La strategia retorica dell’eziologia nella comunicazione politica

L’eziologia non è solo una termine della medicina, ma si usa anche in retorica. Barack Obama ne è un campione

Un precedente articolo è stato dedicato all’eziologia, ossia l’“evidenziazione delle cause” (1). Citiamo nuovamente Armando Plebe e Pietro Emanuele: “Si tratta del dirigere la propria argomentazione nella direzione dell’attribuire uno o più fatti accaduti alle cause che si ritiene opportuno evidenziare in luogo di altre possibili cause degli stessi effetti” (2).

Nei discorsi di Barack Obama si riscontra spesso tale strategia retorica: per esempio, in quello di accettazione della candidatura, pronunciato a Denver, Colorado, il 28 agosto 2008 e in quello della vittoria, pronunciato a Chicago, Illinois, la notte tra il 4 e il 5 novembre 2008:

“Il nostro paese ha più ricchezze di qualunque altra nazione, ma non è questo che ci rende ricchi. Abbiamo l’apparato militare più potente della terra, ma non è questo che ci rende forti. Le nostre università e la nostra cultura fanno invidia al mondo, ma non è questo che continua a spingere il mondo alle nostre porte. È invece il nostro spirito americano – quella promessa americana – che ci sprona in avanti anche quando la strada è incerta; che ci tiene uniti malgrado le differenze, che ci porta a fissare lo sguardo non verso ciò che si vede, ma verso ciò che non si vede, verso quel posto migliore che sta dietro l’angolo” (3).

“Il cambiamento ha tardato molto ad arrivare, ma questa notte, grazie a quello che abbiamo fatto in queste elezioni, in questa giornata storica, il cambiamento è giunto in America”

“La nostra campagna […] è diventata forte grazie ai giovani che hanno rifiutato quel falso mito della loro generazione che è l’apatia, hanno lasciato le loro case e le loro famiglie per fare lavori che promettevano solo poche ore di sonno e pochi soldi. Ha attinto forza da quelle persone non più così giovani che hanno sfidato il freddo pungente e il caldo soffocante per andare a bussare alla porta di perfetti estranei, e da quei milioni di americani che hanno lavorato come volontari”

“So che non avete fatto tutto ciò solo per vincere un’elezione, e so che non lo avete fatto per me. Lo avete fatto perché vi siete resi conto dell’enormità del compito che abbiamo davanti […] Le sfide che abbiamo di fronte sono le più impegnative della nostra vita: due guerre, un pianeta in pericolo, la peggiore crisi finanziaria da un secolo a questa parte […] Ci sono nuove frontiere energetiche da sfruttare, nuovi posti di lavoro da creare, nuove scuole da costruire, minacce da affrontare, alleanze da risanare” (4).

In un suo libro ha rinvenuto i motivi del miglioramento delle condizioni di vita della popolazione americana di origine africana in un memorabile atto contro la discriminazione razziale e nella politica di un suo predecessore:

“La magnifica chiesa, la moltitudine di funzionari neri eletti, l’evidente prosperità di parecchi degli astanti, la mia stessa presenza sul palco in veste di senatore degli Stati Uniti, tutto ciò si poteva far risalire a quel giorno di dicembre del 1955, in cui con tranquilla determinazione e composta dignità la signora Parks si era rifiutata di cedere il posto su un autobus a un uomo bianco”

“Ancora nel 1999 il tasso di disoccupazione dei neri scese a livelli record e il loro reddito salì ad altezze record […] perché l’economia era in espansione e il governo adottò alcune modeste misure – come estendere le riduzioni dell’imposta sul reddito – per redistribuire la ricchezza. Se si vuole conoscere il segreto della popolarità di Bill Clinton tra gli afroamericani, è sufficiente dare un’occhiata a queste statistiche”  (5).

In occasione delle elezioni presidenziali del 2008, onorò più in generale quanti avevano lottato per il progresso dei neri d’America:

“Oggi siamo in presenza di giganti sulle cui spalle noi ci muoviamo, individui che si sono battuti, non solo in nome degli afroamericani ma per conto di tutta l’America […] E così, grazie a ciò che hanno sofferto, e per cui hanno marciato, quegli individui hanno condotto un popolo fuori dalla schiavitù […] Ed è grazie alla loro marcia che la generazione successiva non ha versato troppo sangue. È grazie alla loro marcia che noi abbiamo eletto consiglieri e deputati. È grazie alla loro marcia che io ho ricevuto il tipo d’istruzione che ho avuto, una laurea in legge, un posto al Senato dell’Illinois e infine al Senato degli Stati Uniti. È grazie alla loro marcia che io mi trovo oggi qui davanti a voi”

