Dimmi la tua storia e ti dirò chi sei

Dall’erlebnis all’ethos. Cosa ci insegno questi concetti in tempi di coronavirus?

La parola tedesca erlebnis indica propriamente “la somma delle esperienze assimilate e vissute da un autore, in quanto diventano parte essenziale della sua sensibilità e materia d’arte o di poesia; il termine si rende per lo più in italiano con l’espressione ‘esperienza vissuta’” (Vocabolario online Treccani). Tuttavia all’“esperienza vissuta”, come fattore che esercita un’influenza sulla formazione di elementi del loro carattere, si riferiscono spesso perfino gli uomini politici.

L’autobiografia di Bill Clinton costituisce in tal senso una fonte copiosa di occorrenze. Riguardo all’empatia con la popolazione di colore, per esempio, è utile leggere l’esposizione dei momenti trascorsi durante la sua infanzia nell’emporio del nonno materno, da lui chiamato “Papaw”, mentre la nonna era “Mammaw”: “Molti clienti erano neri. Sebbene allora nel Sud vigesse ancora la segregazione razziale, nei piccoli centri urbani un certo grado di interazione era inevitabile, com’era sempre accaduto nel Sud rurale. In ogni caso, era raro trovare una persona non istruita, di estrazione contadina, che non fosse anche razzista fino al midollo. Ebbene il nonno era una di queste. Io vedevo che i neri erano diversi, ma siccome lui li trattava come trattava chiunque altro, chiedendo notizie dei figli e del lavoro, pensavo che fossero uguali a me. Di tanto in tanto alcuni bambini di colore venivano in negozio e giocavamo insieme. Mi ci sono voluti anni per capire il significato di parole come segregazione, pregiudizio, povertà, anni per imparare che la maggioranza dei bianchi non era come il nonno e la nonna, la cui opinione in merito era una delle poche che condivideva con il marito. Mia madre mi raccontò di aver preso una delle peggiori strigliate della sua vita a tre o quattro anni, quando aveva chiamato “negra” una donna nera. Un comportamento a dir poco insolito negli anni Venti quello di Mammaw, una donna del Sud, bianca e povera. Mia madre una volta mi disse che dopo la morte di Papaw aveva trovato i vecchi quaderni con la contabilità del negozio, con un’infinità di conti mai saldati dai clienti, in gran parte neri. Ricordava di avergli sentito affermare che le persone perbene che facevano del loro meglio meritavano di sfamare la famiglia e che non avrebbe mai rifiutato di far loro credito, neanche nei periodi difficili. Forse questa è la ragione per cui ho sempre creduto nella distribuzione governativa di generi alimentari agli indigenti”.

E ancora, richiamandosi a un suo discorso pubblico, ha evidenziato l’acquisizione di competenze, utili specialmente nell’azione di governo: “Raccontai la storia delle persone che hanno maggiormente contato per me, cominciando da mia madre, dalle difficoltà che aveva incontrato da giovane vedova con un bambino da crescere, fino alla sua battaglia ancora in atto contro il cancro, dicendo: ‘Mi ha insegnato a combattere sempre, sempre, sempre’. Parlai del nonno, dicendo che mi ha insegnato a ‘considerare con rispetto coloro che altri guardano con sussiego’. E ringraziai Hillary per avermi insegnato che ‘tutti i bambini possono imparare e che tutti noi abbiamo il dovere di aiutarli’. Volevo che l’America sapesse che il mio spirito combattivo mi veniva da mia madre, il mio impegno per l’uguaglianza a prescindere dalla razza dal nonno, mentre la mia premura per il futuro di tutti i nostri figli da mia moglie” (1).

Pure Barack Obama in un libro, nel quale narra alcune circostanze della sua vita, si è soffermato sulla capacità di immedesimarsi nelle condizioni del prossimo, appresa da membri della sua famiglia: “Come per molti dei miei valori, è stata mia madre a trasmettermi il valore dell’empatia. Mia madre odiava ogni genere di crudeltà, di indifferenza o abuso di potere che trovasse espressione nel pregiudizio razziale, nel bullismo delle scuole o nei lavoratori sottopagati. Ogni volta che vedeva in me anche solo un accenno di un simile comportamento mi guardava dritto negli occhi e mi chiedeva: ‘Come pensi che ti farebbe sentire?’. È stato però nel mio rapporto con mio nonno che penso di aver interiorizzato per la prima volta l’empatia nel suo significato più pieno” (2).

