Giosuè Carducci, Pianto antico, 1887

Pianto antico di Giosuè Carducci: testo, analisi e commento

Pianto antico è un componimento di Giosuè Carducci dedicato al figlio Dante, scomparso nel 1870 per tifo, all’età di tre anni. La poesia dovrebbe risalire a giugno 1871, ed è inserita nella raccolta Rime Nuove del 1887. Vediamo testo, analisi metrica e stilistica e spiegazione di Pianto antico di Carducci.

Pianto antico di Giosuè Carducci: testo completo

L’albero a cui tendevi

la pargoletta mano,

il verde melograno

da’ bei vermigli fior,

nel muto orto solingo

rinverdì tutto or ora,

e giugno lo ristora

di luce e di calor.

Tu fior de la mia pianta

percossa e inaridita,

tu de l’inutil vita

estremo unico fior,

sei ne la terra fredda,

sei ne la terra negra

né il sol più ti rallegra

né ti risveglia amor.

Analisi metrica e figure retoriche

È un’ode anacreontica, cioè conforme allo stile dell’autore greco Anacreonte (570 ca. – 490 ca. a.C.), composta da quattro quartine di versi settenari, con una rima baciata tra il secondo e il terzo e una rima, unica, collegante tutti gli ultimi versi (il quarto, l’ottavo, il dodicesimo e il sedicesimo), che sono tronchi, ossia con l’accento sull’ultima sillaba (e perciò se ne deve contare una in più), in conseguenza dell’apocope  alla fine di ognuno di essi (“fior”, “calor”, “fior”, “amor”).

Un tipo particolare di paronomasia è quella rovesciata, consistente nella presenza di due parole, che costituiscono l’una il rovescio dell’altra e dunque possono essere lette all’indietro, come riflesse in uno specchio. Nella poesia che stiamo analizzando, tale interessante fenomeno riguarda, anche se non integralmente, “pARGOLEtta” nel secondo verso (ELOGRA), con riferimento alla mano di un bambino e “mELOGRAno” nel terzo verso (ARGOLE). Potrebbe non essere dovuto al caso, bensì in qualche modo all’intenzione di sottolineare, sfruttando le potenzialità imitative della realtà possedute dalle strutture della lingua (iconismo linguistico), la disuguaglianza tra l’organismo vegetale e la manina sulla base della divergenza grande/piccolo.

Al pari di ogni figura fonica, quali sono le due or ora menzionate, una certa musicalità crea l’enjambement: per esempio, nei versi 1-2 (si dividono il predicato verbale e il complemento oggetto: (“tendevi / la pargoletta mano”), nei versi 5-6 (complemento di stato in luogo e predicato verbale: “nel muto orto solingo / rinverdì”), nei versi 7-8 (predicato verbale e complemento di mezzo: “ristora / di luce e di calor”), nei versi 9-10 (sostantivo e aggettivo: “pianta / percossa”), nei versi 11-12 (complemento di specificazione e complemento predicativo del soggetto: “de l’inutil vita / estremo unico fior”). È meno comune (e pertanto colpisce maggiormente l’attenzione) la separazione tra due strofe. In Pianto antico avviene tra la prima e la seconda e tra la terza e la quarta.

L’opera si divide in due parti. Nella prima parte (strofe I e II) Carducci rammenta suo figlio Dante, deceduto prematuramente, che giocava in un giardino. La grave perdita rappresenta il motivo occasionale, la circostanza su cui s’incentra la lirica. Nella seconda parte (strofe III e IV), mediante la metafora, emergono implicitamente due confronti: uno tra il bimbo (“tu fior” nel v. 9 e “estremo unico fior” nel v. 12) e l’albero appena rifiorito e uno, per contrasto, tra esso e il poeta (“pianta percossa e inaridita” nel v. 10).

Si sviluppa il tema fondamentale del divario tra la vita e la morte, simboleggiate rispettivamente dalle immagini del “verde melograno”, dei “vermigli fior”, della “luce”, del “calor” (vv. 1-8) e della “pianta percossa e inaridita”, della “terra fredda”, della “terra negra” (vv. 9-16).

