La domanda retorica: dall’interrogazione all’affermazione

Chiedere affermando o affermare chiedendo. La domanda retorica apparentemente chiede, ma nella realtà afferma

La domanda retorica è la figura, appunto, retorica che consiste in una frase interrogativa, diretta o indiretta, peculiare, in quanto non presuppone una reale mancanza di informazione, ma, per mezzo di essa, si richie­de un assenso o un diniego o comunque una risposta già implicita e dunque l’esclusione delle discordanti. In altri termini l’emittente del messaggio esprime un giu­dizio, sebbene in maniera velata, senza assumersene la responsabilità e senza imporlo al ricevente. Però, sforzandosi di coinvolgerlo nel discorso, cerca di modificarne l’atteggiamento, di orientarlo nella direzione voluta e di ottenerne l’adesione, il consenso (1).

Chaïm Perelman e Lucie Olbrechts-Tyteca la classificano tra le figure della comunione, “con le quali l’oratore si sforza di far partecipare attivamente l’uditorio alla sua esposizione, prendendolo a parte di essa, sollecitando il suo concorso” (2).

Nell’ottica della pragmatica, si delinea un atto linguistico indiretto: infatti presenta lo scopo apparente di interrogare e lo scopo reale di affer­mare, ossia la forma di un enunciato e il valore di uno differente.

In pubblicità un esempio è costituito dalla headline di un annuncio per la Ford Fiesta:

“L’airbag salva la vita. Ne faresti a meno per chi ti è vicino?”.

Più recentemente, ben otto occorrenze si contano nello spot realizzato da Fiat per il lancio della 500 elettrica (3):

“Esiste la reincarnazione?”

“L’idea di un uomo può generare un movimento?”

“Una cosa costruita per pochi può diventare per tutti?”

“Un oggetto funzionale può essere trasformato in un’icona di design?”

“Oppure, lo stile può riscoprirsi sostenibile?”

“L’etica può tramutarsi in estetica?”

“Un motore a combustione può rinascere elettrico?”

“Voi, credete nella reincarnazione?”.

Lo chiede il testimonial Leonardo DiCaprio, mentre la successione delle sequenze mostra il cambiamento dalla prima all’ultima versione del veicolo reclamizzato (per alludere proprio alla “reincarnazione”) e influenza ciò che si deve rispondere. È un caso di efficace interazione tra parole e immagini.

Al meccanismo discorsivo, al quale è dedicato l’articolo, sembra ispirarsi una campagna per i prestiti BancoPosta di Posteitaliane. Nei titoli delle inserzioni il passaggio dall’interrogazione all’affermazione si percepisce visivamente con la trasformazione del punto interrogativo in un punto fermo, attraverso una correzione mediante un frego:

“Posso proteggere la serenità della mia famiglia?”

“Posso avere un prestito per compare un’auto nuova?”

“Posso chiedere un mutuo per compare la casa dei nostri sogni?”

diventano:

“Posso proteggere la serenità della mia famiglia”.

“Posso avere un prestito per compare un’auto nuova”.

“Posso chiedere un mutuo per compare la casa dei nostri sogni”.

Segue la spiegazione dell’azienda: “Non abbiamo mai smesso di dare risposte ai tuoi bisogni”.

La domanda retorica, per Pierre Fontanier, “è atta a esprimere la meraviglia, il dispetto, l’indignazione, la paura, il dolore, tutti gli altri moti dell’animo e viene utilizzata per deliberare, per provare, per descrivere, per accusare, per biasimare, per incitare, per incoraggiare, per dissuadere, in definitiva per gli scopi più diversi” (4). Possiamo pertanto considerarla pure una figura del pathos, uno strumento di persuasione di ordine affettivo con cui si suscitano emozioni.

Spesso trova applicazione nel discorso polemico. Un po’ di tempo fa, Carlo Calenda, che è stato ministro allo sviluppo economico negli ultimi due governi prima delle elezioni del 4 marzo 2018, si è rivolto alla Lega e al Movimento 5 Stelle con una sequenza di quattro di tali frasi interrogative particolari: “Vogliamo stare in Europa o scivolare in Africa? Conservare il benessere costruito in settant’anni o distruggerlo? Difendere le istituzioni repubblicane o prendere la deriva di una democrazia populista sul modello di Putin? Avere a fondamento della vita politica la democrazia rappresentativa o i blog e le srl?” (Corriere della Sera, 30 maggio 2018, p. 6).