Il coinvolgimento emotivo si fonda sulla capacità di ascolto, che si rivela indispensabile per l’uomo politico e si acquista e si perfeziona grazie alle “esperienze vissute”. Una conferma viene da Bill Clinton:

“Wally DeRoeck, che era stato il responsabile delle mie campagne nel 1976 e 1978, affermò che ero stato così preso dalla mia carica di governatore che avevo smesso di pensare a tutto il resto. Mi disse che dopo essere diventato governatore non gli avevo più chiesto dei suoi bambini neanche una volta. Il mio amico George Daniel, che gestiva un negozio di ferramenta a Marshall, su in collina, con un linguaggio più rude mi ribadì lo stesso concetto: ‘Bill, la gente pensava che eri un coglione!’ […] Se la gente pensa che hai smesso di ascoltarla, sei finito

“Dicevo agli elettori che subito dopo la mia sconfitta avevo voluto viaggiare per tutto lo Stato e parlare con migliaia di cittadini; mi avevano confermato che avevo fatto delle cose buone ma anche grandi errori, fra cui l’aumento delle tasse automobilistiche  […] Se mi avessero dato un’altra possibilità sarei stato un governatore che dalla sua sconfitta aveva imparato che ‘non si può comandare senza prima ascoltare’

“Verso la fine di quasi tutte le mie campagne presenziai al turno di mattina della fabbrica della Campebell’s Soup di Fayetteville […] Nel 1982 faceva freddo e pioveva e quando cominciai a stringere mani era ancora buio […] Imparai molte cose in quelle buie mattine. Non dimenticherò mai la scena di un operaio che accompagnava sua moglie. Quando si aprì la portiera del pickup, vidi che seduti in mezzo a loro c’erano tre bambini. L’uomo mi disse che dovevano svegliarli alle quattro meno un quarto ogni mattina. Dopo aver accompagnato sua moglie al lavoro, li lasciava da una baby-sitter che li avrebbe accompagnati a scuola, perché lui doveva andare a lavorare alle sette”

Imparai molto ascoltando le domande della gente in quei comizi cittadini e in altre tappe della campagna. Una coppia di anziani, Edward e Annie Davis, mi disse che spesso dovevano scegliere tra comprare le medicine di cui avevano bisogno e il cibo. Una studentessa delle superiori raccontò che il padre disoccupato provava una tale vergogna che non riusciva a guardare in faccia i familiari a cena e teneva la testa bassa. Incontrai dei veterani nelle sale dell’American Legion e scoprii che erano più preoccupati del deterioramento dell’assistenza sanitaria negli ospedali della Veterans Administration che interessati alla mia opposizione alla guerra del Vietnam. Fui particolarmente commosso dalla storia di Ron Machos, il cui figlio Ronnie era nato con un problema cardiaco. Aveva perso il lavoro a causa della recessione e non riusciva a trovarne un altro con un’assicurazione medica che coprisse le ingenti spese che doveva affrontare” (3).

Ed ecco come Barack Obama, con l’erlebnis, ha riconosciuto la necessità di prendersi a cuore le questioni poste dalla popolazione:

Ho ascoltato persone parlare del loro lavoro, degli affari, della scuola locale; del risentimento sia contro Bush sia contro i democratici; dei loro cani, del mal di schiena, dei ricordi di guerra e della loro infanzia. Alcuni avevano teorie ben elaborate per spiegare il declino del settore manifatturiero o l’alto costo della sanità. Alcuni recitavano ciò che avevano sentito dal conduttore televisivo filorepubblicano Rush Limbaugh o alla radio pubblica nazionale. Per la maggior parte, tuttavia, erano troppo occupati con il lavoro e i figli per prestare molta attenzione alla politica e parlavano invece di quello che li toccava da vicino: un impianto chiuso, una promozione, una bolletta del riscaldamento troppo salata, un parente in una casa di cura, i primi passi di un figlio”

“Uno dei miei compiti preferiti da senatore è partecipare agli incontri municipali. Ne ho tenuti trentanove nel mio primo anno al Senato, tutti in Illinois […] Rispondo alle persone che mi hanno mandato a Washington […] Spesso mi sorprendono: accade che nel mezzo della campagna rurale una giovane donna dai capelli biondi si lanci in un appello appassionato per l’intervento in Darfur, o che un anziano signore di colore di un quartiere povero mi faccia domande sulla conservazione del suolo”.

Una certa emozione suscita una peculiare situazione, riferita dall’ex comandante in capo degli Usa: “Il traffico verso l’aeroporto O’Hare era terribile, quando vi arrivai il volo per Memphis era in ritardo e un bambino mi versò del succo d’arancia su una scarpa. Poi, mentre aspettavo in coda, mi si avvicinò un uomo fra i trenta e i quarant’anni, vestito con pantaloni kaki e una maglietta da golf, esprimendo la speranza che quest’anno il Congresso facesse qualcosa per la ricerca sulle cellule staminali. ‘Ho il morbo di Parkinson allo stato iniziale’ mi disse ‘e un figlio di tre anni. Probabilmente non riuscirò mai a giocare a nascondino con lui. So che per me può essere troppo tardi, ma non c’è motivo per cui qualcun altro debba passare quel che sto passando io’. Queste sono le storie che ci si perde, pensai tra me e me, quando si vola su un jet privato” (4).

