Strumenti retorici nel discorso del Presidente Sergio Mattarella alla fine del 2021
Nel messaggio trasmesso al termine del 2021 (andato in onda nelle maggiori reti televisive, secondo la consuetudine, la sera del 31 dicembre), Sergio Mattarella ha esordito, palesando alcuni stati d’animo:
“Ho sempre vissuto questo tradizionale appuntamento di fine anno con molto coinvolgimento e anche con un po’ di emozione. Oggi questi sentimenti sono accresciuti dal fatto che, tra pochi giorni, come dispone la Costituzione, si concluderà il mio ruolo di Presidente. L’augurio che sento di rivolgervi si fa, quindi, più intenso perché, alla necessità di guardare insieme con fiducia e speranza al nuovo anno, si aggiunge il bisogno di esprimere il mio grazie a ciascuno di voi per aver mostrato, a più riprese, il volto autentico dell’Italia: quello laborioso, creativo, solidale”.
Poi, nel corso del suo intervento, ha detto:
“Anche nei momenti più bui, non mi sono mai sentito solo e ho cercato di trasmettere un sentimento di fiducia e di gratitudine a chi era in prima linea. Ai sindaci e alle loro comunità. Ai presidenti di Regione, a quanti hanno incessantemente lavorato nei territori, accanto alle persone”.
“Anche in questa occasione, sento di dover esprimere riconoscenza per la leale collaborazione con le altre istituzioni della Repubblica”.
“Alle nuove generazioni sento di dover dire: non fermatevi, non scoraggiatevi, prendetevi il vostro futuro perché soltanto così lo donerete alla società”.
Ed ecco la conclusione:
“Se guardo al cammino che abbiamo fatto insieme in questi sette anni nutro fiducia. L’Italia crescerà. E lo farà quanto più avrà coscienza del comune destino del nostro popolo, e dei popoli europei”.
Nel seguente passo invece si sottintende una profonda delusione a causa di una risposta negativa di una frazione della popolazione:
“Ricordo la sensazione di impotenza e di disperazione che respiravamo nei primi mesi della pandemia di fronte alle scene drammatiche delle vittime del virus. Alle bare trasportate dai mezzi militari. Al lungo, necessario confinamento di tutti in casa. Alle scuole, agli uffici, ai negozi chiusi. Agli ospedali al collasso. Cosa avremmo dato, in quei giorni, per avere il vaccino? La ricerca e la scienza ci hanno consegnato, molto prima di quanto si potesse sperare, questa opportunità. Sprecarla è anche un’offesa a chi non l’ha avuta e a chi non riesce oggi ad averla”.
Con il passaggio dall’unità lessicale, di significato piuttosto generico, “vittime del virus” alla proposizione “bare trasportate dai mezzi militari”, si ottiene un effetto di notevole icasticità. La realtà è rappresentata in modo particolarmente incisivo: ci sembra di vedere o, meglio, rivediamo i feretri sui camion del nostro Esercito. Ne deriva un forte impatto emotivo, quasi a voler accentuare l’amarezza, provocata da chi rifiuta di compiere un’indispensabile azione per la prevenzione di una grave pandemia.
In più è evidente l’impiego di una domanda retorica. Si tratta di una frase interrogativa peculiare, giacché non presuppone una reale mancanza di informazione, ma con essa, si richiede un assenso o un diniego o comunque una risposta già implicita e dunque l’esclusione delle discordanti. Si formula perciò un giudizio, sebbene in maniera velata, senza addossarsene la responsabilità e senza imporlo al destinatario. Comunque si mira a modificarne l’atteggiamento, a orientarlo nella direzione voluta e a ottenerne l’adesione, il consenso. Chaïm Perelman e Lucie Olbrechts-Tyteca la classificano tra le figure della comunione, “con le quali l’oratore si sforza di far partecipare attivamente l’uditorio alla sua esposizione, prendendolo a parte di essa, sollecitando il suo concorso” (1).
