai un motivo in più per usare la tua carta”
“Un giorno accettare i piccoli pagamenti con la carta non ti costerà nulla”
“Un giorno potrai lasciare il portafoglio a casa”.
La seconda frase contiene la conclusione, che si ripete uguale in tutte le inserzioni e suscita meraviglia: “Quel giorno è oggi”.
Una certa affinità si osserva nell’advertising di una marca di autovetture: “Quale sarà il modo migliore di guidare domani? Quello di oggi. Possono raccontartelo 200.000 italiani che hanno scelto Toyota Hybrid”.
In aggiunta si ricorre alla soggiunzione, la forma espressiva consistente nel porre una domanda, a cui l’emittente del messaggio risponde immediatamente, allo scopo di stimolare l’attenzione e favorire il coinvolgimento del ricevente.
Un analogo effetto di sorpresa si ottiene in uno spot per la casa automobilistica coreana Hyundai, classificato nella categoria della “pubblicità intelligente” e dell’“ironia in pubblicità” da Maria Angela Polesana. Ecco come ne espone il contenuto:
“In primo piano una coppia. La donna al volante è una signora elegante, al suo fianco un ragazzo più giovane di lei. Potrebbe essere il figlio ma la musica romantica in sottofondo […] e lo sguardo di lui ci fanno capire che tra i due c’è una storia. Improvvisamente la donna, in prossimità di un semaforo, ove c’è un’unica automobile ferma, in attesa del verde, abbassa, tramite una leva, il sedile del ragazzo che viene così a trovarsi sdraiato accanto a lei. La donna accosta la sua auto a quella già giunta al semaforo. Capiamo che conosce l’uomo al volante dell’altra vettura, dal momento che lo saluta. Questo signore è il marito o comunque il compagno ‘abituale’, poiché lei gli sventola davanti una camicia coperta dal nylon, con cui di solito vengono confezionati gli indumenti che si ritirano al lavasecco. Si capisce che, in tal modo, lei si giustifica col marito (o compagno): gli spiega cos’ha fatto, la ragione per cui è in macchina. Ripartono, poi, felici entrambi. In primo piano la mano di lei che rialza il sedile del suo accompagnatore e quella del marito che compie lo stesso gesto. Al fianco di quest’ultimo però non compare una donna ma, più trasgressivamente, un bel ragazzo stile gigolo. Finale dunque all’insegna del tradimento reciproco” (2), ma non come ce lo saremmo aspettato.
Una delusione delle aspettative si registra pure in episodi, che hanno avuto per protagonisti presidenti americani. Nell’autobiografia di Bill Clinton, per esempio, si legge: “È risaputo che Eltsin aveva un debole per la vodka, ma in linea di massima durante tutte le trattative con noi è sempre stato lucido, ben preparato ed efficace nel rappresentare il proprio paese. Rispetto alle alternative possibili, era una fortuna per la Russia avere lui al timone. Amava il suo paese, aborriva il comunismo e voleva che la Russia fosse potente ma giusta insieme. Ogniqualvolta qualcuno faceva un commento maligno sulla propensione di Eltsin per l’alcol, ricordavo quello che pare abbia detto Lincoln quando gli snob di Washington rivolsero la stessa critica al generale Grant, il comandante di gran lunga più combattivo e valido della guerra civile: ‘Scoprite cosa beve e datene anche agli altri generali’” (3).
Il medesimo meccanismo si attua in un incontro fra un lavoratore e John F. Kennedy. In una biografia, dedicata al presidente americano, si racconta: “L’industria del carbone rappresentava la prima voce dell’economia statale e fra le prime visite di Kennedy nella campagna elettorale [del 1960] vi furono le miniere. Una volta, mentre stringeva le mani a stanchi, impolverati minatori che avevano appena finito il turno, uno di loro lo guardò fisso in faccia e gli chiese bruscamente: ‘È vero che lei è il figlio del nostro più grande ricco?’. ‘Penso di sì’, rispose Jack. ‘Ed è vero anche che lei non ha mai avuto bisogno di niente, che ha sempre avuto tutto quello che voleva?’. ‘Sì, è vero’. ‘Ed è vero che in tutta la sua vita non ha mai fatto un giorno di lavoro manuale?’. ‘Sì’, disse Jack. ‘È vero’. ‘Beh, se lo lasci dire’, disse il minatore, ‘non ha perso proprio niente’” (4). Il colloquio sembrerebbe improntato al risentimento del povero operaio nei confronti del facoltoso aspirante alla presidenza; invece alla fine risulta chiaramente il compiacimento del primo verso il secondo.
