Nella comunicazione politica, analogamente a quella pubblicitaria, si ricorre allo schema a “domanda e risposta”, che deriva – lo abbiamo visto in un precedente articolo (1) – dalla figura retorica della subiectio, consistente nella “risposta data dall’oratore a una domanda fatta da lui stesso” (il termine latino viene tradotto in italiano con “soggiunzione”) (2).
Nel nostro Paese varie occorrenze si ricavano dalla campagna per le elezioni del 21 aprile 1996,
con Romano Prodi:
“Non vedete che ogni volta che i sondaggi ci danno in vantaggio la lira sale? Sapete perché? Perché i mercati si fidano di noi, hanno già sperimentato i danni di Berlusconi al governo” (La Repubblica, 23 marzo 1996, p. 6),
“Ho detto, davanti ad una platea [dei commercianti milanesi] che si aspettava un atteggiamento particolare, che il mio intento era quello di usare di fronte a loro le medesime parole che avrei detto a tutti i 57 milioni di italiani. Cosa volevo dire? Che è da irresponsabili girare per l’Italia facendo promesse grandi e diverse di fronte ad ogni platea, sapendo che queste promesse non hanno alcuna possibilità di essere mantenute tutte insieme” (La Repubblica, 28 marzo 1996, p. 2),
“[Berlusconi] non smette mai di dirsi cattolico, che modello propone agli italiani? Lo sfoggio dei soldi, del carrierismo, degli affari davanti a tutto” (Corriere della Sera, 11 aprile 1996, p. 4),
“Pensavate davvero che fossi tre volte buono? È solo un fatto di educazione: non mi piace interrompere chi parla, non lo faccio nemmeno con gli studenti” (Corriere della Sera, 14 aprile 1996, p. 3),
“Io scommetto sull’Italia unita, il senatur sull’Italia divisa. Come facciamo a metterci d’accordo? Se non cambia su questioni fondamentali, proprio no, il discorso non si aprirà mai” (Corriere della Sera, 19 aprile ‘96, p. 5),
(rivolgendosi all’intervistatore): “Sa qual è la mia grande soddisfazione? Sentire Berlusconi che un anno dopo copia pari pari le mie parole sullo Stato sociale” (Corriere della Sera, 19 aprile 1996, p. 5);
con Silvio Berlusconi:
“Cosa diceva una volta Andreotti? Che non c’erano giganti in giro. Beh, anch’io ho fatto un pensierino come il suo. Non ho ancora incontrato, nel teatrino della politica, gente che mi abbia fatto pensare di essere inutile” (La Repubblica, 25 febbraio 1996, p. 2),
“L’elettorato moderato chiede soprattutto chiarezza. Nel Polo questa chiarezza c’è: un centrodestra guidato da una leadership indiscussa, cioè la mia. Dall’altra parte invece che cosa trova? Una cooperativa di leader e sedicenti e aspiranti leader […] Ma voi credete che i moderati berranno questa messa in scena? Secondo me è impossibile, perché è chiaro, chiarissimo, che il centrosinistra ha un solo leader vero e forte, cioè D’Alema, attorniato, poveretto, da una schiera di simil-leader in cerca di gloria” (La Repubblica, 28 febbraio 1996, p. 4),
“Se il 21 aprile vince l’Ulivo, siamo sicuri che avremo ancora la possibilità di elezioni veramente libere? Il 21 aprile sarà un referendum: o di qua o di là, o un futuro di libertà e di benessere con il Polo o un destino di dirigismo, statalismo e giustizialismo nelle mani della sinistra” (La Repubblica, 14 aprile 1996, p. 2);
con Massimo D’Alema:
“Quale concezione dello Stato ha un leader, Berlusconi, che afferma che i magistrati di Milano sono come i terroristi della Uno bianca? Vedo una prospettiva di scontro frontale inquietante, destabilizzante” (La Repubblica, 20 marzo 1996, p. 4),
“La Chiesa è tante parrocchie, tante organizzazioni di solidarietà e di volontariato, di assistenza. Se penso a questa Chiesa che vive in mezzo ai cittadini, alla Chiesa che partecipa ai problemi, ai dolori, alle disuguaglianze dei cittadini, la mia sensazione è che stia con l’Ulivo: la ragione è perfino ovvia, come potrebbe questo cattolicesimo della solidarietà stare dalla parte dei ricchi e dei prepotenti? Non è la sua parte” (Corriere della Sera, 31 marzo 1996, p. 2).