“Qualcosa avvenne qui a Selma, in Alabama. Qualcosa accadde a Birmingham che produsse quelle che Bob Kennedy definì ‘scosse di speranza in tutto il mondo’. Qualcosa accadde quando un pugno di donne decise di andare a piedi invece di salire sull’autobus dopo una lunga giornata passata a fare il bucato di qualcun altro, e a badare ai figli di qualcun altro. Quando uomini con il titolo di professori dissero ‘basta’ e decisero di difendere la nostra dignità. Tutto questo fu come un grido che giunse al di là dell’oceano, e mio nonno cominciò a immaginare qualcosa di diverso per suo figlio. Suo figlio, che era cresciuto allevando capre in un piccolo villaggio dell’Africa, poteva all’improvviso spostare lo sguardo un po’ più in alto e credere che, forse, in questo mondo ci fosse una possibilità per un uomo nero”

“Nessuno mi dica che qui a Selma, in Alabama, non sono a casa mia. Io sono qui perché allora qualcuno marciò. Sono qui perché voi tutti vi siete sacrificati per me. Io cammino sulle spalle dei giganti” (6).

Il primo presidente nero degli Stati Uniti utilizzò l’eziologia, pure parlando dell’immigrazione:

“Una bambina sui sette-otto anni, seguita dai genitori, si avvicinò e mi chiese un autografo: a scuola stava studiando il governo, mi spiegò e l’avrebbe mostrato alla classe. Le domandai come si chiamasse. Mi rispose che il suo nome era Cristina e frequentava la terza; dissi ai suoi genitori che dovevano essere orgogliosi di lei e mentre osservavo la bimba tradurre in spagnolo le mie parole, mi resi conto che l’America non ha nulla da temere da questi nuovi venuti, arrivati qui per le stesse ragioni per le quali le famiglie vi giungevano centocinquant’anni fa: tutti coloro che fuggivano dalle carestie e dalla guerre e dai rigidi regimi dell’Europa, tutti quelli che forse erano privi di documenti in regola o di relazioni o di abilità particolari da offrire, ma portavano con sé la speranza di una vita migliore […]  Il pericolo si presenterà se non riusciremo a riconoscere l’umanità di Cristina e della sua famiglia, se li priveremo dei diritti e delle opportunità che diamo per scontati, tollerando l’ipocrisia di una classe servile in mezzo a noi; o, più in generale, se resteremo con le mani in mano mentre l’America continua a diventare sempre più ineguale, un’ineguaglianza che segue distinzioni di razza e quindi alimenta la lotta razziale e alla quale – mentre nel Paese continua a crescere il numero delle persone di colore – né la nostra democrazia né la nostra economia potranno resistere a lungo” (7).

Zoe Lihn è protagonista di una storia raccontata da David Litt, uno degli speechwriter del “comandante in capo” appena citato. Con l’esposizione di un episodio, si evidenzia una causa in maniera piuttosto suggestiva, giacché una madre afferma: “L’Affordable Care Act sta salvando la vita a mia figlia”. In realtà “era venuta al mondo da appena quindici ore quando aveva dovuto subire il suo primo intervento chirurgico a cuore aperto. Quattro mesi dopo era stata nuovamente operata […] Alle compagnie d’assicurazioni era concesso porre dei limiti alla copertura che una singola persona poteva ricevere. A sei mesi Zoe aveva già ottenuto la metà dei rimborsi a cui aveva diritto in tutta la sua vita […] Grazie all’Obamacare quei limiti vennero aboliti”. La piccola “aveva bisogno di almeno un’altra operazione, già programmata per il 2013. Se la legge fosse stata abrogata e la norma sui limiti fosse tornata quella di prima, i Lihn non avrebbero potuto fare niente. Per Zoe le elezioni del 2012 potevano significare la vita o la morte” (8).

Per sottolineare l’importanza della riforma sanitaria obamiana, non si ricorre a un arido risultato numerico, ma a una vicenda individuale, che rientra in un genere letterario, quello degli exempla, di cui si è occupato Ernst Robert Curtius: “Contenuti negli autori antichi e riferiti alle virtù ed alle debolezze umane servirono, nel Medio Evo, come elementi di edificazione. Exemplum (paradeigma) è un termine tecnico della retorica classica a partire da Aristotele e significa ‘narrazione addotta come dimostrazione’”, mentre con l’espressione “figura-esemplare” (eikón, imago) si indica “l’incarnazione di una certa qualità in un personaggio” (9). Nella fattispecie, un senso di equità, permettendo di beneficiare del diritto alla salute indipendentemente dalle condizioni economiche, si concretizza nel promotore di un peculiare atto legislativo.

