di Giorgio Matza
L’argomento della divisione del tutto nelle sue parti, che, come abbiamo visto in un precedente articolo (1), consiste nel “dimostrare l’esistenza dell’insieme” oppure “l’esistenza o la non esistenza di una delle parti” (2), si trova spesso nella produzione discorsiva di Barack Obama. Per esempio, nella campagna per le elezioni presidenziali americane del 2008, dimostrò di essere consapevole del fatto che “per definire chi sono i propri destinatari e come rivolgersi a loro, si divide l’elettorato in tre macrosettori: la propria base, gli incerti e la base dell’avversario (o degli avversari)” (3).
Ecco alcuni estratti da suoi interventi:
“E anche se ai repubblicani di Washington può darsi che non importi ascoltare quel che abbiamo da dire, credo che importi agli elettori repubblicani e agli indipendenti lontani da Washington. In queste elezioni, abbiamo di fronte l’occasione che capita una volta in una generazione. Per la prima volta dopo tanto tempo, abbiamo la possibilità di creare una nuova maggioranza che non sia composta solo da democratici, ma anche da indipendenti e repubblicani che hanno perso la fiducia nei loro leader di Washington e che tuttavia vogliono ancora credere in qualcosa, e cercano disperatamente qualcosa di nuovo”
“Stasera, io dico al popolo americano, ai democratici, ai repubblicani e agli indipendenti sparsi in questo grande paese – basta! Questo momento – queste elezioni – sono la nostra occasione per mantenere viva, nel XXI secolo, la promessa americana” (4).
E nell’allocuzione della vittoria, fatta Chicago, Illinois, la notte tra il 4 e il 5 novembre 2008, ha affermato:
“È la risposta data da giovani e vecchi, ricchi e poveri, Democratici e Repubblicani, neri, bianchi, ispanici, asiatici, nativi americani, gay, etero, disabili e non disabili”
“La nostra campagna […] è stata costruita grazie a quei lavoratori e lavoratrici che hanno attinto ai loro magri risparmi per versare 5, 10, 20 dollari per la causa. È diventata forte grazie ai giovani che hanno rifiutato quel falso mito della loro generazione che è l’apatia, hanno lasciato le loro case e le loro famiglie per fare lavori che promettevano solo poche ore di sonno e pochi soldi. Ha attinto forza da quelle persone non più così giovani che hanno sfidato il freddo pungente e il caldo soffocante per andare a bussare alla porta di perfetti estranei, e da quei milioni di americani che hanno lavorato come volontari” (5).
In altri interventi Barack Obama ha osservato, sempre richiamandosi alla divisione del tutto nelle sue parti:
“Qualunque casa fossimo un tempo, non siamo più una nazione soltanto cristiana: siamo anche una nazione ebraica, una nazione musulmana, una nazione buddista, una nazione induista e una nazione di non credenti”
“Questo semplice ideale – che i propri sogni non hanno limiti – è così centrale nella nostra visione dell’America da sembrare quasi un luogo comune; ma nell’America nera esso costituisce una rottura radicale col passato, uno spezzare le catene psicologiche della schiavitù. È […] un testamento di […] genitori che per tutta la vita svolsero lavori esageratamente umili, senza lamentarsi, facendo economie e risparmiando per acquistare una casetta; genitori che sopportarono privazioni in modo che i loro figli potessero seguire corsi di danza o partecipare a gite scolastiche; genitori che allenarono squadrette giovanili, prepararono torte di compleanno e tormentarono gli insegnanti per assicurarsi che i loro figli non venissero relegati nei corsi meno impegnativi; genitori che trascinarono i figli in chiesa ogni domenica, li sculacciarono quando sgarravano e tennero d’occhio tutti i bambini dell’isolato durante le lunghe giornate estive, fino a notte; genitori che spinsero i figli ad avere successo sostenendoli con un amore che poteva sopportare qualunque cosa la società nel suo complesso potesse rovesciargli addosso” (6).
“Nelle grandi e nelle piccole città, uomini e donne, giovani e anziani, bianchi, neri e gialli, tutti gli americani condividono la medesima aspirazione verso sogni semplici: un lavoro con un salario che possa mantenere una famiglia, una sanità su cui contare e alla loro portata, una pensione dignitosa e garantita, un’istruzione e opportunità per i nostri ragazzi. Speranze comuni. Sogni americani”
“Io credo che per quanto sia difficile, il cambiamento di cui abbiamo bisogno stia arrivando […] L’ho visto in questa campagna. Tra i giovani che hanno votato per la prima volta, e coloro che si sono lasciati coinvolgere di nuovo dopo lungo tempo. Tra i repubblicani che mai avrebbero pensato di scegliere un democratico alle primarie, e invece l’hanno fatto. L’ho visto tra gli operai pronti a ridurre il proprio orario di lavoro piuttosto che vedere i loro amici restare senza, tra i soldati che sono ritornati in servizio dopo un’amputazione, tra i vicini generosi che accolgono un estraneo quando si abbatte un uragano e le acque si ingrossano” (7).