Roberto Saviano, riferendosi anche all’eventualità di revocargli la protezione delle forze dell’ordine, resasi necessaria a causa delle minacce della camorra e più in generale a dichiarazioni programmatiche dell’allora ministro dell’interno, ha chiesto: “Chiudere i porti alle Ong, rendere la vita impossibile agli immigrati che in Italia vivono e lavorano da anni, togliere la scorta a me, come potrà mai migliorare la vita ai milioni di italiani di cui la politica continua a non occuparsi?” e “Se io fossi ridotto al silenzio, se tutti i migranti e i rom, per ipotesi, fossero scaraventati sulla Luna, se sparissero gli immigrati con regolare permesso di soggiorno verso cui Salvini sta facendo montare un odio senza pari nella nostra storia, gli italiani veraci, quelli doc, che non hanno lavoro, che lo hanno perso, che usufruiscono di una assistenza sanitaria indecente, quale giovamento ne avrebbero? Gli ospedali di Napoli straripano di italiani. Non ci sono immigrati a occupare letti e italiani sulle barelle. Ma di cosa stiamo parlando?” (Corriere della Sera, 22 giugno 2018, p. 11).

Un altro scrittore napoletano, Maurizio De Giovanni, ha osservato: “Larghe parti di questa città non sono sotto il controllo dello Stato. Larghe zone di questo Paese non sono sotto il controllo dello Stato. Il porto di Gioia Tauro, lo sanno tutti, riceve circa il 70% della cocaina che alimenta il mercato europeo. Gruppi criminali taglieggiano ampie porzioni di territorio in Sicilia, Campania, Calabria…”. Poi, forse alludendo alla volontà di qualcuno di distrarre da simili più gravi questioni, ha manifestato il suo scetticismo: “Posso pensare che il mio problema siano i migranti della nave Diciotti? E posso immaginare che la mia priorità sia l’operazione Spiagge Sicure con cui spezzo le reni ai venditori di collanine? A Napoli c’è un numero elevatissimo di immigrati clandestini e però lavorano, che problema c’è?” (7-Corriere della Sera, 27 settembre 2018, p. 41).

Nella campagna elettorale del 1996, si ricorse alla domanda retorica per il raggiungimento di vari obiettivi. Lo attestano i seguenti casi:

Walter Veltroni, per dimostrare la pericolosità di una vittoria del Polo delle Libertà: “Che Italia moderna è quella guidata dalla destra estrema? Quale paese europeo è gover­nato dalla destra estrema?” (La Repubblica, 15 febbraio 1996, p. 5) e, per rilevare l’esistenza all’interno del Polo delle Libertà di profonde divisioni: “Che cosa unisce Martino e Mastel­la?” (Corriere della Sera, 18 febbraio 1996, p. 3)

Massimo D’Alema, per evidenziare l’inadeguatezza del ca­po del centrodestra a ricoprire la carica di presidente del Consiglio: “Quale concezione dello Stato ha un leader, Berlusconi, che afferma che i magistrati di Milano sono come i terroristi della Uno bianca?” (La Repubblica, 20 marzo 1996, p. 4)

Romano Prodi, per sottolineare i rischi determinati dal programma fiscale del più diretto antagonista, mirante ad un generalizzato abbassamento delle imposte: “Ma come fanno a quadrare i conti?” (La Repubblica, 23 marzo 1996, p. 6) e, per sostenere l’illegittimità della sua pretesa di rappresentare i cattolici: “Se si prende tra mano il discorso del Papa sulla televisione, come si fa a non vedere una critica rivolta soprattutto a come la televisione di Berlusconi ha allontanato l’Italia dal costume cristiano? (Famiglia Cristiana, 24 aprile 1996, p. 26)

Silvio Berlusconi, per rivendicare il proprio diritto “di chiedere il voto ai cattolici, perché nel nostro programma la persona umana, la famiglia, la società civile hanno il primato asso­luto sullo Stato”: “Non è questo il messaggio centrale della dottrina sociale della Chiesa?” (Famiglia Cristiana, 24 aprile 1996, pp. 25 e 27)

Lamberto Dini, per stigmatizzare la richiesta di elezioni anticipate, avanzata dagli avversari: “Ma che cosa c’entrava con gli interessi del paese?” (L’Espresso, 5 aprile 1996, p. 69).

