La retorica dei politici, dei pubblicitari e della gente comune

Siamo tutti siamo retori a nostra insaputa

 

La metonimia di Benigno Zaccagnini: dall’astratto al concreto

Walter Veltroni è l’autore di una serie d’interviste, pubblicate nel Corriere della Sera, sul rapimento e l’uccisione di Aldo Moro, nel 1978, da parte delle Brigate Rosse. Ha parlato anche con Beppe Pisanu, che allora era capo della segreteria politica di Benigno Zaccagnini, il segretario della Democrazia Cristiana ed esponente di spicco della corrente morotea.

Del colloquio, nell’ottica della retorica, colpisce la conclusione, conseguente all’ultima domanda di Veltroni: “Ti chiedo infine di ricordare un momento vissuto con Zaccagnini”.

Risposta di Pisanu: “Un giorno gli chiesi perché mai nel testo di un discorso che doveva di lì a poco pronunciare avesse cancellato per tre volte la parola disoccupazione e l’avesse sostituita con la parola disoccupati. Mi rispose: ‘Perché disoccupazione evoca astrattamente una questione sociale, mentre disoccupati evoca un padre di famiglia che una sera torna a casa e dice a moglie e figli: ­– ho perso il posto di lavoro, da domani dobbiamo stringere la cinghia, finché non ne trovo un altro’. Era l’umanità della politica. Era Zaccagnini” (1).

In qualche modo “l’onesto Zac” – come lo chiamavano per la sua integrità morale – s’ispirava a un meccanismo espressivo utilizzato per potenziare il messaggio e dunque per aumentare l’efficacia della comunicazione. Nello specifico ciò avviene attraverso la metonimia, la sostituzione di un termine con uno differente, tenendo conto però del rapporto di contiguità fra i loro significati, che può esse­re di vari tipi: nella fattispecie si usa il concreto per l’astratto.

Il ricorso a un simile stratagemma, per la creazione di un linguaggio per immagini in funzione dell’icasticità, si coglie ancor più nell’elocuzione di Romano Prodi. Nella campagna elettorale del 1996, il candidato del centrosinistra alla presidenza del Consiglio, in contrasto ovviamente con gli avversari, così costruiva l’identità della sua coalizione quale soggetto collettivo interessato al consolidamento dello Stato Sociale: “Nella lunga traversata del deserto che ci sta davanti non abbandoneremo ai margini della pista né un solo vecchio né un solo malato” (2).

E nel suo intervento al 3° Congresso Nazionale dei Democratici di Sinistra, il 4 febbraio 2005, per concretare il sentimento della solidarietà, prerogativa del suo schieramento, affermò: “Altri possono essere indifferenti a cosa succede ai più deboli, a coloro che hanno bisogno. Noi no. Noi siamo quelli che, se qualcuno si perde, lo aiutiamo a ritrovare la strada. Noi siamo quelli che, se qualcuno cade a terra, gli tendiamo la mano per aiutarlo a rialzarsi” (3).

Tale stilema è classificabile tra le figure della presenza per il suo effetto “di rendere attuale alla coscienza l’oggetto del discorso” (4).

Un’agenzia pubblicitaria e il coronavirus

Dall’inizio della prima ondata, in ogni regione del mondo, colpita dal SARS-CoV-2, la gente s’interroga sulla fine dell’emergenza, che è non solo sanitaria, ma perfino economica. Nel nostro Paese, la società Casiraghi Greco & in una serie d’inserzioni si è posta la stessa domanda, ma – ce lo aspettiamo da un’agenzia di pubblicità (“italiana al 100%”) – in maniera meno convenzionale. Ecco le varie formulazioni:

“Quanti giorni mancano per dimenticare il coraggio di chi ci sta salvando?”

“Quanti giorni mancano per dimenticare il profumo dell’aria pulita?”

“Quanti giorni mancano per dimenticare il valore supremo di una carezza?”

“Quanti giorni mancano per dimenticare che o vinciamo tutti o perdiamo da soli?”

“Quanti giorni mancano per dimenticare di aver giurato di non dimenticare?”

“Quanti giorni mancano per dimenticare la paura e continuare a donare?”

“Quanti giorni mancano per dimenticare di prepararsi alla prossima emergenza?”

I testi sono incentrati sulla metalepsi. Pierre Fontanier ne ha dato questa definizione: “Consiste nel sostituire l’espressione indiretta all’espressione diretta, cioè, nel fare intendere una cosa per [mezzo di] un’altra, che la precede, la segue o l’accompagna, ne costituisce un’aggiunta, una circostanza qualunque, o infine vi si ricollega o vi si rapporta in modo da richiamarla subito alla mente” (5).