Terza vicenda. Durante il primo dibattito televisivo, per le elezioni che nel 1984 lo avrebbero riportato alla Casa Bianca, Ronald Reagan dimostrò di avvertire il peso dei suoi 74 anni e colpì il contrasto rispetto al suo più giovane avversario, il democratico Walter Mondale. Presso l’opinione pubblica si diffuse un certo scetticismo sulla possibilità per il presidente uscente di continuare a guidare il Paese. I suoi consiglieri prevedevano che, al momento della successiva discussione in televisione, il problema si sarebbe riproposto con la constatazione che era vecchio per un secondo mandato. Ciò avvenne ed ecco che cosa rispose Reagan: “Sappiate che non accetterò di fare dell’età una questione in questa campagna elettorale. Non voglio sfruttare per fini politici la giovinezza e l’inesperienza del mio avversario” (5). L’anziano statista appare sulla difensiva, ma con l’ultima affermazione va all’attacco.
In ognuno dei tre casi, la reazione di spaesamento si combina con l’umorismo.
È possibile considerarla come una modalità dello straniamento, ossia del procedimento che consiste nel dare una percezione nuova, inconsueta, inedita di una realtà già nota con l’introduzione di elementi insoliti, inattesi, strani, sorprendenti. Il suo uso si delinea nel romanzo Colori primari, in un passo che contiene uno stralcio di un comizio:
“‘Va bene, va bene… scusate’, disse Picker […] ‘Tutta questa accoglienza è un po’ eccessiva’.
‘Ti voglio bene, Freddy’, gridò una ragazza.
‘Mi conoscete appena’, disse lui. ‘Non so… non voglio che voi, ehm, perdiate il senso della prospettiva. Io, ehm… ho un po’ paura di stare qua sopra’. La folla esplose […] Picker si tolse un fazzoletto dalla tasca e si asciugò la fronte. Sembrava veramente in ansia.
[…]
‘Io… io non mi aspettavo tutto questo’, disse. ‘E… ehm, tutti voi che avete dato il sangue là fuori, vi voglio ringraziare’. La folla proruppe di nuovo. Era assordante. ‘Scusate’, disse Picker con imbarazzo, ‘potete farmi un favore e non fare il tifo così forte?’. Ci furono risate. ‘No’, disse. ‘Dico sul serio. Voglio veramente che tutti si calmino’” (6).
La realtà già nota è che qualunque uomo politico mostra di gradire gli applausi del pubblico, specificatamente per convincere gli elettori ancora incerti e quelli che non riflettono sul significato dei contenuti trasmessi, per “creare – come hanno scritto Anthony R. Pratkanis e Elliot Aronson – l’effetto bandwagon [carro della banda], l’impressione cioè che tutti siano a favore del candidato”. Inoltre i battimani e le ovazioni costituiscono “un segnale che dice: ‘tutti accettano la conclusione di questo messaggio, perciò anche tu devi farlo!’. È il riconoscimento della potenza della tecnica di stimolo dell’‘applauso convalidante’ a spingere i politici a programmare i discorsi più importanti nei contesti più favorevoli” (7). La percezione nuova, inconsueta, inedita è, invece, la richiesta di evitare un esagerato entusiasmo, rivolta alla gente che assiste a un comizio proprio da chi lo tiene (elemento insolito, inatteso, strano, sorprendente).
Meraviglia provocò perfino il leader di un partito italiano, che così accolse un giornalista: “Ho il bambino con la febbre, la bambina da passare a prendere da un’amichetta, mia moglie a Bolzano per un corso d’aggiornamento, mia madre che non può venire e la baby sitter che non può fermarsi: possiamo rinviare l’intervista a domani?”. L’intervistatore, interpretando pure il pensiero dei lettori, non poté fare a meno di commentare: “L’avesse studiata a tavolino, Massimo D’Alema non poteva inventarsi una ‘ouverture’ migliore. Eccolo là, il potente segretario del PDS alle prese coi problemi di un ragioniere. Il perfido inventore di velenosi sarcasmi teneramente in pena per il figlioletto” (8).
Talora l’artificio oggetto del nostro articolo coincide con il tópos – ne ha trattato Ernst Robert Curtius nel suo Letteratura europea e Medio Evo latino – del “mondo alla rovescia”, “capovolto”, “uscito dalla carreggiata”, per cui “ormai ci si può aspettare di tutto” (9).