Così David Litt si è soffermato sul lieto fine, cogliendo l’occasione legittimamente per celebrare il suo datore di lavoro: “Una parte dell’eredità di Obama vive sulla carta. Ma un’altra va alle elementari a Phoenix, ama il cibo messicano e gli animali di peluche e spera di guadagnarsi la cintura gialla”; “Barack Obama è stato un buon presidente? […] Non è possibile guardare Zoe Lihn impegnarsi in una serie di calci e pugni senza avere fiducia nel passato. Certo che è stato un buon presidente. Basta vedere come Zoe si muove” e “La nostra conversazione viene interrotta da una bambina iperattiva di sei anni. Zoe ha da poco ricevuto in dono un monopattino e vuole andare fuori a giocare. Com’è giusto che sia. Grazie a un uomo che è stato alla Casa Bianca – e grazie a tutti quelli che ce l’hanno messo – Zoe è impaziente e piena di vita come tutti i bambini della sua età” (10).

La ricostruzione è contraddistinta dall’impiego del pathos, ossia lo strumento persuasivo di ordine affettivo con il quale l’emittente del messaggio tende a originare vari sentimenti nel destinatario al fine di coinvolgerlo maggiormente. “Per creare l’emozione – hanno scritto Chaïm Perelman e Lucie Olbrechts-Tyteca – è indispensabile la specificazione, poiché le nozioni generali, gli schemi astratti non agiscono sull’immaginazione. Il Whately osserva in una nota che un uditorio, rimasto insensibile di fronte a informazioni generiche sulla carneficina che caratterizzò la battaglia di Fontenoy, fu commosso fino alle lacrime da un particolare relativo alla morte di due giovani” (11).

Analogamente, per Iosif Stalin, leader dell’Unione Sovietica durante la seconda guerra mondiale, “la morte di un solo soldato russo è una tragedia. Un milione di morti è un dato statistico” (12).

Dall’utilizzazione dell’eziologia scaturisce una grande efficacia anche nelle seguenti affermazioni, rispettivamente di Barack Obama e di Bill Clinton:

“La rabbia per le politiche antidiscriminatorie e di assistenza sociale ha dato man forte alla coalizione di Reagan […] Questi rancori dei bianchi hanno distolto l’attenzione dalle vere cause della morsa che attanaglia la classe media – la diffusa cultura corporativa di protezione del mercato, le discutibili pratiche di manomissione dei bilanci, l’avidità del tutto e subito, una Washington al servizio delle lobby e degli interessi particolari, le politiche economiche che favoriscono i pochi a scapito dei tanti”

“Il giovane Michael Morrison, lo studente di Jan Paschal costretto su una sedia a rotelle, si svegliò presto per recarsi a una postazione di sondaggio. Sfortunatamente, l’auto di sua madre non partì. Michael era deluso ma non si lasciò scoraggiare. Con la sua sedia a rotelle a motore uscì nella fredda mattina, si portò fino al margine della strada scivolosa e percorse 3 chilometri nel vento invernale per presentarsi dove lo attendevano e prendere servizio. Alcuni pensavano che a determinare l’esito delle elezioni sarebbero state le faccende del servizio militare e di Gennifer Flowers. Io invece pensavo che si sarebbero decise in base a Michael Morrison; e a Ronnie Machos, il bambino malato di cuore e privo di assicurazione sanitaria; e alla ragazzina con il padre disoccupato che teneva la testa bassa per la vergogna mentre cenava con la famiglia; e a Edward e Annie Davis, che non avevano abbastanza soldi per comprare il cibo e le medicine di cui avevano bisogno” (13).