Per Pierre Fontanier, “l’interrogazione consiste nell’assumere il costrutto interrogativo, non per segnalare un dubbio o provocare una risposta, ma al contrario per indicare la più alta persuasione e mettere in guardia coloro a cui si parla dal tentare di negare o persino di rispondere”. Per giunta “è atta a esprimere la meraviglia, il dispetto, l’indignazione, la paura, il dolore, tutti gli altri moti dell’animo e viene utilizzata per deliberare, per provare, per descrivere, per accusare, per biasimare, per incitare, per incoraggiare, per dissuadere, in definitiva per gli scopi più diversi” (2).
Dal punto di vista della linguistica pragmatica, appare un atto linguistico indiretto con uno scopo apparente (interrogare) e uno reale (affermare).
Il Capo dello Stato è ricorso inoltre alla tecnica del monologo interiore, accennando ai suoi pensieri:
“Mi tornano in mente i momenti più felici ma anche i giorni drammatici, quelli in cui sembravano prevalere le difficoltà e le sofferenze”.
“In questi giorni ho ripercorso nel pensiero quello che insieme abbiamo vissuto in questi ultimi due anni: il tempo della pandemia che ha sconvolto il mondo e le nostre vite”.
“Pensando al futuro della nostra società, mi torna alla mente lo sguardo di tanti giovani che ho incontrato in questi anni”.
La rivelazione della propria interiorità è un indizio di schiettezza. Si delinea quindi la presenza dell’ethos, costituito dal “carattere che deve assumere l’oratore per accattivarsi l’attenzione e guadagnarsi la fiducia dell’uditorio”. Nello specifico, è associato al pathos, “l’insieme di emozioni, passioni e sentimenti che l’oratore deve suscitare nel suo uditorio grazie al suo discorso” (3).
In qualche caso si rilevano tratti di “personalità” dell’intera Nazione:
“Eppure ci siamo rialzati. Grazie al comportamento responsabile degli italiani”.
“Ho percepito accanto a me l’aspirazione diffusa degli italiani a essere una vera comunità, con un senso di solidarietà che precede, e affianca, le molteplici differenze di idee e di interessi”.
“Dobbiamo ricordare, come patrimonio inestimabile di umanità, l’abnegazione dei medici, dei sanitari, dei volontari. Di chi si è impegnato per contrastare il virus. Di chi ha continuato a svolgere i suoi compiti nonostante il pericolo. I meriti di chi, fidandosi della scienza e delle istituzioni, ha adottato le precauzioni raccomandate e ha scelto di vaccinarsi: la quasi totalità degli italiani, che voglio, ancora una volta, ringraziare per la maturità e per il senso di responsabilità dimostrati”.
“Questo legame [tra istituzioni e società] va continuamente rinsaldato dall’azione responsabile, dalla lealtà di chi si trova a svolgere pro-tempore un incarico pubblico, a tutti i livelli. Ma non potrebbe resistere senza il sostegno proveniente dai cittadini. Spesso le cronache si incentrano sui punti di tensione e sulle fratture. Che esistono e non vanno nascoste. Ma soprattutto nei momenti di grave difficoltà nazionale emerge l’attitudine del nostro popolo a preservare la coesione del Paese, a sentirsi partecipe del medesimo destino. Unità istituzionale e unità morale sono le due espressioni di quel che ci tiene insieme. Di ciò su cui si fonda la Repubblica”.
Nel terzo dei quattro estratti or ora riportati, si palesa una persona che adempie a un impegno morale e contemporaneamente cerca di coinvolgere gli ascoltatori con il verbo “dovere” coniugato al plurale (“Dobbiamo ricordare”).
Una figura retorica dell’ethos è la concessione, giacché attraverso di essa si dimostra sincerità: si ammette un determinato aspetto, magari secondario, per avallare, mediante l’impressione di lealtà che si suggerisce, una tesi, coincidente con l’elemento di maggiore rilievo. Ecco in proposito un brano dall’intervento del Presidente Mattarella:
“I vaccini sono stati, e sono, uno strumento prezioso, non perché garantiscano l’invulnerabilità ma perché rappresentano la difesa che consente di ridurre in misura decisiva danni e rischi, per sé e per gli altri”.
