di Giorgio Matza
Nella prima parte di questo articolo abbiamo parlato dell’uso degli exempla e delle figure-esemplari, in riferimento all’eroismo quotidiano della gente comune, da parte di Ronald Reagan, George W. Bush, Barack Obama e Bill Clinton (1).
Talvolta quest’ultimo nella sua autobiografia, per mezzo di una narrazione, ha voluto dimostrare la validità delle leggi emanate dalla sua amministrazione:
<Aveva quasi quarant’anni. Si chiamava Lillie Hardin e aveva trovato da poco lavoro come cuoca. Le domandai se pensava che le persone in buona salute beneficiarie di assistenza sociale dovessero essere costrette ad accettare un lavoro, qualora disponibile. “Certo che sì” rispose. “Altrimenti staremmo tutto il giorno a guardare sceneggiati alla televisione”. Poi domandai a Lillie quale fosse la cosa migliore di una vita senza assistenza e lei rispose senza alcuna esitazione: “Quando va a scuola e gli chiedono che lavoro fa sua madre, mio figlio può dare una risposta”. Era la migliore argomentazione che abbia mai sentito a favore della riforma per l’assistenza sociale>
<Il 5 febbraio [1993] firmai la mia prima legge, riuscendo così a mantenere un altro impegno preso in campagna elettorale […] Gli Stati Uniti si unirono finalmente agli oltre 150 paesi che garantivano ai lavoratori la possibilità di prendersi un breve congedo per la nascita di un figlio o quando un familiare era malato […] Una domenica mattina presto […] mi imbattei in una famiglia che stava visitando la Casa Bianca. Uno dei figli, una ragazzina adolescente, era su una sedia a rotelle ed evidentemente molto malata […] Mi fece molto piacere parlare con quella coraggiosa ragazzina. Mentre mi allontanavo per andarmene, il padre mi fermò per un braccio e, facendomi voltare, mi disse: “Probabilmente la mia bambina non ce la farà, ma queste ultime tre settimane trascorse con lei sono state le più importanti della mia vita. Non avrei mai potuto farlo senza la Family Leave Law”. Agli inizi del 2001, quando per la prima volta presi un volo navetta da New York a Washington come privato cittadino, una delle assistenti di volo mi raccontò di aver avuto entrambi i genitori gravemente malati nello stesso periodo, uno di cancro e l’altro di Alzheimer. Non c’era nessuno che potesse occuparsi di loro durante gli ultimi giorni di vita tranne lei e la sorella, che non avrebbero mai potuto farlo se non ci fosse stata la Family Leave Law>
<Alla conclusione di un comizio a Longview, Texas, mentre stringevo mani, conobbi diverse persone, fra cui la madre single di due figli che aveva rinunciato ai sussidi per prestare servizio negli AmeriCorps e che, grazie a una borsa di studio, frequentava il Kilgore Junior College; un’altra donna che si era avvalsa della legge sui permessi parentali quando il marito si era ammalato di cancro e un veterano del Vietnam, soddisfatto dell’assistenza medica e dell’invalidità riconosciute ai bambini nati con la spina bifida a causa dell’Agent Orange cui erano stati esposti i loro padri durante la guerra. Aveva con sé la figlia dodicenne affetta da quella malformazione, che si era già sottoposta a più di dieci interventi chirurgici> (2).