Nell’autobiografia di Bill Clinton l’evidenziazione della causa produce talvolta un effetto umoristico:

“Il mio insegnante di storia internazionale, originario dell’Arkansas rurale, era Paul Root […] Quando diventai governatore […] venne a lavorare per me. Un giorno, nel 1987, lo incontrai mentre parlava con tre legislatori nel Campidoglio dello Stato. Stavano discutendo della recente crisi di Gary Hart dopo la vicenda di Donna Rice e del Monkey Business. I tre legislatori condannavano Gary con argomenti da bacchettoni. Paul, devoto battista, direttore del coro della chiesa e uomo di comprovata rettitudine, ascoltava paziente mentre i suoi interlocutori continuavano le loro litanie. Quando si fermarono per prendere fiato, lui commentò impassibile: ‘Avete assolutamente ragione, quello che ha fatto è terribile. Ma sapete una cosa? È stupefacente quanto abbia contribuito alla mia moralità il fatto di essere basso, grasso e brutto’. I legislatori si zittirono”

“[Il] deputato Arlo Tyer di Pocahontas, Arkansas nordorientale […] introdusse un progetto di legge per rendere illegale la proiezione di film per adulti in tutto lo Stato dell’Arkansas […] Chiamai Bob Dudley, un giudice distrettuale della stessa città d’origine di Arlo, per scoprire come mai avesse presentato quella proposta. ‘Danno molti film per soli adulti lì da voi?’ gli domandai. Dudley, che aveva una certa prontezza di spirito, rispose: ‘No, non abbiamo neanche un cinema. È solo invidioso per il fatto che voi potete vedere quella roba e lui no’”

“Quando la raffineria di petrolio di El Dorado stava per chiudere, con la perdita di oltre 300 bei posti di lavoro con paghe sindacali, contribuii a convincere alcuni uomini d’affari del Mississippi a comprarla e a mantenerla in attività. Sapevo cosa significava per le famiglie degli operai e per l’economia locale e non vedevo l’ora di stringere mani ai cancelli delle fabbriche nelle successive elezioni. Ero convinto di aver fatto gol, finché non incontrai un tale che mi disse bruscamente che non avrebbe votato per me per nessun motivo. Quando gli ricordai: ‘Ma lo sa che sono stato io a salvarle il posto?’, lui rispose: ‘Sì, lo so, ma a lei non importa niente di me. Lo ha fatto solo per avere un altro pollo da spennare. Ecco perché vuole che lavori, per tassarmi. Non voterei per lei per tutto l’oro del mondo’. Non si può convincere tutti” (14).

In un colloquio con due giornalisti, Joschka Fischer, ex ministro per gli Affari Esteri della Germania, dimostrò che è possibile usare una simile strategia retorica perfino per giustificarsi di affermazioni sicuramente biasimevoli (aveva definito il presidente del Bundestag uno “stronzo” e fatto un complimento per nulla lusinghiero a un settore dell’assemblea) e anzi per valorizzarle, essendo provocate dalla volontà di intervenire a sostegno dei propri colleghi, attaccati immeritatamente dagli avversari.

Domanda: “Dell’attacco verbale a Stücklen, che allora le procurò la fama di persona non formale, ma anche di uomo senza tabù, non si è pentito?”.

Risposta: “Gli ho chiesto scusa molto tempo fa. Ma lei deve vedere anche il contesto. Il mio compagno di partito Jürgen Reents aveva parlato allora dell’affare Flick ed era stato trattato ingiustamente, era stato interrotto e gli si voleva impedire di rivelare i legami tra Kohl e le società di Flick”.

Domanda: “Il Parlamento le appariva allora nel suo insieme una ‘riunione di alcolisti’”.

Risposta: “Waltraut Schoppe aveva tenuto un discorso molto toccante sulla discriminazione delle donne, sul sesso e sull’erotismo. Nel Parlamento non si era mai parlato di queste cose e i deputati seduti nel Parlamento a destra non hanno veramente dato tregua. Hanno aggredito le nostre donne con grande cattiveria” (15).

In Italia, nel corso di un dibattito per le elezioni del 1996, Silvio Berlusconi utilizzò l’evidenziazione delle cause: “Nel ‘94 sono sceso in campo perché sentivo che la libertà e la democrazia erano minacciate”. Fu piuttosto incisiva la replica di Massimo D’Alema, che individuò una ragione completamente diversa: “Lei è sceso in campo perché erano usciti dal campo alcuni suoi amici” (16), ovviamente con un sottinteso: coloro i quali tutelavano i suoi interessi economico-finanziari.

Nell’ottica dell’esponente del centrosinistra, l’asserzione del leader di Forza Italia implicava un argomento ingannevole. Una studiosa della materia l’ha chiamato “fallacia di non causa pro causa o della causa errata, perché non è provato che l’evento presentato come causa di un certo effetto ne sia veramente la causa” (17).