Nel messaggio del Capo dello Stato si contano diverse occorrenze dell’accumulazione, la successione di parole o gruppi di parole, impiegata per rendere più efficace la comunicazione, in quanto si favorisce la percezione di singoli fattori (individui, oggetti, azioni, avvenimenti, situazioni). Inoltre si produce un certo ritmo. Per Olivier Reboul, ha “un’importanza capitale, perché è la musica del discorso, ciò che rende l’espressione armoniosa” (4): per esempio,
“Si aggiunge il bisogno di esprimere il mio grazie a ciascuno di voi per aver mostrato, a più riprese, il volto autentico dell’Italia: quello laborioso, creativo, solidale”.
“Sono stati sette anni impegnativi, complessi, densi di emozioni”.
“Desidero rivolgere un augurio affettuoso e un ringraziamento sincero a Papa Francesco per la forza del suo magistero, e per l’amore che esprime all’Italia e all’Europa, sottolineando come questo Continente possa svolgere un’importante funzione di pace, di equilibrio, di difesa dei diritti umani nel mondo che cambia”.
Scopriamo una serie ordinata di tre frasi:
“Le dinamiche spontanee dei mercati talvolta producono squilibri o addirittura ingiustizie che vanno corrette anche al fine di un maggiore e migliore sviluppo economico [1]. Una ancora troppo diffusa precarietà sta scoraggiando i giovani nel costruire famiglia e futuro [2]. La forte diminuzione delle nascite rappresenta oggi uno degli aspetti più preoccupanti della nostra società [3]”.
E, in un unico passo, abbiamo una sequenza di tre sintagmi e una di tre frasi:
“Dobbiamo ricordare, come patrimonio inestimabile di umanità, l’abnegazione dei medici, dei sanitari, dei volontari. Di chi si è impegnato per contrastare il virus [1]. Di chi ha continuato a svolgere i suoi compiti nonostante il pericolo [2]. I meriti di chi, fidandosi della scienza e delle istituzioni, ha adottato le precauzioni raccomandate e ha scelto di vaccinarsi: la quasi totalità degli italiani [3]”.
Vale per i casi appena menzionati un’osservazione di Giorgio Fedel: “Dal punto di vista ritmico, le accumulazioni con più di tre membri possono risultare poco incisive per eccesso, le strutture binarie lo possono essere per difetto. Quelle ternarie invece sembrano le più ‘armoniche’”. Lo studioso ha rammentato un’affermazione di Adam Smith (Lezioni di retorica e belle lettere, 1993, p. 420): “Tre… è il numero più appropriato… questo numero viene molto più facilmente compreso e appare molto più completo di due o quattro. Nel numero tre, infatti, c’è un centro e vi sono due estremi, mentre nei numeri due e quattro non c’è alcun centro sul quale l’attenzione si possa fissare di modo che ciascuna parte sembri legata ad esso” (5).
Riguardo al ritmo ternario, è piuttosto interessante il seguente estratto, giacché contiene tre proposizioni e, all’interno di ognuna, un’ulteriore elencazione di tre elementi:
“La pandemia ha inferto ferite profonde: sociali, economiche, morali [1]. Ha provocato disagi per i giovani, solitudine per gli anziani, sofferenze per le persone con disabilità [2]. La crisi su scala globale ha causato povertà, esclusioni e perdite di lavoro [3]”.
A proposito del procedimento or ora preso in esame, risulta assolutamente pertinente una considerazione di Perelman e Olbrechts-Tyteca: “Se lo stile rapido è favorevole al ragionamento, lo stile lento crea l’emozione”. I due autori hanno citato Giambattista Vico (Delle instituzioni oratorie, p. 87): “Gli oratori stringati e brevi poco penetrano al cuore e meno commuovono” (6).