Nell’advertising, realizzato per una casa automobilistica dalla DDB (fondata da Ned Doyle, Maxwell Dane e Bill Bernbach) – l’ha rammentato Mark Tungate – “uno dei primi annunci si soffermò sul motore raffreddato ad aria del Maggiolino: mostrava l’auto, fotografata da sopra, ricoperta da schiuma di sapone. Il titolo: ‘L’unica acqua di cui la Volkswagen ha bisogno è quella con cui la lavate’” (6). Si sottolineava una caratteristica dell’automobile con una spiegazione insolita, perché, secondo Bill Bernbach, forse il più geniale copywriter e direttore creativo della storia, “non è tanto ciò che si dice che muove la gente. Ma è il modo nel quale si dice” (7). Si enuncia quindi un concetto con originalità, attraverso il meccanismo linguistico di cui stiamo parlando.

Vale per esso un’asserzione più generale di Giampaolo Fabris: “La maggior parte delle ‘idee creative’ che sottostanno ai migliori annunci possono essere interpretate come la trasposizione (consapevole e non) delle figure classiche” (8).

In precedenza, Jacques Durand aveva osservato: “Ciò che la retorica può apportare alla pubblicità è soprattutto un metodo per la creazione. Nella creazione pubblicitaria regna attualmente il mito dell’‘ispirazione’, dell’‘idea’. Non è un caso che le idee più originali, gli annunci più audaci appaiano come la trasposizione di figure retoriche individuate ed analizzate da numerosi secoli. Ciò spiega perché la retorica può essere considerata come una sommatoria di modi diversi per essere ‘originali’. È dunque probabile che il processo creativo possa essere facilitato e arricchito se i creativi prendono piena coscienza di un sistema che sino ad oggi hanno impiegato istintivamente” (9).

Per ottenere il cosiddetto “cinque per mille”, che il contribuente, al momento di consegnare il modello per la dichiarazione dei redditi, decide di destinare a un ente del volontariato o alla ricerca scientifica o alla ricerca sanitaria, qualche anno fa, l’Istituto Oncologico Veneto si è avvalso di tre inserzioni. Ecco le relative headline:

“Grazie alla ricerca, Francesca può continuare a sfornare torte per i nipoti”

“Grazie alla ricerca, Alessandra può continuare a riempire il giardino di gioia”

“Grazie alla ricerca, Adriano può continuare a progettare nuovi spazi”.

È evidente l’attivazione della metalepsi: si capisce che è avvenuta la guarigione da un brutto male, giacché risalta la ripresa della quotidianità.

Per tornare alla Casiraghi Greco &, essa non si prefigge semplicemente di trasmettere un messaggio in maniera inconsueta, ma vuole esporre una riflessione sugli utili insegnamenti, ricavabili dalla tragica esperienza rappresentata dal Covid-19. Basti pensare all’ammirazione per il “coraggio di chi ci sta salvando”, alla constatazione che “o vinciamo tutti o perdiamo da soli”, alla consapevolezza dell’esigenza di “prepararsi alla prossima emergenza”. È l’effetto della presenza di un ulteriore procedimento, l’antifrasi, con cui si dice una cosa (“dimenticare”) per far intendere esattamente l’opposto: alla fine bisognerà “non dimenticare”, “ricordare”.

Un simile tipo di comunicazione costituisce un esempio della facoltà di una società, che normalmente si occupa della promozione di prodotti o servizi, di intervenire, al pari di qualsiasi altra impresa, in un dibattito su temi di interesse collettivo, specialmente in una situazione eccezionale e quella che stiamo vivendo lo è. Anche se non è possibile sostenere che l’obiettivo sia stato perseguito deliberatamente (e se così fosse, sarebbe comunque assolutamente legittimo), si verifica un ritorno d’immagine positivo. Nei termini della più antica arte mirante alla persuasione, si registra il ricorso allo strumento di ordine affettivo dell’ethos, ossia “il carattere che deve assumere l’oratore per accattivarsi l’attenzione e guadagnarsi la fiducia dell’uditorio” (10): nello specifico, si delinea la propensione a esaminare problemi che colpiscono in pratica l’intera umanità.

La campagna ha però avuto una coda piuttosto polemica: “Aziende italiane che parlano di prodotti italiani, di orgoglio italiano e scelgono agenzie di pubblicità straniere! Quando si dice la coerenza. Casiraghi Greco & agenzia di pubblicità italiana al 100%”. Alla base di tale osservazione critica è l’argomento dell’incompatibilità, “che – per Chaïm Perelman e Lucie Olbrechts-Tyteca – assomiglia ad una contraddizione, in quanto consiste in due asserzioni tra le quali bisogna scegliere, a meno di rinunciare ad entrambe” (11). Nella fattispecie l’inconciliabilità è tra un’affermazione (“parlano di prodotti italiani, di orgoglio italiano”) e un’azione (“scelgono agenzie di pubblicità straniere”).