Così Alexandria Ocasio-Cortez, nel giugno 2018, ha rimbeccato su Twitter i suoi oppositori, che avevano impiegato la medesima forma di cattiva argomentazione contro di lei per sottovalutarne la rappresentatività: “Alcuni dicono che ho vinto per motivi ‘demografici’. Prima di tutto, è falso. Abbiamo vinto grazie a elettori di ogni tipo. Secondo, ecco il primo paio di scarpe che ho usato nella mia campagna elettorale. Ho bussato alle porte fino a consumarle talmente che ci è entrata la pioggia. Rispettate gli sforzi fatti. Abbiamo vinto perché abbiamo lavorato più dei nostri avversari. Punto” (18).

Quella che per antonomasia è la candidata più giovane eletta al Congresso degli Stati Uniti, non elenca aridi dati, come si tende a fare in situazioni simili. Invece, attraverso un espediente di notevole efficacia comunicatoria, cioè l’interazione tra parola e gesto, rende il suo messaggio più icastico e dà a esso una carica emozionale.

Un caso di eziologia, associata a una buona dose di sarcasmo, si deve alla disegnatrice Ellekappa, la quale esprimeva un’idea certamente condivisa da tanti, ma che per qualcuno avrebbe potuto costituire una rivelazione. Infatti riconosceva un’azione demagogica, opportunistica, in funzione di un risultato elettorale per lui favorevole, in una disposizione di legge, contenuta nel cosiddetto “decreto sicurezza” dell’allora ministro dell’Interno. La caricatura di quest’ultimo, dapprima meditabondo e poi trionfante, compariva in una vignetta. Ed ecco le sue battute racchiuse nelle nuvolette: “Se ai richiedenti asilo viene negata la residenza non possono curarsi e neanche lavorare…”, “E se non possono lavorare rischiano di cadere nell’illegalità…”, “E poi cosa dice la gente?”, “Gli immigrati tutti delinquenti! Votiamo Salvini!!!” (la Repubblica, 4 maggio 2019, p. 9).

Note

(1) “La strategia retorica dell’eziologia” (pubblicato il 4 agosto 2020).

(2) Armando Plebe e Pietro Emanuele, Manuale di retorica, Universale Laterza, 1988, pp. 123-124.

(3) Barack Obama, La promessa americana. Discorsi per la presidenza, Donzelli, 2008, p. 181.

(4) Riportato in Luciano Clerico, Barack Obama. Come e perché l’America ha scelto un nero alla Casa Bianca, Edizioni Dedalo, 2008, pp. 259, 260, 261.

(5) Barack Obama, L’audacia della speranza. Il sogno americano per un mondo nuovo, Rizzoli, 2007, pp. 234, 252.

(6) Discorso pronunciato a Selma, Alabama, il 4 marzo 2007, per commemorare il quarantesimo anniversario della Marcia per i diritti civili guidata da Martin Luther King, in Barack Obama, La promessa americana. Discorsi per la presidenza, Donzelli, 2008, pp. 79-80, 81, 82.

(7) Barack Obama, L’audacia della speranza. Il sogno americano per un mondo nuovo, Rizzoli, 2007, pp. 272-273.

(8) David Litt, Grazie, Obama, HarperCollins, 2018, p. 172.

(9) Ernst Robert Curtius, Letteratura europea e Medio Evo latino, La Nuova Italia, 1992, pp. 69 e 70.

(10) David Litt, op. cit., pp. 366, 367, 373.

(11) Chaïm Perelman e Lucie Olbrechts-Tyteca, Trattato dell’argomentazione. La nuova retorica, Einaudi, 2013, p. 159.

(12) Riportato in Anthony R. Pratkanis, Elliot Aronson, Psicologia delle comunicazioni di massa. Usi e abusi della persuasione, Il Mulino, 1996, pp. 149.

(13) Barack Obama, La promessa americana. Discorsi per la presidenza, Donzelli, 2008, p. 144 e Bill Clinton, My Life, Mondadori, 2004, p. 416.

(14) Bill Clinton, op. cit., pp. 61, 261-262, 344.

(15) L’espresso, 10 agosto 2006, p. 79. Così, testualmente, Joschka Fischer si era rivolto a Richard Stücklen: “Con tutto il dovuto rispetto, signor presidente, lei è uno stronzo”.

(16) Riportato in Corriere della Sera, 16 marzo 1996, p. 6.

(17) Paola Cantù, E qui casca l’asino. Errori di ragionamento nel dibattito pubblico, Bollati Boringhieri, 2011, p. 29.

(18) Max Benwell, “Perché Alexandria Ocasio-Cortez è imbattibile su Twitter”, in internazionale.it.