Dopo aver trattato dell’ethos e del pathos, ci occupiamo del logos, lo strumento retorico di ordine razionale, che, per Olivier Reboul, è contraddistinto dalla “attitudine a convincere grazie alla sua apparenza di logicità e al fascino del suo stile” e “concerne l’argomentazione propriamente detta” (7).
L’enumerazione può coincidere con la tecnica argomentativa della divisione del tutto nelle sue parti, che consiste – mutuiamo la definizione da Perelman e Olbrechts-Tyteca – nel “dimostrare l’esistenza dell’insieme” oppure “l’esistenza o la non esistenza di una delle parti” e rientra fra gli argomenti quasi-logici, che “pretendono di avere una certa forza di convinzione, in quanto si presentano confrontabili a ragionamenti formali, logici, o matematici” (8).
Riportiamo i relativi punti, ricavati dall’intervento di fine anno di Sergio Mattarella:
“Ricordo la sensazione di impotenza e di disperazione che respiravamo nei primi mesi della pandemia di fronte alle scene drammatiche delle vittime del virus. Alle bare trasportate dai mezzi militari. Al lungo, necessario confinamento di tutti in casa. Alle scuole, agli uffici, ai negozi chiusi. Agli ospedali al collasso”.
“Nel corso di questi anni la nostra Italia ha vissuto e subito altre gravi sofferenze. La minaccia del terrorismo internazionale di matrice islamista, che ha dolorosamente mietuto molte vittime tra i nostri connazionali all’estero. I gravi disastri per responsabilità umane, i terremoti, le alluvioni. I caduti, militari e civili, per il dovere. I tanti morti sul lavoro. Le donne vittime di violenza”.
“Ho cercato di trasmettere un sentimento di fiducia e di gratitudine a chi era in prima linea. Ai sindaci e alle loro comunità. Ai presidenti di Regione, a quanti hanno incessantemente lavorato nei territori, accanto alle persone”.
“Pensando al futuro della nostra società, mi torna alla mente lo sguardo di tanti giovani che ho incontrato in questi anni. Giovani che si impegnano nel volontariato, giovani che si distinguono negli studi, giovani che amano il proprio lavoro, giovani che – come è necessario – si impegnano nella vita delle istituzioni, giovani che vogliono apprendere e conoscere, giovani che emergono nello sport, giovani che hanno patito a causa di condizioni difficili e che risalgono la china imboccando una strada nuova”.
Il “tutto” è costituito, a seconda delle circostanze, dal complesso delle cause della “sensazione di impotenza e di disperazione”, dalle “gravi sofferenze”, da “chi era in prima linea” e da “tanti giovani”. Attraverso la “divisione” e, più in generale, l’accumulazione, è possibile settorializzare l’uditorio e stabilire un rapporto comunicativo privilegiato con particolari categorie di individui. Semplicemente richiamandosi a loro, il parlante rivela un fattore dell’ethos, l’empatia, ossia la “capacità di immedesimarsi nelle condizioni di un altro e condividerne pensieri ed emozioni” (lo Zingarelli 2017). Nella fattispecie, sono i famigliari di chi in varie congiunture ha perso la vita, le donne vittime di violenza, i sindaci, i presidenti di Regione, quanti hanno incessantemente lavorato nei territori, i giovani e, inoltre, medici, sanitari, volontari, anziani, persone con disabilità ecc..
Nell’ultimo passo si contano sette occorrenze del vocabolo “giovani” all’inizio di enunciati successivi. È la caratteristica dell’anafora, che produce un parallelismo e conferisce dunque al testo una nota di linearità.
Qualsiasi tipo di esposizione dettagliata e d’iterazione di uno o più termini rientra tra le figure della presenza, che “hanno per effetto di rendere attuale alla coscienza l’oggetto del discorso” (9).
