I rari interventi della regina Elisabetta non sono frequenti e, forse anche per questo, diventano memorabili. Tutto il contrario degli sproloqui politici contemporanei e della loro sovraesposizione mediatica
Il discorso televisivo della Regina Elisabetta, tenuto il 5 aprile, la domenica delle Palme, ha destato l’attenzione del pubblico, non solo nel Regno Unito, per il suo carattere di eccezionalità.
In precedenza, oltre che tradizionalmente per il Natale, era intervenuta solo in occasione della guerra in Iraq nel 1991, della tragica scomparsa della principessa Diana nel 1997, della morte della regina madre nel 2002 e del sessantesimo anniversario dell’ascesa al trono (il cosiddetto “Giubileo di Diamante”) nel 2012. L’allocuzione ha suscitato ammirazione anche per la sua incisività, che si deve al ricorso agli strumenti della retorica, la disciplina che ha per obiettivo proprio l’efficacia della comunicazione.
Fin dall’esordio ha manifestato un sentimento d’inquietudine: “Vi sto parlando in quello che so essere un momento denso di preoccupazioni. Un momento di turbamento nella vita del nostro paese: un turbamento che ha causato dolore ad alcuni, difficoltà finanziarie a molti ed enormi cambiamenti alla vita quotidiana di tutti noi” (1).
Il passaggio da “alcuni” a “molti” e a “tutti noi” costituisce un climax, cioè una serie di espressioni disposte in una gradazione ascendente, per suggerire una progressiva amplificazione: si passa dal termine più debole al più forte; il seguente è più ricco di significato rispetto al precedente (2). Nello specifico, in qualche modo, è come se si volesse riprodurre icasticamente il graduale aggravarsi della situazione. Si verifica dunque il fenomeno dell’iconismo linguistico, ossia lo sfruttamento delle potenzialità imitative della realtà possedute dalle strutture della lingua. Il crescendo si attua pure per mezzo di una particolarità (ovviamente non solo nella trasposizione in italiano), che riguarda i tre segmenti testuali, contenenti i vocaboli presi in esame: il primo (“dolore ad alcuni”) è meno esteso del secondo (“difficoltà finanziarie a molti”), che, a sua volta, lo è in confronto al terzo (“enormi cambiamenti alla vita quotidiana di tutti noi”).
Possiamo intendere in un senso più complessivo, riferendoci a sequenze di diverse parole, un giudizio di Roman Jakobson: “In una successione di due nomi coordinati, e quando non interferisca un problema di gerarchia, il parlante sente inconsciamente, nella precedenza data al nome più corto, la miglior configurazione possibile del messaggio” (3).
S’identificano ancora esempi di enumerazione con tre elementi:
“In tutto il Commonwealth e in tutto il mondo, abbiamo visto storie commoventi di persone che si uniscono per aiutare gli altri, sia attraverso la consegna di pacchi di cibo e medicine, il controllo dei vicini o la conversione di aziende per sostenere lo sforzo dei soccorsi”
“[L’autoisolamento] rappresenta un’opportunità per rallentare, mettere in pausa e riflettere”
“Saremo di nuovo con i nostri amici; saremo di nuovo con le nostre famiglie; ci rincontreremo”: traduzione di “We will be with our friends again, we will be with our families again; we will meet again”.
L’ultima affermazione, che si trova nella conclusione, si contraddistingue indubbiamente per una maggiore intensità espressiva nell’originale grazie alla simploche, consistente nella combinazione di anafora (ripetizione di una o più parole all’inizio di due o più frasi successive: “we will”) ed epifora (ripetizione di una o più parole alla fine di due o più frasi successive: “again”). Come ogni forma d’iterazione, svolge la funzione di figura della presenza, avendo “per effetto di rendere attuale alla coscienza l’oggetto del discorso” (4). Così si rafforza l’idea che si vuole esporre e s’induce ad avere fiducia nel ritorno a condizioni di vita normali. Si compie quindi un’azione spettante a chi ricopre il ruolo di capo di uno Stato.