Clinton ha esposto un’analoga riflessione sull’esigenza di entrare in relazione con gli individui per conoscere la realtà direttamente da loro: “È facile per un politico, in questo mondo dominato dai massmedia, ridurre le elezioni alla raccolta dei fondi, ai raduni, alla pubblicità e a un paio di dibattiti. Tutto ciò può essere sufficiente perché gli elettori facciano una scelta intelligente, ma i candidati in questo modo non si rendono conto del mondo reale, comprese le difficoltà di gente che non ce la fa ad andare avanti e dà il meglio di sé per amore dei figli” (5).

In Gran Bretagna, dopo essere stato rieletto premier, nelle consultazioni del 5 maggio 2005, Tony Blair osservò: “La grande cosa delle elezioni, la cosa importante, è che si può andare in giro settimana dopo settimana e parlare con la gente”. Effettivamente “ho ascoltato e ho imparato. Penso di avere un’idea molto chiara di che cosa il popolo britannico, ora, si aspetti da questo governo al suo terzo mandato” (Corriere della Sera, 7 maggio 2005, p. 3).

In Italia, nel corso della campagna elettorale del 1996, Romano Prodi manifestò un’analoga propensione: “Preferisco andare in mezzo alla gente, per capire i veri problemi” (Corriere della Sera, 10 aprile 1996, p. 5) e “Per un anno, con il mio pullman […] ne ho potuto capire e imparare tante di cose […] Sono andato in mezzo alla gente per affrontare i problemi” (Corriere della Sera, 19 aprile 1996, p. 5).

In Francia, rispondendo a una domanda sui cosiddetti “forum partecipativi”, la socialista Ségolène Royal, che era appena divenuta presidente della regione del Poitou-Charentes, spiegò: “A Porto Alegre, in Brasile, funzionano da anni, e in campagna elettorale si sono dimostrati utili anche tra Poitiers e La Rochelle. Invece dei comizi, ho chiesto alla gente di venire a confidarmi lamentele e speranze. Negli ultimi mesi credo di avere parlato con 50 mila persone. Esci da queste riunioni stremata. Ma alla fine conosci il territorio. E vinci le elezioni” (Corriere della Sera, 30 marzo 2004, p. 10).

Il riferimento a “esperienze vissute”, su cui si basa l’acquisizione e il miglioramento della propria empatia, è funzionale all’attuazione di strategie d’immagine. Nei termini della retorica, rientra nello strumento di ordine affettivo dell’ethos, ossia “il carattere che deve assumere l’oratore per accattivarsi l’attenzione e guadagnarsi la fiducia dell’uditorio”. Infatti “quali che siano i suoi argomenti logici, essi non hanno alcun potere senza questa fiducia” (6).

È perfino possibile che da una dolorosa vicenda famigliare, come la malattia, seguita dalla morte, di un congiunto, emerga un’occasione per promuovere la buona reputazione non del singolo, ma di un intero Stato. Succede in un libro, nel quale Enrico Vanzina parla del fratello Carlo: “In un inglese sporcato da un leggero accento yiddish, il professore mi disse: ‘suo fratello è in ottime mani. Conosco il professor Maio. Ogni nostro nuovo protocollo di ricerca viene immediatamente condiviso con lui e con un altro ospedale in Germania. Siena è come New York’. Il professore fece una pausa e aggiunse: ‘Con una sensibile differenza, però. Per le stesse cure che fa a Siena, venendo qui da noi a New York, suo fratello dovrebbe spendere centinaia di migliaia di dollari. In Italia, invece, viene curato gratis. Mi lasci dire che il vostro è un grande Paese’”.

Il famoso sceneggiatore e produttore cinematografico ha commentato: “Le parole di quel medico di New York rimarranno per sempre impresse nella mia memoria. Diciamolo anche noi, ogni tanto, seppure sottovoce: l’Italia è un grande Paese” (7).

Allora nessuno poteva prevedere ciò che sarebbe accaduto qualche tempo dopo. Oggi, se pensiamo ai medici, agli infermieri, ai volontari, a tutti quelli che sono impegnati nella lotta contro il coronavirus, forse non basta sostenerlo sommessamente. Per esternare quanto siamo orgogliosi di loro, lo dovremmo proclamare a voce alta.

Note

(1) Bill Clinton, My Life, Mondadori, 2004, pp. 14 e 446.

(2) Barack Obama, L’audacia della speranza. Il sogno americano per un mondo nuovo, Rizzoli, 2007, p. 81.

(3) Bill Clinton, op. cit. pp. 305, 315, 323, 406-407.

(4) Barack Obama, op. cit., pp. 22-23, 111-112, 199-200.

(5) Bill Clinton, op. cit., p. 323.

(6) Olivier Reboul, Introduzione alla retorica, Il Mulino, 1996, pp. 21 e 69.

(7) Riportato in Corriere della Sera, 11 settembre 2019, p. 21. Il libro di Enrico Vanzina s’intitola Mio fratello Carlo ed è stato pubblicato da HarperCollins.