Exempla e figure-esemplari emergono in altre pagine dell’autobiografia di Bill Clinton, come nei passi seguenti, nei quali si presenta come destinatario di un contratto programmatico (nel primo) e di un mandato fiduciario (nel secondo e nel terzo):
<Strinsi la mano a camerieri e cuochi, come facevo sempre. Uno di loro, Dimitrios Theofanis, mi coinvolse in una breve conversazione che fece di lui un amico per la vita. “Mio figlio di nove anni studia le elezioni a scuola e dice che dovrei votare per lei. Se lo faccio, voglio che renda libero il mio bambino. In Grecia eravamo poveri ma liberi. Qui mio figlio non può giocare da solo nel parco di fronte a casa o andare a piedi da solo a scuola perché è troppo pericoloso. Non è libero. Allora, se voto per lei, gli darà la libertà?” Per poco non piansi. Avevo davanti un uomo a cui importava davvero quello che avrei potuto fare per la sicurezza di suo figlio. Gli dissi che i poliziotti di quartiere, che avrebbero pattugliato gli isolati e conosciuto i residenti, avrebbero potuto fare molto e che mi ero impegnato a finanziarne l’assunzione di 100.000>
<Ricevetti una richiesta davvero memorabile il 20 febbraio [1993] […] Anastasia Somoza era una bella ragazza di New York costretta su una sedia a rotelle da una paralisi cerebrale. Mi spiegò che aveva una sorella gemella, Alba, affetta dalla stessa malattia, la quale però, a differenza di lei, non poteva parlare. “Quindi, dato che non può parlare, l’hanno messa in una classe speciale. Ma lei usa il computer per comunicare e vorrei che potesse frequentare una classe normale come me” […] Ci volle circa un anno, ma alla fine Alba venne ammessa in una classe normale. Hillary e io ci siamo tenuti in contatto con la famiglia Somoza e nel 2002 ho pronunciato un discorso alla cerimonia di consegna del diploma alle due ragazze. Entrambe hanno proseguito gli studi all’università, perché Anastasia e i suoi genitori sono decisi a offrire ad Alba tutte le opportunità che merita e non si vergognano di chiedere aiuto agli altri, me compreso>
<I repubblicani proponevano addirittura di tagliare i servizi e gli aiuti necessari ai disabili […] Una sera ricevetti una telefonata da Tom Campbell, mio compagno di stanza per quattro anni a Georgetown. Tom era un pilota di linea che conduceva una vita confortevole ma non era affatto ricco. Con una voce incrinata, mi confessò di essere preoccupato per le proposte dei tagli al bilancio inerenti i servizi per i disabili. Sua figlia Clara aveva una paralisi cerebrale, come la sua migliore amica, cresciuta da una madre nubile che lavorava a salario minimo, con un’ora di autobus all’andata e una al ritorno dal posto di lavoro. Tom […] mi chiese: “Fammi capire bene: a me daranno un taglio alle tasse e alla mamma dell’amica di Clara taglieranno gli aiuti per pagare la sedia a rotelle della bambina e le quattro o cinque paia di costose scarpe speciali di cui ha bisogno ogni anno e l’abbonamento gratuito per andare e tornare dal suo posto di lavoro a salario minimo?”. “L’hai detto” risposi. E lui allora: “Bill, è immorale. Devi impedirlo”> (3).
Gli uomini politici ricorrono spesso all’esempio per mettere in rilievo le loro qualità. E così la situazione personale di una ragazzina, rimasta senza la mamma a causa dell’attentato alle Torri Gemelle, è rappresentata in uno spot molto efficace per il suo forte impatto emotivo, realizzato nel 2004 per la rielezione di George W. Bush. L’obiettivo è quello di provare il suo interessamento per la gente comune che ha vissuto un’immane tragedia. Tutto nasce da una fotografia, nella quale si fissa un gesto spontaneo del presidente, ritratto mentre abbraccia un’adolescente. Ecco come Christian Salmon ha esposto il contenuto del videoclip: <“Mia moglie Wendy è stata assassinata l’11 settembre dai terroristi…”. Sono queste le parole con cui si apre Ashley’s Story. L’uomo che si rivolge alla telecamera è in piedi, in maniche di camicia, davanti alla libreria di casa. Il suo nome è scritto in basso sullo schermo: Lynn Faulkner, Mason, Ohio […] La voce del narratore continua fuori campo: “Dalla morte di sua madre, Ashley, la bambina dei Faulkner, si è chiusa in se stessa […] Ma quando il presidente George W. Bush è venuto a Lebanon, Ashley è andata a vederlo, come aveva fatto quattro anni prima con sua madre” […] Scorrono le immagini di Bush che stringe mani tra la folla. Linda Prince, un’amica dei Faulkner che accompagnava Ashley il giorno del meeting, racconta come sono andate le cose: “Il presidente veniva verso di me. Allora gli ho detto: ‘Signor presidente, questa ragazza ha perduto sua madre al World Trade Center’”. “Lui si è voltato”, prosegue Ashley Faulkner, ripresa alcune settimane dopo nel giardino di casa, “e mi ha detto: ‘So che è difficile. Come stai?’”. Linda Prince: “Il nostro presidente allora ha preso Ashley tra le braccia e se l’è stretta al cuore”. La telecamera mostra la foto di Ashley tra le braccia di Bush. “Ed è stato allora che abbiamo visto gli occhi di Ashley riempirsi di lacrime”. Ashley Faulkner: “È l’uomo più potente del mondo e vuol essere sicuro che io stia bene, che per me sia tutto OK”> (4).
Alcuni presidenti americani hanno utilizzato l’exemplum e si sono proposti come figure-esemplari, quando hanno parlato della loro vita per dimostrare che la provenienza da una famiglia modesta non può impedire di conquistare la presidenza degli Stati Uniti d’America.