Nel corso del suo secondo mandato presidenziale, Barack Obama ha impiegato la strategia persuasiva di cui stiamo parlando con un’efficacia ancora maggiore. A essa ha dato ampio spazio nel discorso per il cinquantesimo anniversario delle marce da Selma a Montgomery, il 7 marzo 2015, nel quale ha individuato alcuni momenti della storia americana, per sottolinearne l’importanza:
“Noi siamo Lewis, Clark e Sacajawea, pionieri che, affrontando l’ignoto aprirono la strada a un gran numero di contadini e minatori, imprenditori e venditori ambulanti. Questo è il nostro spirito. Questo è ciò che siamo”
“Noi siamo Sojourner Truth e Fannie Lou Hamer, donne che erano in grado di fare tutto ciò che facevano gli uomini e anche di più; e siamo Susan B. Anthony, che scosse il sistema fino a che quella verità non fu stabilita per legge. Questa è la nostra natura”
“Noi siamo gli immigrati che si imbarcarono clandestinamente per raggiungere queste coste, le folle bramose di respirare la libertà: i sopravvissuti dell’Olocausto, i disertori sovietici, i ragazzi perduti del Sudan. Noi siamo i disperati pieni di speranza che attraversano il Rio Grande perché vogliamo garantire una vita migliore ai nostri figli. È così che siamo diventati quello che siamo”
“Noi siamo gli schiavi che costruirono la Casa Bianca e l’economia del Sud. Noi siamo i braccianti e i cowboy che conquistarono l’Ovest e la moltitudine di operai che realizzarono le ferrovie, innalzarono i grattacieli e si riunirono in sindacati per tutelare i propri diritti”
“Noi siamo gli imberbi soldati che combatterono per liberare un continente. Noi siamo i Tuskegee Airmen e i Navajo che decriptavano i messaggi in codice e i nippo-americani che diedero la vita per questo paese anche se questo paese negò loro la libertà”
“Noi siamo i vigili del fuoco che l’11 settembre si precipitarono in quegli edifici, i volontari che si sono arruolati per combattere in Afghanistan e in Iraq. Noi siamo i gay americani il cui sangue si riversò per le strade di San Francisco e di New York, proprio come accadde su questo ponte”
“Noi siamo i narratori, gli scrittori, i poeti e gli artisti che aborriscono l’ingiustizia, disprezzano l’ipocrisia, danno voce a chi una voce non ce l’ha e raccontano le verità che vanno raccontate”
“Noi siamo gli inventori del gospel, del jazz, del blues, del bluegrass, del country, dell’hip-hop e del rock and roll e di un nostro sound peculiare che racchiude tutto il dolce tormento e la gioia sfrenata della libertà”
“Noi siamo Jackie Robinson, che ha resistito agli insulti, ai tacchetti chiodati e alle palle sparate all’altezza della testa, anche se qualche base l’ha rubata durante le Word Series” (8).
È evidente in tale lungo passo la presenza dell’anafora, costituita dalla ripetizione all’inizio di ogni frase delle parole “noi siamo”. Essa produce una struttura parallelistica, che dà al testo un carattere di semplicità.
NOTE
(1) “L’argomento della divisione del tutto nelle sue parti nel discorso politico”, pubblicato il 16 ottobre 2017.
(2) CHAΪM PERELMAN, LUCIE OLBRECHTS-TYTECA, Trattato dell’argomentazione. La nuova retorica, Einaudi, 2013, pp. 255 e 256.
(3) ROBERTO GRANDI, CRISTIAN VACCARI, Elementi di comunicazione politica. Marketing elettorale e strumenti per la cittadinanza, Carocci, 2007, p. 28.
(4) BARACK OBAMA, La promessa americana. Discorsi per la presidenza, Donzelli, 2008, pp. 125 e 167.
(5) LUCIANO CLERICO, Barack Obama. Come e perché l’America ha scelto un nero alla Casa Bianca, Edizioni Dedalo, 2008, pp. 259 e 260.
(6) BARACK OBAMA, L’audacia della speranza. Il sogno americano per un mondo nuovo, Rizzoli, 2007, pp. 223, 247.
(7) BARACK OBAMA, La promessa americana. Discorsi per la presidenza, Donzelli, 2008, pp. 109 e 181.
(8) BARACK OBAMA, Un mondo degno dei nostri figli, Garzanti (Edizione speciale per Corriere della Sera), 2017, pp. 197-199.