I calli del falegname

Giovarsi delle risorse della retorica non è una prerogativa dei politici, dei pubblicitari, dei poeti e, in generale, degli scrittori. Lo conferma un racconto del noto finanziere Ennio Doris. In un’intervista, rilasciata in occasione dell’ottantesimo compleanno, ha rammentato il suo lontano passato di promotore finanziario. Uno dei primi clienti fu un falegname:

“Mi allungò un assegno da dieci milioni di lire e mi chiese: ‘Sa che cosa le ho dato?’. Sì, dieci milioni. ‘No, lei si sbaglia’. Controllai la cifra: era corretta. ‘Le ho dato questi’, e mi mostrò i calli mostruosi che aveva sui palmi delle mani. ‘Si ricordi che io non posso permettermi il lusso di ammalarmi, perché senza risparmi la mia famiglia morirebbe di fame’. Una pugnalata al cuore” (12).

L’artigiano, sebbene inconsapevolmente – di tanto in tanto accade – impiegò una tecnica argomentativa: il trasferimento di valore dal fine, i dieci milioni di lire, al mezzo, i calli mostruosi sui palmi delle mani (13). Inoltre l’atto di sottoporli alla vista, accompagnando le parole, è un espediente di notevole efficacia comunicatoria: si realizza, infatti, un’interazione tra due diversi linguaggi, il verbale e il gestuale, allo scopo di rendere il messaggio più icastico ed emozionale. In sostanza si materializza l’idea della durezza del lavoro manuale e si passa dunque da un concetto astratto a un oggetto concreto: è la caratteristica di una delle forme che assume la figura della metonimia.

La grande vivezza della scena plausibilmente spiega perché, pure dopo un lungo tempo, il fondatore del Gruppo Bancario Mediolanum ce l’ha ancora impressa nella mente.

L’opinione di Simone: “A me non me sta bene che no”

A un adolescente si deve un memorabile discorso confutatorio in opposizione a una condotta imperniata sull’odio. Da solo, con la sua logica stringente, ha bloccato gli estremisti di destra, arrivati nel suo rione per cavalcare la protesta per la decisione del comune di Roma di aprire un centro di accoglienza per i rom.

Ecco la cronaca dell’inizio della vicenda in un articolo, pubblicato nel sito web dell’Agenzia Giornalistica Italia: “La discussione nasce probabilmente per caso, quando Marco Antonini, esponente di Casapound, forse durante un’intervista dice: ‘Qui siamo tutti d’accordo’ ed è a quel punto che interviene Simone dicendo: ‘No, aspetta, io so’ de Tore Maura e non so’ d’accordo, o’ posso dì?’”. E poi ha aggiunto: “Secondo me, quello che sta a fa’ lei, è una leva sulla gente de Tore Maura, er quartiere mio, trasformando questa leva de rabbia per i suoi interessi. Questo secondo me è quello che sta facendo, anche legittimamente” (14).

Il dialogo continua con Antonini che chiede: “Ma tu sei contento che hanno messo 60 rom qua?” e con Simone che risponde: “A me sessanta persone nun me cambiano ‘a vita. Il mio problema non è chi mi svaligia casa, il problema mio è che mi svaligiano casa. Se mi svaligia casa un rom tutti glie dovemo annà contro, poi quand’è n’italiano, vabbè, sto pure zitto sul fatto che è italiano. Quindi su sta cosa bisogna annà sempre contro la minoranza, a me non me sta bene che no”.

L’osservazione poggia sulla regola di giustizia, che, come hanno rilevato Chaïm Perelman e Lucie Olbrechts-Tyteca, “esige l’applicazione di un identico trattamento ad esseri o situazioni integrati in una stessa categoria” (15): nello specifico ai saccheggiatori di appartamenti.

Antonini incalza: “Ti sembrano una minoranza i rom?”. La constatazione di Simone si basa sull’argomento dell’“inclusione della parte nel tutto”: “È una minoranza che sì, semo 60 milioni!”, sottintendendo che un Paese così numericamente superiore può benissimo attuare una politica di integrazione e non di discriminazione. Per gli autori appena citati, “il più delle volte la relazione fra il tutto e le sue parti è considerata sotto l’aspetto quantitativo: il tutto comprende la parte ed è in conseguenza più importante di questa” (16).

Inevitabile e inesorabile il commento del cronista: “Game, set, partita per il quindicenne Simone”, il quale ha completato il suo ragionamento: “Secondo me nessuno deve essere lasciato dietro, né gli italiani né i rom né gli africani né qualsiasi tipo di persona”.