Nella sua autobiografia Bill Clinton ha raccontato della madre e delle <difficoltà che aveva incontrato da giovane vedova con un bambino da crescere […] “Mi ha insegnato a combattere sempre, sempre, sempre”> (5).
E Barack Obama nel discorso di accettazione della candidatura, pronunciato a Denver, Colorado, il 28 agosto 2008, ha detto: <Ripenso a mia madre, che ha cresciuto da sola me e mia sorella lavorando e intanto guadagnandosi una laurea; e che pur vedendosi a un certo punto costretta a ricorrere ai sussidi è riuscita lo stesso a mandarci nelle migliori scuole del paese grazie ai prestiti per l’istruzione e alle borse di studio> (6).
Di umili origini era anche Jimmy Carter, <il primo della sua famiglia ad aver finito le scuole superiori e a poter frequentare l’università. Lo stesso Carter dichiarò: “Abbiamo sempre lavorato sodo per sopravvivere, sappiamo cosa significa lavorare”> (7).
L’esempio rientra nel logos, cioè lo strumento retorico razionale caratterizzato, come ha osservato Olivier Reboul, dalla <attitudine a convincere grazie alla sua apparenza di logicità e al fascino del suo stile> e che quindi <concerne l’argomentazione propriamente detta>. È costituito perciò da ogni argomento, nel senso di <proposizione destinata a farne ammettere un’altra>. Tuttavia quello di cui stiamo trattando, come risulta da diversi casi analizzati, può derivare la sua efficacia dal collegamento con il pathos, ossia il mezzo di persuasione di ordine affettivo con il quale l’emittente del messaggio tende a originare vari sentimenti nel ricevente al fine di coinvolgerlo maggiormente. Infatti <per creare l’emozione – hanno scritto Chaïm Perelman e Lucie Olbrechts-Tyteca – è indispensabile la specificazione, poiché le nozioni generali, gli schemi astratti non agiscono sull’immaginazione. Il Whately osserva in una nota che un uditorio, rimasto insensibile di fronte a informazioni generiche sulla carneficina che caratterizzò la battaglia di Fontenoy, fu commosso fino alle lacrime da un particolare relativo alla morte di due giovani [R. D. D. WHATELY, Elements of Rhetoric, p. 130]> (8).
Allo stesso modo, per Iosif Stalin, leader dell’Unione Sovietica durante la seconda guerra mondiale, <la morte di un solo soldato russo è una tragedia. Un milione di morti è un dato statistico> (9).
Del legame fra specificazione ed emozione era probabilmente consapevole il dirigente del Partito comunista italiano Lucio Libertini. Nella Tribuna Politica Flash del 22 ottobre 1980, alla fine di un grave conflitto del lavoro alla Fiat, cercò evidentemente di produrre compassione nel pubblico con una piccola storia: <In una fredda serata dello sciopero, dinanzi alla porta 16 di Mirafiori, […] una giovane operaia mi ha detto: “Perché tanti vogliono offenderci e sporcarci, non si può con i nostri soldi comprare un solo minuto alla televisione per dire che noi, operai, ci sacrifichiamo per la nostra famiglia, il lavoro e la libertà di tutti?”>. Il compatimento raggiungeva il culmine soprattutto grazie alla conclusione, nella quale il locutore si rivolgeva direttamente e inaspettatamente alla stessa protagonista del racconto: <Vorrei, cara compagna che forse mi ascolti, dirlo qui con la tua esile voce di immigrata meridionale> (10).
Per Perelman e Olbrechts-Tyteca, <una delle preoccupazioni dell’oratore sarà quella di rendere presente, solo grazie alla magia della sua parola, ciò che in realtà è assente> (11). Per dare l’impressione della presenza è necessario precisare il momento, il luogo e altri dettagli di un’azione, proprio come fa Libertini a proposito del suo incontro, avvenuto <in una fredda serata>, <dinanzi alla porta 16 di Mirafiori>, con la <giovane operaia> dalla <esile voce di immigrata meridionale>. Di lei inoltre si riporta testualmente il discorso con un effetto di massima immediatezza e dunque di realtà.
Secondo l’oratore romano Marco Antonio, citato da Cicerone, <si suscita la pietà, se otteniamo che l’ascoltatore veda nelle tristi vicende che gli esponiamo qualche cosa di simile a quello che egli ha sofferto o teme di soffrire, in modo che, guardando ai casi di un altro, sia portato a pensare a se stesso. In verità, se le singole vicende delle umane sventure provocano sincero dolore, qualora vengano esposte con tono patetico, la vista della virtù abbattuta ed affranta riesce sommamente dolorosa> (12).