Lo straniamento si produce parimenti collegando fra loro situazioni di carattere opposto. In tale direzione va, in un libro di Barack Obama, una profonda differenza tra la soddisfazione per la sua attività di senatore e l’esigenza di affrontare un problema domestico, come un qualsiasi capo famiglia: “Un giorno di febbraio ero particolarmente di buonumore, al termine di una seduta su una legge mirata a ridurre la proliferazione di armamenti e il mercato nero delle armi, proposta da me e da Dick Lugar. Poiché Dick non solo era il principale esperto del Senato sui problemi della proliferazione, ma anche il presidente della Commissione per le relazioni estere del Senato, le prospettive per la proposta di legge sembravano promettenti. Desideroso di condividere le buone notizie, chiamai Michelle dal mio ufficio di Washington e cominciai a spiegarle l’importanza della proposta: come i lanciarazzi potessero minacciare l’aviazione commerciale se fossero caduti nelle mani sbagliate, come le scorte di armi leggere rimaste dalla Guerra Fredda continuassero ad alimentare conflitti in tutto il mondo. Michelle mi interruppe. ‘Abbiamo le formiche’. ‘Come?’. ‘Ho trovato formiche in cucina e nel bagno al piano di sopra’. ‘Davvero?…’. ‘Devi comprare del veleno per formiche mentre torni a casa, domani. Lo prenderei io, ma dopo la scuola devo portare le bambine all’appuntamento col medico. Puoi farlo tu?’. ‘Va bene. Veleno per formiche’. ‘Veleno per formiche. Non dimenticarti, caro. Senti, devo andare a una riunione. Ti amo’. Riappesi il ricevitore, chiedendomi se Ted Kennedy o John McCain comprassero veleno per formiche tornando a casa dal lavoro” (10).
Un analogo fenomeno, con l’accostamento di stati d’animo contrastanti, si verifica in uno spot di qualche tempo fa. Essendo ambientato in un ospedale, in principio faceva pensare alla sensibilizzazione per un problema socio-sanitario. Si raccontava, con un ritmo concitato, dell’arrivo nella sala operatoria e della consegna all’équipe chirurgica di uno di quei contenitori solitamente adoperati per il trasporto di organi per un trapianto. Ma, quando veniva aperto, al suo interno, in mezzo al ghiaccio, con un colpo di scena, spuntavano solo alcune lattine di Oransoda, Lemonsoda e Pelmosoda e medici e infermieri, che fino a quel momento erano apparsi in ansia, si abbandonavano all’allegria.
Riguardo alla letteratura, si dà una percezione nuova di una realtà già nota, per esempio, nel romanzo I Promessi Sposi. Nella prima sequenza del secondo capitolo, si manifesta un elemento fondamentale della personalità di don Abbondio: l’egoismo. Dopo l’incontro con i bravi di don Rodrigo, riportato nel capitolo precedente, con le loro minacce per impedirgli di celebrare il matrimonio fra Renzo e Lucia, risulta chiaramente, con il monologo interiore diretto, che per lui la cosa più importante è la propria incolumità fisica: “Egli pensa alla morosa, ma io penso alla pelle: il più interessato son io, lasciando stare che sono il più accorto. Figliuol caro, se tu ti senti il bruciore addosso, non so che dire; ma io non voglio andarne di mezzo”. Successivamente, parlando con il giovane della necessità di sbrigare delle formalità e dunque di rinviare le nozze, si descrive come persona altruista: “Bisognerebbe trovarsi nei nostri piedi, per conoscer quanti impicci nascono in queste materie, quanti conti s’ha da rendere. Io sono troppo dolce di cuore, non penso che a levar di mezzo gli ostacoli, a facilitar tutto, a far le cose secondo il piacere altrui, e trascuro il mio dovere; e poi mi toccan de’ rimproveri, e peggio”.
Tuttavia, a una più attenta analisi, si constata l’ambiguità dell’affermazione del pavido curato a causa della polisemia, ossia la presenza di più significati: infatti non corrisponde alla realtà relativamente alla coppia che vuole sposarsi. Al contrario si rivela esatta, se riferita al malvagio signorotto: a suo vantaggio è “troppo dolce di cuore” ecc.
In un testo narrativo – si rileva in un’edizione scolastica dell’opera manzoniana – lo straniamento “può realizzarsi attraverso le parole di un personaggio che deformi la realtà fino a presentare come ‘strano’ ciò che, almeno dall’autore implicito, è sentito come ‘normale’, o come ‘normale’ ciò che, almeno dall’autore implicito, è sentito come ‘strano’. In casi come questo, l’autore prende la massima distanza dal personaggio e induce il lettore a fare altrettanto” (11).
È possibile applicare tale forma perfino nell’ambito di un discorso politico, come si desume dal seguente estratto dall’elocuzione di Massimo D’Alema: “Questo è un paese nel quale tanti imprenditori – compreso quello che è alla guida del governo – sembrano considerare normale che si paghino le mazzette alla Guardia di Finanza per non pagare le tasse. Ed è lo stesso paese in cui c’è chi considera un reato contro la collettività il fatto che i pensionati possano avere un modestissimo adeguamento delle pensioni al costo della vita” (la Repubblica, 9 settembre 1994, p. 3).