In generale nei tre i casi è evidente il ritmo ternario. Giorgio Fedel ha osservato che “dal punto di vista ritmico, le accumulazioni con più di tre membri possono risultare poco incisive per eccesso, le strutture binarie lo possono essere per difetto. Quelle ternarie invece sembrano le più ‘armoniche’”. E ha citato una considerazione di Adam Smith (Lezioni di retorica e belle lettere, 1993, p. 420): “Tre… è il numero più appropriato… questo numero viene molto più facilmente compreso e appare molto più completo di due o quattro. Nel numero tre, infatti, c’è un centro e vi sono due estremi, mentre nei numeri due e quattro non c’è alcun centro sul quale l’attenzione si possa fissare di modo che ciascuna parte sembri legata ad esso” (5).
Un peculiare valore acquista il passo seguente: “Spero che negli anni a venire tutti saranno orgogliosi di come hanno risposto a questa sfida. E che quelli che verranno dopo di noi potranno dire che i britannici di questa generazione erano forti come quelli di tutte le generazioni che l’hanno preceduta. Che gli attributi dell’autodisciplina, della quieta risolutezza e della fratellanza caratterizzano ancora questo paese. L’orgoglio per ciò che siamo non fa parte del nostro passato, definisce il nostro presente e il nostro futuro”.
Si contano due ulteriori occorrenze di elencazione trimembre: “autodisciplina”, “quieta risolutezza”, “fratellanza” e “nostro passato”, “nostro presente”, “nostro futuro”. Nella seconda Elisabetta si muove su piani temporali diversi come in precedenza, parlando di “quelli che verranno dopo di noi”, dei “britannici di questa generazione” e di “quelli di tutte le generazioni che l’hanno preceduta”. Nel complesso, cerca di consolidare la fierezza, pure con le parole chiave “orgogliosi” e “orgoglio”, quale prodotto dell’adozione di comportamenti virtuosi, che, riferendosi a periodi differenti, indica come una costante dell’identità del suo popolo. Si attua dunque un’interazione fra il pathos, con cui l’emittente del messaggio tende a suscitare nel ricevente vari sentimenti e l’ethos, nello specifico il “carattere” dell’intera comunità. I due mezzi persuasivi di ordine affettivo si succedono in altri passaggi:
“I momenti in cui il Regno Unito si è riunito per applaudire il suo essere solidale e i suoi lavoratori essenziali saranno ricordati come espressione del nostro spirito nazionale”.
“Dobbiamo consolarci pensando che nonostante potremmo avere ancora molto da patire, torneranno giorni migliori”.
Il logos è invece uno strumento retorico razionale, che “concerne l’argomentazione propriamente detta” (6). Nel discorso della regina è possibile scoprirla, partendo da due estratti:
“Voglio ringraziare tutti coloro che sono in prima linea nel NHS (il sistema sanitario britannico, ndt), così come gli operatori sanitari e coloro che svolgono ruoli essenziali, che continuano disinteressatamente le loro attività quotidiane fuori casa a sostegno di tutti noi. Sono sicura che la nazione si unirà a me per assicurarvi che ciò che fate è apprezzato e che ogni ora del vostro duro lavoro ci avvicina al ritorno a tempi più normali”.
“Voglio anche ringraziare quelli di voi che stanno a casa, contribuendo in tal modo a proteggere le persone vulnerabili e risparmiando a molte famiglie il dolore già provato da coloro che hanno perso i propri cari. Insieme stiamo affrontando questa malattia e voglio rassicurarvi sul fatto che se resteremo uniti e risoluti, la supereremo”.
Vi sono inclusi gli argomenti del superamento, che “insistono sulla possibilità di andare sempre più lontano in un senso determinato” e l’uso in positivo dell’argomento pragmatico, “che permette di valutare un atto o un evento in funzione delle sue conseguenze favorevoli o sfavorevoli”. Esso “ha una funzione talmente essenziale nell’argomentazione, che certuni hanno voluto vedervi lo schema unico della logica dei giudizi di valore: per apprezzare un evento bisogna partire dai suoi effetti” (7).