La maggiore percezione del particolare, del concreto rispetto al generale, all’astratto emerge nel seguente estratto dall’intervento di Tony Blair al congresso del Partito laburista di Blackpool: <Siamo il primo governo del Dopoguerra sotto cui la criminalità è diminuita, non aumentata. Questo non rassicura nessuno? No. Oggi è meno probabile essere vittima di un crimine che vent’anni fa. Qualcuno ci crede? No. Abbiamo raggiunto il record del numero di agenti di polizia dispiegati, inasprito le leggi su tutto, dalla violenza sessuale alla frode fiscale. Questo significa sentirsi più sicuri? No. Perché il problema non è solo il crimine. È la mancanza di rispetto. È il comportamento antisociale. È lo spacciatore di droga che sta sul ciglio della strada e nessuno sembra poter farci qualcosa. Non è solo una questione di crimine. È una questione di famiglie che lavorano sodo, che osservano le regole ma vedono che chi non lo fa la passa liscia> (13).
Ci si può ispirare all’exemplum pure attuando una certa azione, che svolge così una funzione argomentativa. Infatti ad un esperto di comunicazione non si chiede più soltanto: <come lo dico?>, oppure: <che cosa dico?>, ma anche: <come devo comportarmi?>. Riferendosi alle elezioni presidenziali americane del 1960, Klaus Davi ha sostenuto che <gli atti simbolici sono più importanti di tanti comizi e dichiarazioni programmatiche. Ad esempio diversi politologi americani identificano la vittoria di Kennedy in un gesto compiuto dal candidato democratico passato ormai alla storia: la telefonata personale fatta alla moglie di Martin Luther King Jr., mentre il leader nero era in prigione>. Poi <la chiamata del futuro presidente fu seguita da una seconda telefonata, quella del fratello Robert, allora campaign manager di JFK, al giudice della Georgia perché rivedesse il caso King. Detto fatto: dopo la seconda telefonata, non passò molto che King fu rilasciato. E Richard Nixon? Non fece nulla. Rimase completamente in silenzio sull’intera faccenda […] Se fino a quel momento gli afro-americani erano rimasti indecisi su come votare, la telefonata e la liberazione da parte di Kennedy fornirono loro un’ottima ragione per schierarsi coi democratici> (14).
NOTE
(1) <Exempla e figure-esemplari nel discorso politico negli Stati Uniti (I parte)>, pubblicato il 16 febbraio.
(2) BILL CLINTON, My life, pp. 352 e 523-524, 783.
(3) BILL CLINTON, op. cit., pp. 415, 519-520, 715.
(4) CHRISTIAN SALMON, Storytelling. La fabbrica delle storie, Fazi Editore, 2008, p. 95.
(5) BILL CLINTON, op. cit., p. 446.
(6) BARACK OBAMA, La promessa americana. Discorsi per la presidenza, Donzelli, 2008, p. 171.
(7) KLAUS DAVI, I conta balle. Le menzogne per vincere in politica, Marsilio, 2005, p. 54.
(8) OLIVIER REBOUL, Introduzione alla retorica, Il Mulino, 1996, pp. 36, 70, 110 e CHAΪM PERELMAN, LUCIE OLBRECHTS-TYTECA, Trattato dell’argomentazione. La nuova retorica, Einaudi, 2013, p. 159.
(9) ANTHONY R. PRATKANIS, ELLIOT ARONSON, Psicologia delle comunicazioni di massa. Usi e abusi della persuasione, Il Mulino, 1996, pp. 149. Per causare un giudizio negativo verso un capo di Stato, può rivelarsi utile addirittura riferirsi alle calzature della moglie. Effettivamente – per i due autori – l’immagine di <un armadio a muro pieno di centinaia di paia di scarpe, di vari colori, fogge e usi […] è servita come simbolo dell’incredibile grado di corruzione che caratterizzò la lunga permanenza di Ferdinando Marcos alla presidenza delle Filippine> (p. 246).
(10) Riportato in PAOLO MANCINI, <Strategie del discorso politico>, in Problemi dell’informazione, n° 2, 1981, pp. 213-214.
(11) CHAΪM PERELMAN, LUCIE OLBRECHTS-TYTECA, op. cit., p. 127.
(12) M. TULLIO CICERONE, Dell’oratore, libro II, in Opere retoriche, a cura di G. NORCIO, UTET, 1976, p. 357.
(13) Riportato in sito web.
(14) KLAUS DAVI, op. cit., pp. 214 e 215.