È evidente l’opposizione tra due isotopie semantiche (serie di elementi omogenei sul piano del significato), formate da vocaboli indicanti sensazioni positive (“verde”, “vermigli”, “rinverdì”, “luce”, “calor”) e negative (“fredda”, “negra”). Possiamo considerare l’antitesi il motivo centrale, vale a dire, nella spiegazione di Olivier Reboul, il “procedimento retorico […] che funge da principio organizzatore del testo” (Introduzione alla retorica, Il Mulino, 1996, p. 197).

Tra “luce” e “calor” nel verso 8 e “fredda” e “negra” nei versi 13 e 14, con la collocazione a croce di nomi appartenenti a due sfere sensoriali differenti (vista + tatto e tatto + vista), si manifesta chiaramente l’esistenza del chiasmo, che assume il valore di iconismo sintattico: è come se si mirasse al rafforzamento delle dicotomie luminoso/oscuro e caldo/freddo.

Individuiamo la stessa figura retorica, questa volta per la disposizione incrociata di termini connessi tra loro sintatticamente, nei vv. 15-16: “sol rallegra” (soggetto + predicato verbale) e “risveglia amor” (predicato verbale + soggetto). L’inversione dell’ordine normale, lampante nella seconda frase, è la caratteristica dell’anastrofe. Un’ulteriore occorrenza è nei vv. 11-12: “tu dell’inutil vita / estremo unico fior”. Il mutamento dipende massimamente da un’esigenza legata alla rima: devono situarsi in fondo al verso “vita” (v. 11), “fior” (v. 12), “amor” (v. 16).

Tornando alla registrazione dei dati percepiti attraverso i sensi, il discorso acquista una funzione mimetica, giacché si crea un’apparenza di realtà e abbiamo l’impressione di trovarci veramente davanti a quanto viene descritto o raccontato.

In tutta la poesia, l’autore si rivolge al suo bambino e non al destinatario reale, convenzionale del messaggio, che è il lettore: è la peculiarità dell’apostrofe.

La terza strofa si segnala per l’epanadiplosi con l’iterazione di “fior” all’inizio e alla fine.

La quarta strofa contiene vari effetti speciali della lingua, a partire dall’anafora: “sei ne la terra” (vv. 13-14) e “né” (vv. 15-16). Nel primo caso, con “fredda” (v. 13) e “negra” (v. 14), produce un isocolo. Il risultato di un simile artificio stilistico, incentrato sulla simmetria, è il ritmo. Esso – ha rilevato Olivier Reboul – “ha per gli antichi un’importanza capitale, perché è la musica del discorso, ciò che rende l’espressione armoniosa o sorprendente, sempre facile da ricordare”. Invero, “i proverbi, gli slogan, le frasi fatte hanno spesso un ritmo loro proprio che li incide nella memoria” (op. cit., p. 133).

In riferimento alla scomparsa del piccolo, si utilizza la metalepsi. Ecco la definizione di Pierre Fontanier: “Consiste nel sostituire l’espressione indiretta all’espressione diretta, cioè, nel fare intendere una cosa per un’altra, che la precede, la segue o l’accompagna, ne costituisce un’aggiunta, una circostanza qualunque, o infine vi si ricollega o vi si rapporta in modo da richiamarla subito alla mente” (Les figures du discours, 1991, pp. 127-128, citato in Olivier Reboul, Introduzione alla retorica, Il Mulino, 1996, pp. 150-151).

Carducci si sofferma su quattro dettagli: “Sei ne la terra fredda, / sei ne la terra negra: / né il sol più ti rallegra / né ti risveglia amor” (vv. 13-16). Ripete dunque la medesima idea in forme linguistiche diverse. Impiega quindi il ritocco, un tipo di indugio.

Bibliografia

  • Gianfranca Lavezzi, Breve dizionario di retorica e stilistica, Carocci, 2004.
  • Angelo Marchese, Dizionario di retorica e di stilistica, Oscar Studi Mondadori, 1978.
  • Bice Mortara Garavelli, Manuale di retorica, Bompiani, 1988.
  • Federico Roncoroni, Testo e contesto, Arnoldo Mondadori Editore, 1985.