Numerosi casi di soggiunzione si individuano nella relazione del capo di Forza Italia alla Prima Assemblea nazionale di Azzurro Donna nel 1999:
“Solamente due anni fa, dopo il risultato delle elezioni del ’96 abbiamo dovuto assumere la decisione di darci un’organizzazione. Perché? Perché vincemmo le elezioni sulla scheda proporzionale…”,
“Come sono andati al potere? La prima mossa è stata l’eliminazione di tutta una classe politica, dei protagonisti di quei partiti che, bene o male, per cinquant’anni avevano governato l’Italia nella democrazia e nella libertà”,
“Noi contrapponiamo la nostra ricetta. Lo Stato deve farsi indietro, deve applicare quel grande principio di libertà che è il principio di sussidiarietà. Dobbiamo familiarizzare con questa parola. Che cosa vuol dire? Che lo Stato deve intervenire soltanto…”,
“Qual è il nostro progetto? È che ci siano meno tasse”,
“Bene, con due interventi successivi, [il presidente Reagan] scambiò il due e il sette, fece diventare la tassazione massima sulle persone del 27 per cento. Quale fu il risultato? Raddoppiarono le entrate nelle casse dell’erario… Cosa significa? Che quando lo Stato…”,
“Se un’impresa deve pagare lo stesso un operaio che lavora di meno cosa fa? Investe nelle macchine-mangia lavoro, investirà sempre meno nella forza lavoro!”,
“Tutto questo cosa produce? Produce entrate ulteriori”.
Alcuni studiosi hanno osservato: “Le domande e risposte in generale servono a catturare l’attenzione e a mantenerla viva. È un espediente tipico della comunicazione ineguale, asimmetrica, tra l’emittente di un messaggio che possiede una buona conoscenza dell’argomento e un ricevente che ne possiede molto meno o niente del tutto. Le domande hanno la funzione di creare e sostenere la concentrazione di un pubblico la cui attenzione è breve. In questo modo si imprimono bene nella mente di chi ascolta la struttura del discorso e i rapporti tra unità tematiche. È un procedimento che si incontra nell’insegnamento agli scolari e nella narrazione di favole ai bambini e rivela l’assunzione da parte di chi parla che chi lo ascolta non riesca a mantenere viva l’attenzione e a seguire lo svolgimento del discorso” (3).
Più recentemente, prendendo lo spunto da un atto teppistico (in un primo momento si sospettava di natura razzista), che ha avuto come vittima una giovane italiana di origini nigeriane, Matteo Renzi ha rilevato:
“Salvini ironizza sulla vicenda di Daisy Osakue dicendo che chi lancia uova è un cretino. Condivido la definizione. Sapete per cosa è stato condannato lui nel ’99? Lancio di uova” (Corriere della Sera, 4 agosto 2018, p. 11).
Nei due estratti dall’elocuzione di Massimo D’Alema la frase interrogativa è una domanda retorica. La medesima particolarità si registra anche in due passi, che si devono rispettivamente a Richard Nixon e a Bill Clinton e risalgono al 1968 e al 1995:
“Se guardiamo l’America oggi, vediamo città avvolte in fumo e fiamme. Sentiamo il suono delle sirene per tutta la notte. Vediamo gli americani morire in campi di battaglia all’estero. Vediamo gli americani odiarsi l’un con l’altro, litigare e uccidersi a casa. Mentre assistiamo a tutto ciò milioni di cittadini si chiedono: siamo giunti fin qui per questo? I nostri ragazzi sono morti in Normandia, Corea e Valley Forge per tutto ciò? Ascoltate la risposta a queste domande. È un’altra voce, è una voce calma nel tumulto del gridare. È la voce della grande maggioranza degli americani, quelli dimenticati, quelli che non urlano e non manifestano. La loro risposta è no!” (Riportato in Klaus Davi, I conta balle. Le menzogne per vincere in politica, Marsilio, 2005, p. 39).
“E ora, vi domando: l’ONU non ha forse bisogno di venire riformata? Non è forse vero che è stato sprecato un sacco di soldi, nostri e degli altri paesi membri? Non è forse vero che dev’esservi più controllo sulle spese? Certo che sì. Ma questa è forse una buona ragione per tirare colpi bassi alle Nazioni Unite? No” (In sito web).