Il riferimento ai giovani introduce una citazione. È l’unica e conseguentemente acquista maggiore risalto:
“Vorrei ricordare la commovente lettera del professor Pietro Carmina, vittima del recente, drammatico crollo di Ravanusa. Professore di filosofia e storia, andando in pensione due anni fa, aveva scritto ai suoi studenti: ‘Usate le parole che vi ho insegnato per difendervi e per difendere chi quelle parole non le ha. Non siate spettatori ma protagonisti della storia che vivete oggi. Infilatevi dentro, sporcatevi le mani, mordetela la vita, non adattatevi, impegnatevi, non rinunciate mai a perseguire le vostre mete, anche le più ambiziose, caricatevi sulle spalle chi non ce la fa. Voi non siete il futuro, siete il presente. Vi prego: non siate mai indifferenti, non abbiate paura di rischiare per non sbagliare…’”.
Il Capo dello Stato ha esplicitato la sua partecipazione:
“Faccio mie – con rispetto – queste parole di esortazione così efficaci, che manifestano anche la dedizione dei nostri docenti al loro compito educativo”.
Mediante la riproduzione fedele del pensiero altrui si attua l’argomento d’autorità, “che – nella spiegazione di Perelman e Olbrechts-Tyteca – si serve degli atti o dei giudizi di una persona o di un gruppo di persone come mezzo di prova in favore di una tesi” (10).
Abbiamo accennato alle figure della comunione (la domanda retorica) e della presenza (l’accumulazione e l’anafora). La classificazione che si deve ai due autori, più volte menzionati, comprende pure le figure della scelta. La denominazione deriva dal fatto che “l’effetto o uno degli effetti […] è quello di imporre o suggerire una scelta”. Nel loro ambito annoveriamo la definizione retorica, la quale “utilizza la struttura della definizione non per fornire il senso di una parola, ma per dar rilievo ad alcuni aspetti di una realtà che rischierebbero di rimanere oscuri” (11).
Nello specifico l’oratore ha rammentato:
“Ho cercato di trasmettere un sentimento di fiducia e di gratitudine a chi era in prima linea. Ai sindaci e alle loro comunità. Ai presidenti di Regione, a quanti hanno incessantemente lavorato nei territori, accanto alle persone. Il volto reale di una Repubblica unita e solidale. È il patriottismo concretamente espresso nella vita della Repubblica”.
Al di là delle voci riportate nei vocabolari, si desume che il “patriottismo” consiste nel “lavorare incessantemente nei territori, accanto alle persone”.
Un interessante esempio di ricorso al procedimento di cui stiamo trattando, si trova, tornando indietro nel tempo, nell’intervento dell’allora deputato Sergio Mattarella al sedicesimo congresso della Democrazia cristiana, il 28 febbraio 1984:
“Occorre recuperare credibilità e questo vuol dire soprattutto moralità. Moralità significa uno sforzo intenso e particolare contro la corruzione. Moralità significa, in alcune zone del Paese ma ormai in tutto il Paese, una lotta intensa, seria, autenticamente rigorosa, nei confronti della mafia, della camorra e di tutte le altre forme di criminalità organizzata. Significa avere una continua attenzione per evitare che si ripetano infiltrazioni o presenze e inquinamenti come quella che ci ha dolorosamente colpiti e preoccupati e inquieti, la scoperta delle trame della loggia P2” e ancora “significa avere rispetto dell’articolazione della società, liberando e risparmiando spazi da una eccessiva presenza del pubblico e della politica. Significa che alla frammentazione del Paese non si dà soltanto una pur necessaria risposta istituzionale ma anche una risposta di linea politica, far rivivere nel nostro Paese un più intenso, più completo, più vasto senso della convivenza, del pubblico interesse, dell’interesse generale: il bene comune” (12).
Ma nel passo citato s’intuisce nel complesso un’accurata rifinitura retorica con l’impiego dell’anadiplosi, cioè la ripresa, all’inizio di una frase o di un segmento testuale, di uno o più termini conclusivi della frase o del segmento testuale precedente (“… soprattutto moralità. Moralità significa …”). Poi si adopera l’accumulazione (spesso con un ritmo ternario: “lotta intensa, seria, autenticamente rigorosa, nei confronti della mafia, della camorra e di tutte le altre forme di criminalità organizzata”, “infiltrazioni o presenze e inquinamenti”, “colpiti e preoccupati e inquieti”, “un più intenso, più completo, più vasto senso della convivenza, del pubblico interesse, dell’interesse generale”) e l’anafora (con due casi di “moralità significa” e tre di “significa”) [sulle ultime due figure retoriche vedi sopra].