Più recentemente, dopo aver ricordato che “la sfida sarà marzo 2017, quando a Roma festeggeremo i 60 anni dell’Ue”, Matteo Renzi si è chiesto: “Come ci presentiamo davanti ai concittadini di tutto il Continente? Spiegando che l’Europa dei padri fondatori è diventata un noioso club di regole finanziarie e algoritmi tecnici? O restituendo un’anima alla visione europea?” (Corriere della Sera, 18 settembre 2016, pp. 2-3).

La particolare forma di frase interrogativa di cui stiamo trattando, si trova, non c’è bisogno di dirlo, nell’elocuzione politica americana, spesso caratterizzata da un’elevata intensità espressiva. Nella sua autobiografia Bill Clinton ha raccontato: “Nel pomeriggio Hillary e io andammo in elicottero a Derry, la città più cattolica dell’Irlanda del Nord […] Una folla di 25.000 persone acclamanti riempiva Guildhall Square e le strade laterali […] Posi alla folla una semplice domanda: ‘Volete essere persone che si autodefiniscono come a favore o contro qualcosa? A favore o contro qualcuno?’” (5).

Numerose occorrenze si ricavano da interventi fatti da Barack Obama nella campagna elettorale del 2008, a volte in polemica con il suo antagonista:

“Stiamo facendo nel Congresso tutti i possibili sforzi per garantire che l’istruzione primaria sia adeguatamente finanziata e che i salari minimi siano aumentati in modo tale che la gente possa acquisire dignità e rispetto? Stiamo garantendo che, se qualcuno perde il lavoro, venga recuperato nel ciclo produttivo? E che se perde l’assistenza sanitaria e la pensione, ci sia qualcuno che lo aiuti a rimanere in piedi? Stiamo garantendo una seconda opportunità a coloro che hanno commesso errori e sono stati in galera, ma hanno voglia di rifarsi una vita?”

“Vogliamo allora tendere la mano alle genti degli angoli sperduti di questo mondo, che agognano una vita all’insegna della dignità e delle opportunità, della sicurezza e della giustizia? Vogliamo risollevare dalla povertà i bambini del Bangladesh, proteggere i rifugiati in Ciad, e bandire la piaga dell’Aids dalla nostra epoca? Vogliamo sostenere i diritti dei dissidenti, i blogger in Iran, o gli elettori nello Zimbabwe? Vogliamo dare un senso alle parole ‘mai più’ in Darfur? Vogliamo riconoscere che non può esserci esempio più forte di quello che ciascuna delle nostre nazioni offre al mondo? Vogliamo dire no alla tortura e sostenere la forza del diritto? Vogliamo accogliere gli immigrati da terre diverse, rifuggire dalle discriminazioni verso chi ha un aspetto o una fede differenti dai nostri, e mantenere la promessa dell’uguaglianza e delle pari opportunità per tutti quanti?”

“Al senatore McCain piace tanto parlare di saggezza, ma diciamoci la verità: che ne è della tua saggezza se nel novanta per cento dei casi concordi con Gorge Bush?”

“Non penso però che al senatore McCain non importi nulla di ciò che sta accadendo alle vite degli americani. Penso solo che non lo sa. Come potrebbe altrimenti definire come classe media quella che guadagna meno di cinque milioni di dollari all’anno? Come potrebbe altrimenti proporre centinaia di miliardi di riduzione fiscale per le grandi aziende e le compagnie petrolifere e neppure un penny di tasse in meno per oltre cento milioni di americani? Come potrebbe altrimenti presentare un piano per la sanità che finirebbe col tassare i benefici offerti ai cittadini, o un progetto per l’istruzione che non aiuterebbe in nessun modo le famiglie a pagare la scuola, o un programma che intende privatizzare i sistemi previdenziali e giocare d’azzardo con le vostre pensioni? Il punto non è che a John McCain non importa. È che John McCain non lo sa” (6).