Diversi esempi di tale coincidenza sono presenti pure nella relazione di Tony Blair al congresso del Partito laburista di Blackpool del 2004:
“Siamo il primo governo del Dopoguerra sotto cui la criminalità è diminuita, non aumentata. Questo non rassicura nessuno? No. Oggi è meno probabile essere vittima di un crimine che vent’anni fa. Qualcuno ci crede? No. Abbiamo raggiunto il record del numero di agenti di polizia dispiegati, inasprito le leggi su tutto, dalla violenza sessuale alla frode fiscale. Questo significa sentirsi più sicuri? No. Perché il problema non è solo il crimine. È la mancanza di rispetto. È il comportamento antisociale. È lo spacciatore di droga che sta sul ciglio della strada e nessuno sembra poter farci qualcosa. Non è solo una questione di crimine. È una questione di famiglie che lavorano sodo, che osservano le regole ma vedono che chi non lo fa la passa liscia”.
La peculiarità della domanda retorica sta nel non presupporre una reale mancanza d’informazione, ma nel richiedere un assenso o un diniego o comunque una risposta già implicita e dunque l’esclusione delle discordanti. Nell’ambito della linguistica testuale può essere considerata un atto linguistico indiretto, giacché presenta uno scopo apparente (quello di interrogare) e uno reale (quello di affermare), cioè la forma di un enunciato e il valore di un altro. Infatti l’emittente del messaggio esprime un giudizio, sebbene in maniera larvata, sfumata, ossia senza assumersene la responsabilità e senza imporlo al destinatario. Tuttavia, cerca pure di modificarne l’atteggiamento, di orientarlo nella direzione voluta e quindi di ottenerne l’adesione, il consenso (4).
Il grande comunicatore Barack Obama fece ricorso alla soggiunzione, accettando la candidatura per le presidenziali americane del 2008:
“Intendo vincere queste elezioni e mantenere viva la nostra promessa come presidente degli Stati Uniti. Cos’è questa promessa? È la promessa secondo cui ciascuno di noi ha la libertà di fare ciò che vuole della propria vita, ma tutti quanti abbiamo il dovere di trattare gli altri con dignità e rispetto. È la promessa secondo cui il mercato deve remunerare l’iniziativa, l’innovazione e la crescita, ma le aziende devono assumersi la responsabilità di creare posti di lavoro in America, di farsi carico dei lavoratori americani, e di operare nel rispetto delle regole. È la promessa secondo cui il governo non può risolvere tutti i nostri problemi, ma ha il dovere di fare tutto ciò che noi non possiamo fare da soli […] È questa la promessa dell’America – l’idea che ognuno risponde di se stesso, ma che possiamo risollevarci o cadere come una sola nazione; la convinzione profonda che io devo prendermi cura di mio fratello, devo prendermi cura di mia sorella. È questa la promessa che dobbiamo mantenere” (5).
E, riguardo al tema dell’immigrazione, disse:
“Queste persone – i nostri vicini di casa, i nostri compagni di classe, i nostri amici – non sono venute qui per approfittarsi di noi o per spassarsela. Sono venuti per lavorare, per studiare, per arruolarsi nel nostro esercito e soprattutto per contribuire al successo dell’America. Domani volerò a Los Angeles per incontrare alcune di queste studentesse, tra cui una ragazza di nome Astrid Silva. Portata in America a quattro anni, aveva con sé solo un crocefisso, una bambola e il vestitino increspato che indossava. Quando ha iniziato la scuola, non parlava inglese. Si è rimessa in pari con gli altri alunni […] e oggi Astrid Silva è una studentessa universitaria che sta studiando per la sua terza laurea. Siamo una nazione che espelle un’immigrata tenace e promettente come Astrid, o siamo una nazione che trova il modo per accoglierla? Le Scritture ci dicono di non opprimere uno straniero, perché conosciamo il suo cuore, dal momento che un tempo stranieri lo siamo stati anche noi. Concittadini americani, siamo e saremo sempre una nazione di immigrati” (6).
È anche possibile che un locutore si indirizzi ad un unico interlocutore; oppure che si rivolga a sé medesimo e risponda immediatamente, ma comunque sempre allo scopo di stimolare l’attenzione e favorire il coinvolgimento del ricevente. Un’occorrenza si individua in un intervento di Benito Mussolini alla Camera dei Deputati:
“Sono stato molto incertose prendere la parola durante questa discussione che è stata seguita con qualche segno di fastidio da parte del Paese. Mi sono, cioè, domandato se era necessario aggiungere un mio discorso a tutti quelli che sono stati provocati dal discorso della Corona e dal controdiscorso redatto dall’on. Salandra. Poi mi sono detto che evidentemente si aspettavano mie dichiarazioni di ordine squisitamente politico” (7).