L’epilogo di quel discorso congressuale è incentrata sull’isocòlo:
“Tanti hanno in questi giorni ricordato saggi greci, antichi filosofi, io vorrei più modestamente richiamare la preghiera di Francesco che non chiedeva tanto di essere aiutato quanto di aiutare, che non chiedeva tanto di ricevere quanto di dare, che non chiedeva tanto di essere compreso quanto di comprendere”.
È evidente la perfetta simmetria tra i membri di tre proposizioni per il numero di parole, per la struttura sintattica e quindi per il ritmo.
Note
(1) Chaïm Perelman, Lucie Olbrechts-Tyteca, Trattato dell’argomentazione. La nuova retorica, Einaudi, 2013, p. 193.
(2) Pierre Fontanier, Les figures du discours, 1991, pp. 368-370, citato in Olivier Reboul, Introduzione alla retorica, Il Mulino, 1996, p. 172.
(3) Le definizioni di ethos e pathos, che sono i due mezzi persuasivi di ordine affettivo, si leggono in Olivier Reboul, Introduzione alla retorica, Il Mulino, 1996, pp. 21 e 70).
(4) Olivier Reboul, op. cit., p. 133.
(5) Giorgio Fedel, Saggi sul linguaggio e l’oratoria politica, Giuffrè, 1999, pp. 129-139.
(6) Chaïm Perelman e Lucie Olbrechts-Tyteca, op. cit., p. 156.
(7) Olivier Reboul, op. cit., pp. 36, 70.
(8) Chaïm Perelman, Lucie Olbrechts-Tyteca, op. cit., pp. 209, 255 e 256.
(9) Chaïm Perelman, Lucie Olbrechts-Tyteca, op. cit., p. 189.
(10) Chaïm Perelman e Lucie Olbrechts-Tyteca, op. cit., p. 331.
(11) Chaïm Perelman e Lucie Olbrechts-Tyteca, op. cit., p. 187.
(12) Questo estratto e l’altro che segue sono ricavati da un articolo di Marco Damilano, riprodotto in stefanoceccanti.it, 31 gennaio 2015 (“Leggere Damilano su Mattarella per capire bene la biografia”).
Nel nostro sito, sulle figure retoriche e le tecniche argomentative di cui abbiamo parlato in quest’articolo, si possono leggere:
“Figure retoriche del ritmo nel discorso politico: da Benito Mussolini ai presidenti americani” (16 giugno 2017)
“L’argomento della divisione del tutto nelle sue parti nel discorso politico” (16 ottobre 2017)
“La divisione del tutto nelle sue parti nei discorsi di Barack Obama” (15 novembre 2017)
“L’argomento della divisione del tutto nelle sue parti in pubblicità” (30 marzo 2018)
“L’argomento d’autorità” (9 novembre 2018)
“L’argomento d’autorità nella comunicazione politica americana” (24 maggio 2019)
“Una figura dell’ethos: la concessione” (1° settembre 2020)
“L’anafora nella comunicazione politica americana” (6 novembre 2020)
“La domanda retorica: dall’interrogazione all’affermazione” (10 dicembre 2020)
“L’anafora nella comunicazione politica italiana” (3 luglio 2021).
Nella sezione Reto Parole si trova la voce “Definizione retorica”.
Sulla produzione discorsiva del Capo dello Stato si vedano:
“Sergio Mattarella ‘the’ oratore” (15 febbraio 2020)
“Mattarella, la Pasqua e il coronavirus” (14 maggio 2020)
“Il discorso del Presidente. Strategie retoriche nel messaggio di fine anno di Sergio Mattarella” (12 febbraio 2021).