Possiamo, in più, registrare una coincidenza con la soggiunzione, la figura retorica consistente nel porre una domanda, alla quale l’emittente stesso del messaggio risponde immediatamente, allo scopo di stimolare l’attenzione e favorire il coinvolgimento del ricevente. A una simile combinazione ricorse Bill Clinton, alla Freedom House di Washington, il 6 ottobre 1995: “E ora, vi domando: l’ONU non ha forse bisogno di venire riformata? Non è forse vero che è stato sprecato un sacco di soldi, nostri e degli altri paesi membri? Non è forse vero che dev’esservi più controllo sulle spese? Certo che sì. Ma questa è forse una buona ragione per tirare colpi bassi alle Nazioni Unite? No” (in sito web).

Anche Richard Nixon la utilizzò, richiamandosi all’opinione dominante. Infatti, durante la campagna per le elezioni presidenziali americane del 1968, disse: “Se guardiamo l’America oggi, vediamo città avvolte in fumo e fiamme. Sentiamo il suono delle sirene per tutta la notte. Vediamo gli americani morire in campi di battaglia all’estero. Vediamo gli americani odiarsi l’un con l’altro, litigare e uccidersi a casa. Mentre assistiamo a tutto ciò milioni di cittadini si chiedono: siamo giunti fin qui per questo? I nostri ragazzi sono morti in Normandia, Corea e Valley Forge per tutto ciò? Ascoltate la risposta a queste domande. È un’altra voce, è una voce calma nel tumulto del gridare. È la voce della grande maggioranza degli americani, quelli dimenticati, quelli che non urlano e non manifestano. La loro risposta è no!” (7).

Nella tragedia scespiriana Giulio Cesare, l’orazione funebre, tenuta da Antonio per Cesare (8), costituisce un modello interessante di discorso persuasivo di carattere politico. Nei seguenti passi si contano quattro interrogative retoriche:

“Egli era mio amico, leale e giusto con me; ma Bruto dice che era ambizioso, e Bruto è uomo d’onore. Egli ha portato molti prigionieri a Roma, il cui riscatto ha riempito le casse dell’erario: apparve questo, in Cesare, ambizioso?” (vv. 85-90)

“Tutti voi avete visto che alla festa dei Lupercali io gli ho offerto tre volte una corona regale, che lui tre volte ha rifiutato. Era ambizione, questa?” (vv. 95-97)

“Tutti voi lo amavate un tempo, non senza ragione; quale ragione vi trattiene allora dal piangerlo?” (vv. 102-103)

“Questo era un Cesare! Quando ne verrà un altro uguale?” (v. 245).

Note

(1) Si vedano Angelo Marchese, Dizionario di retorica e di stilistica, Mondadori, 1978, p. 126. Bice Mortara Garavelli, Manuale di retorica, Bompiani, 1991, pp. 134 e 270-271.

(2) Chaïm Perelman e Lucie Olbrechts-Tyteca, Trattato dell’argomentazione. La nuova retorica, Einaudi, 2013, p. 193.

(3) YouTube – Nuova Fiat 500 “la prima” | Inspiring change since 1957.

(4) Pierre Fontanier, Les figures du discours, 1991, pp. 368-370, citato in Olivier Reboul, Introduzione alla retorica, Il Mulino, 1996, p. 172.

(5) Bill Clinton, My Life, Mondadori, 2004, p. 740.

(6) Barack Obama, La promessa americana. Discorsi per la presidenza, Donzelli, 2008, pp. 86-87, 162, 168, 169.

(7) Riportato in Klaus Davi, I conta balle. Le menzogne per vincere in politica, Marsilio, 2005, p. 39.

(8) William Shakespeare, “Giulio Cesare”, in Opere scelte, Edizione Euroclub Italia (su licenza di Garzanti Editore), 1994, atto III, scena II, pp. 331-345.

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