Tale estratto attesta la possibilità di “narrativizzare” il proprio monologo interiore, per mezzo di verbi dichiarativi, al fine di rilevare una “deliberazione intima”, che, secondo Chaïm Perelman e Lucie Olbrechts-Tyteca, è “una specie particolare di argomentazione”. Essi citano Isocrate, per il quale “‘gli argomenti di cui ci serviamo quando vogliamo persuadere gli altri con le nostre parole, sono gli stessi di cui ci serviamo quando dobbiamo prendere una decisione e chiamiamo oratori quelli che sanno parlare alla folla e consideriamo assennati quelli che prendono le migliori decisioni nella deliberazione intima’” (8).
Al 42° Congresso del Partito Socialista Italiano, il 22 aprile 1981, Bettino Craxi rivelò:
“Vi confesso, cari compagni, che venendo a Palermo, indotto a una riflessione sulle speranze e le illusioni della storia del nostro paese, sulle promesse mancate, sulle rivoluzioni fallite, sui grandi disegni che non poterono essere realizzati, sono stato trattenuto solo dal timore di essere accusato questa volta di retorica nazionalistica, dal mettere in testa alla relazione due parole semplici: viva l’Italia” (9).
Silvio Berlusconi commentò la sua sconfitta alle elezioni del 21 aprile 1996 così:
“Sarò immodesto, ma io pensavo di essere una risorsa per il Paese… Mi sono detto: hanno un Berlusconi per le mani, con tanta voglia di ammodernare l’Italia, ne approfitteranno. Invece…” (Corriere della Sera, 23 aprile 1996, p. 7).
Il rispondere a una domanda posta a sé medesimi e l’esplicitazione dei propri pensieri possono essere giudicati figure della sincerità, in quanto ciò è funzionale a dimostrare franchezza nel tentativo di suscitare fiducia nel pubblico e ottenerne il consenso. Tuttavia è costante il pericolo di essere accusata di finzione per la retorica. “Quest’ultima come può superare il sospetto di artificio?”, si è chiesto Olivier Reboul. Ecco la sua sorprendente risposta: “Con artifici più raffinati”. Infatti “è un’arte che, come qualunque arte, raggiunge la perfezione nel farsi dimenticare” (10).
Note
(1) “Domanda e risposta in pubblicità”, pubblicato il 21 ottobre 2021.
(2) Luigi Castiglioni, Scevola Mariotti, Vocabolario della lingua latina, Loescher, 1967. Nell’opera La retorica a Gaio Erennio, per designare questo procedimento stilistico, si usano anche i termini “ipofora” e “antipofora”.
(3) S. Bolasco, L. Giuliano, N. Galli de’ Paratesi, Parole in libertà. Un’analisi statistica e linguistica, Manifestolibri, 2006, p. 123.
(4) Angelo Marchese, Dizionario di retorica e di stilistica, Mondadori, 1978, p. 126. Bice Mortara Garavelli, Manuale di retorica, Bompiani, 1991, pp. 134 e 270-271. Francesca Cabasino, Malraux e de Gaulle. Enunciazione e argomentazione nel discorso memorialistico, Bulzoni, 1983, pp. 67-76.
Si veda “La domanda retorica: dall’interrogazione all’affermazione”, pubblicato nel nostro sito il 10 dicembre 2020.
(5) Barack Obama, La promessa americana. Discorsi per la presidenza, Donzelli, 2008, pp. 171-172.
(6) Barack Obama, Un mondo degno dei nostri figli, Garzanti (Edizione speciale per Corriere della Sera), 2017, pp. 183-184.
(7) Paola Desideri, Teoria e prassi del discorso politico, Bulzoni, 1984, pp. 72-73.
(8) Chaïm Perelman, Lucie Olbrechts-Tyteca, Trattato dell’argomentazione. La nuova retorica, Einaudi, 2013, p. 45.
(9) Paola Desideri, Il potere della parola. Il linguaggio politico di Bettino Craxi, Marsilio, 1987, p. 76
(10) Olivier Reboul, Introduzione alla retorica, Il Mulino, 1996, p. 232.