A proposito dell’emergenza originata dal SARS-CoV-2, l’oratrice non ha impiegato la metafora della guerra, utile, specialmente nel linguaggio giornalistico, per sottolinearne la gravità, ma che sarebbe risultata convenzionale in un’allocuzione solenne. Invece, richiamandosi all’“autoisolamento” e comunque senza ricorrere a vocaboli appartenenti al campo semantico bellico, ha istituito un parallelo con il secondo conflitto mondiale, che coinvolse il Regno Unito e rappresentò per lei, adolescente, una dura esperienza, in particolare per il lungo allontanamento dai genitori: “Mi ricorda la prima trasmissione che ho realizzato, nel 1940, aiutata da mia sorella. Da bambini, abbiamo parlato da qui a Windsor con i bambini che erano stati evacuati dalle loro case per la loro sicurezza. Oggi, ancora una volta, molti sentiranno un doloroso senso di separazione dai loro cari. Ma ora, come allora, sappiamo, nel profondo, che è la cosa giusta da fare”.
Attraverso gli avverbi “ora” e “allora” si delinea l’analogia, l’argomento che consiste in una somiglianza di rapporto, in base alla formula generale A : B = C : D, ossia, molto schematicamente, il doloroso senso di separazione dai loro cari, che molti sentiranno sta all’epidemia provocata dal coronavirus come l’evacuazione dei bambini dalle loro case per la loro sicurezza sta allo scontro fra forze armate. I due insiemi di termini costituiscono il “tema” (A e B) e il “foro” (C e D). Fra i loro elementi simmetrici (A e C, B e D) si attua un avvicinamento (8) e l’uditorio ne ricava facilmente che le due situazioni si assomigliano.
Nella fattispecie il meccanismo analogico è associato alla tecnica del “precedente”. Per Chaïm Perelman e Lucie Olbrechts-Tyteca, “si può presumere, fino a prova contraria, che l’atteggiamento precedentemente adottato – opinione espressa, condotta prescelta – continuerà in avvenire”. Poi gli autori si soffermano “sul fatto che la ripetizione di una stessa condotta non dev’essere giustificata, contrariamente a quanto succede per la deviazione e per il cambiamento” (9). Su simili concetti pare incentrata la frase: “Ora, come allora, sappiamo, nel profondo, che è la cosa giusta da fare”.
Nella struttura del discorso si segue l’ordine omerico o nestorico (da Nestore, il nome del re di Pilo, che partecipò alla spedizione a Troia, come si racconta nel quarto libro dell’Iliade), per il quale “bisogna incominciare e finire con gli argomenti più forti” (10). Tuttavia nel caso specifico il pathos prevale sul logos e nell’esordio e nella conclusione si manifestano sentimenti, rispettivamente l’inquietudine e la fiducia, ognuno messo in risalto, come abbiamo già visto, con una figura retorica, il climax e la simploche.
Rileggiamo i passi relativi:
“Vi sto parlando in quello che so essere un momento denso di preoccupazioni. Un momento di turbamento nella vita del nostro paese: un turbamento che ha causato dolore ad alcuni, difficoltà finanziarie a molti ed enormi cambiamenti alla vita quotidiana di tutti noi”.
“We will be with our friends again, we will be with our families again; we will meet again”.
Dopo poco più di un mese, l’8 maggio, la Regina Elisabetta è nuovamente intervenuta in televisione, in occasione della ricorrenza del 75° anniversario della vittoria sulla Germania nazista, che segnò l’epilogo della seconda guerra mondiale, per lo meno in Europa. Ritroviamo dei procedimenti già analizzati, come l’enumerazione con tre componenti, che produce un ritmo ternario:
“La guerra fu una guerra totale, colpì tutti e nessuno fu immune dal suo impatto. Né gli uomini e le donne chiamati a servire; né le famiglie separate l’una dall’altra; né le persone che chiesero di avere una funzione o un’attività per sostenere lo sforzo bellico: tutti hanno avuto un ruolo da svolgere”
“All’inizio, la prospettiva era sembrata desolante, la fine lontana, il risultato incerto”
“Sono grata per la forza e il coraggio mostrati dal Regno Unito, dal Commonwealth e da tutti i nostri alleati”
“I paesi che una volta erano nemici giurati ora sono amici, lavorando fianco a fianco per la pace, la salute e la prosperità di tutti noi”.
“E quando guardo il nostro paese oggi e vedo cosa siamo disposti a fare per proteggerci e sostenerci a vicenda, dico con orgoglio che siamo ancora una nazione che quei coraggiosi soldati, marinai e aviatori riconoscerebbero e ammirerebbero” (11).