In pubblicità un’evidente rottura degli schemi è alla base della comunicazione, fin dall’inizio della sua attività, dell’azienda di abbigliamento Diesel, creata dall’italiano Renzo Rosso e specializzata nella produzione di jeans. La campagna multi-soggetto della primavera 2019, ideata dall’agenzia Publicis Italia, è incentrata sulla differenza tra influencer e follower, nel senso che, per lo meno in determinate situazioni, è preferibile essere “seguaci” e non al posto di “coloro i quali influenzano”. Nei vari messaggi si afferma:
“Influencers have a hard time eating”
“Influencers spend a lost of time doing laundry”
“Influencers take too long to undress”
“Influencers cannot travel light”
“Influencers can’t sneak out of parties”
E la conclusione è sempre la stessa: “Be a follower”.
In uno spot il brand globale Coca Cola esprime la propria opinione sul fenomeno, di dimensioni planetarie, dei movimenti migratori. Lo fa ovviamente alla sua maniera, soffermandosi su vivande alle quali abbinare la bibita, però anche alludendo polemicamente a certe posizioni ideologiche. Ecco il testo: “Il kebab gira il mondo da secoli e nessuno l’ha mai fermato. La cucina cinese ha conquistato l’Europa e tutti l’apprezzano. Il cibo messicano è ovunque e non conosce muri. La cucina fusion fa una cosa semplice: fonde diverse culture. Niente unisce di più del mangiare insieme. Per questo non importa se le french fries non sono francesi o che gli hamburger non vengano da Amburgo. Perché sono come Coca Cola: per tutti in ogni parte del mondo. Quando il mondo segue solo la testa, si divide. Quando ascoltiamo la pancia, ci avviciniamo. Ritroviamo il gusto di un mondo senza confini”.
Il termine “pancia” è da interpretare letteralmente per indicare la cavità del corpo contenente gli organi coinvolti nella nutrizione. Essa si attua – si vede pure nelle immagini – attraverso il consumo di alimenti un tempo etnici, ma ormai esteso dappertutto e ritenuto un fattore d’integrazione fra popoli diversi. Riguardo alla nostra analisi, è interessante osservare l’effetto straniante, con cui si colpisce l’attenzione dei destinatari del telecomunicato, perché ci stiamo abituando al più diffuso significato metaforico di luogo che racchiude emozioni negative (“parlare alla pancia della gente”): per esempio quelle che spingono addirittura all’avversione per quanti sono costretti a lasciare il loro Paese per motivi politici (dittature, guerre), economici (sottosviluppo, carestie) e vanno alla ricerca di condizioni di vita migliori.
In qualche modo una variante della delusione delle aspettative si individua nell’advertising con cui Eni mira all’employer branding, cioè alla formazione di una buona reputazione come datore di lavoro. Si articola in cinque headline:
“In Italia non c’è futuro per i giovani”
“L’Italia non è un paese in cui immaginare il futuro”
“L’Italia non è un paese ricco di innovazioni”
“Un master non può cambiare il tuo futuro”
“I giovani non possono restare in Italia” (12).
Tuttavia l’avverbio “non” è sempre cancellato. Emerge quindi la volontà di rigettare asserzioni, divenute luoghi comuni, ma che non corrispondono alla realtà, per lo meno per la marca reclamizzata, la quale si presenta dunque come promotrice di un cambiamento
Note
(1) Marco Tullio Cicerone, Dell’oratore, Biblioteca Universale Rizzoli, 2001, p. 487.
(2) Maria Angela Polesana, La pubblicità intelligente. L’uso dell’ironia in pubblicità, Franco Angeli, 2005 pp. 27-28.
(3) Bill Clinton, My Life, Mondadori, 2004, p. 545.
(4) Geoffrey Perret, Kennedy, San Paolo, 2002 (edizione speciale per Famiglia Cristiana), p. 279.
(5) Enrico Franceschini, I padroni dell’universo. L’America dei nuovi persuasori occulti, Bompiani, 1990, p. 196.
(6) Anonimo, Colori primari, Garzanti, 1996, p. 316.
(7) Anthony R. Pratkanis, Elliot Aronson, Psicologia delle comunicazioni di massa. Usi e abusi della persuasione, Il Mulino, 1996, pp. 124 e 133.
(8) Sette, supplemento del Corriere della Sera, 28 dicembre 1995, p. 14.
(9) Si veda l’articolo “Quando la politica prende una ‘brutta china’”, pubblicato il 25 maggio 2018.
(10) Barack Obama, L’audacia della speranza. Il sogno americano per un mondo nuovo, Rizzoli, 2007, pp. 328-329.
(11) Alessandro Manzoni, I Promessi Sposi, a cura di Franca Gavino Olivieri e Paolo Pullega, Principato, 1990, p. 811.
(12) Agenzia Tbwa Italia: Daniela De Seta (Creative Director), Vittoria Apicella (copywriter) e Frank Guarini (art director).