Il dibattito va avanti con l’intromissione di un anonimo partecipante alla dimostrazione pubblica: “Qua a Tore Maura se lasciavano le chiavi ne la toppa de la porta quando tu ancora dovevi nasce’. Oggi tu’ padre, tu’ madre, comme mme, quando esco da casa me se strigne er buco der culo, e sai pecchè? Pecchè mia figlia c’ha tredici anni, la lascio da sola a casa da le due di notte e mi moglie esce alle quattro e mezza de mattina, attacca alle otto ma deve uscì alle quattro e mezza de matina perché er comune de Roma, qua dentro, a Tore Maura nun ce dà nessun servizio”. 

“E che è corpa dei rom?”.  Di nuovo la replica dell’adolescente è piuttosto incisiva, specialmente per l’uso di una frase interrogativa particolare. La sua peculiarità sta nel presupporre non una mancanza d’informazione, ma un assenso o un diniego o comunque una risposta già implicita e dunque l’esclusione delle discordanti. Perciò la domanda è definita retorica. Nell’ambito della linguistica testuale è un atto linguistico indiretto, giacché presenta uno scopo apparente (interrogare) e uno reale (affer­mare), cioè la sembianza di un enunciato e il valore di un altro. Praticamene l’emittente del messaggio esprime un giudizio, sebbene in maniera velata, senza assumersene la responsabilità e senza imporlo al rice­vente. Però, coinvolgendolo nel discorso, cerca di modificarne l’atteggiamento e di ottenerne l’adesione, il consenso (17).

Inoltre emerge l’impiego della strategia consistente nell’eziologia, ovvero nell’“evidenziazione delle cause”. Per Armando Plebe e Pietro Emanuele, “si tratta del dirigere la propria argomentazione nella direzione dell’attribuire uno o più fatti accaduti alle cause che si ritiene opportuno evidenziare in luogo di altre possibili cause degli stessi effetti” (18): nel nostro caso l’abbandono in cui versa un settore della città non dipende da una parte dei suoi abitanti.

L’efficacia comunicatoria dell’elocuzione di Simone costituisce una prova di un’asserzione di Olivier Reboul: “In primo luogo esiste una retorica spontanea, un’attitudine a persuadere per mezzo della parola che forse non è innata – non entriamo qui in questa discussione – ma che non è dovuta nemmeno a una formazione specifica” (19).

Note

(1) Corriere della Sera, 2 luglio 2020, p. 25.

(2) Riportato in Roberto Bertinetti, Roberto Weber, “Parole in cerca di consenso. Un confronto fra Prodi e Berlusconi”, in Il Mulino, n° 5, 1995, p. 891.

(3) Riportato in sito web.

(4) Chaïm Perelman e Lucie Olbrechts-Tyteca, Trattato dell’argomentazione. La nuova retorica, Einaudi, 2013, p. 189.

(5) Pierre Fontanier, Les figures du discours, 1991, pp. 127-128, citato in Olivier Reboul, Introduzione alla retorica, Il Mulino, 1996, pp. 150-151. Si veda “Le magie della metalepsi: da Manzoni a Craxi, passando per Wolkswagen”, pubblicato nel nostro sito il 13 luglio 2016.

(6) Mark Tungate, Storia della pubblicità. Gli uomini e le idee che hanno cambiato il mondo, Franco Angeli, 2010, p. 80.

(7) Riportato in Emanuele Pirella, Il copywriter. Mestiere d’arte, Il Saggiatore, 2001, p. 80.

(8) Giampaolo Fabris, La pubblicità, teorie e prassi, Franco Angeli, 1992, p. 290.

(9) Jacques Durand, “Rhetorique et image pubblicitarie”, in Communication, 15, 1970, riportato in Giampaolo Fabris, op. cit., p. 292.

(10) Olivier Reboul, Introduzione alla retorica, Il Mulino, 1996, p. 21.

(11) Chaïm Perelman e Lucie Olbrechts-Tyteca, op. cit., p. 212.

(12) Riportato in Corriere della Sera, 10 luglio 2020, p. 27.

(13) Chaïm Perelman e Lucie Olbrechts-Tyteca, op. cit.. A pagina 300 gli autori rilevano che “il fine valorizza i mezzi”.

 (14) Gabriele Fazio, “Simone che a Torre Maura dice: ‘Non sono d’accordo’”, 4 aprile 2019.

(15) Chaïm Perelman e Lucie Olbrechts-Tyteca, op. cit., p. 237.

(16) Chaïm Perelman e Lucie Olbrechts-Tyteca, op. cit., p. 251.

(17) Si vedano Angelo Marchese, Dizionario di retorica e di stilistica, Mondadori, 1978, p. 126. Bice Mortara Garavelli, Manuale di retorica, Bompiani, 1991, pp. 134 e 270-271.

(18) Armando Plebe, Pietro Emanuele, Manuale di retorica, Universale Laterza, 1988, pp. 123-124.

(19) Olivier Reboul, op. cit., p. 20.