Nell’ultimo estratto si tende a creare un effetto di presenza, attraverso il criterio sensoriale: più precisamente si registrano sensazioni visive (“guardo” e “vedo”). Inoltre, come nella precedente allocuzione, interagiscono i due mezzi persuasivi di ordine affettivo: il pathos (“dico con orgoglio […]”) e l’ethos (“siamo ancora una nazione […]”). Per di più riemerge il collegamento fra presente e passato, esplicitati rispettivamente con la voce verbale “siamo” e con l’aggettivo dimostrativo “quei”, che designa individui distanti nel tempo.
Un simile legame si coglie fin dall’inizio del discorso: “Oggi vi parlo alla stessa ora in cui lo fece mio padre, esattamente 75 anni fa”. Nel testo il sintagma nominale “mio padre” viene ripetuto ancora due volte: “Ha notato mio padre” e “parole di mio padre”.
L’oratrice ha rievocato “le scene esultanti alle quali mia sorella e io abbiamo assistito con i nostri genitori e Winston Churchill dal balcone di Buckingham Palace. Il senso di gioia nelle folle che si radunavano fuori e in tutto il paese era profondo”. Poi, quasi in chiusura e quindi in una posizione strategica, ha constatato: “Oggi può sembrare difficile non poter celebrare questo anniversario speciale come vorremmo. Invece lo ricordiamo dalle nostre case e affacciandosi alle nostre porte. Ma le nostre strade non sono vuote; sono piene dell’amore e della cura che abbiamo l’uno per l’altro”.
La conclusione in qualche modo è incentrata sulla dissociazione di una nozione. È la tecnica argomentativa consistente nell’eliminazione di un’incompatibilità: nello specifico fra la ricorrenza di un evento di fondamentale importanza nella storia dello Stato e l’assenza di adeguati festeggiamenti, simboleggiata dalle vie deserte. Perciò si origina la coppia gerarchizzata apparenza/realtà, che deriva chiaramente dall’inconciliabilità fra due aspetti, uno giudicato ingannevole (infatti si puntualizza che “le nostre strade non sono vuote”) e uno corrispondente alla verità (“sono piene dell’amore e della cura che abbiamo l’uno per l’altro”), per cui ovviamente si valorizza il secondo in confronto al primo (12).
L’intensità dell’immagine finale, che si deve alla sua singolarità, è prodotta – non potrebbe essere diversamente – da una figura retorica, una particolare forma espressiva utilizzata per potenziare il messaggio e dunque per rendere più efficace la comunicazione. Si tratta della metonimia, con cui si sostituisce un termine con un altro sulla base di un rapporto di contiguità fra i loro significati. Ne esistono vari tipi. Nella fattispecie si indicano sentimenti, cioè concetti astratti (“amore”, “cura”), i quali però rimandano a persone, che da essi sono concretamente animate: gli operatori della sanità, della sicurezza ecc.
Note
(1) Traduzione riportata in Forbes.it: “Coronavirus, la Regina Elisabetta parla alla nazione in tv. Ecco il testo del discorso”.
(2) Federico Roncoroni, Testo e contesto, Arnoldo Mondadori Editore, 1985, p. 1138
(3) Roman Jakobson, Saggi di linguistica generale, Feltrinelli, 1966, p. 190.
(4) Chaïm Perelman e Lucie Olbrechts-Tyteca, Trattato dell’argomentazione. La nuova retorica, Einaudi, 2013, p. 189.
(5) Giorgio Fedel, Saggi sul linguaggio e l’oratoria politica, Giuffrè, 1999, pp. 129-139.
(6) Olivier Reboul, Introduzione alla retorica, Il Mulino, 1996, p. 70.
(7) Chaïm Perelman e Lucie Olbrechts-Tyteca, op. cit., p. 312 e p. 288.
(8) Sul ragionamento per analogia si veda Chaïm Perelman e Lucie Olbrechts-Tyteca, op. cit., pp. 404-445.
(9) Chaïm Perelman e Lucie Olbrechts-Tyteca, op. cit., pp. 114-115 e 395.
(10) Chaïm Perelman, Lucie Olbrechts-Tyteca, op. cit., p. 537.
(11) Traduzione riportata in www.agi.it, 9 maggio 2020.
(12) Cfr. il Capitolo quarto di Chaïm Perelman e Lucie Olbrechts-Tyteca, op. cit