A : B = C : D. È matematica? No è retorica. Più precisamente un’analogia. Insieme alla similitudine, è una tecnica argomentativa utilizzata da Bill Clinton e tanti altri politici di ieri e di oggi.
L’analogia, al pari di tutte le altre tecniche argomentative, trova applicazione nella comunicazione persuasiva, come quella pubblicitaria – ne abbiamo parlato in due precedenti articoli (1) – e quella politica. Richiamiamone le proprietà: consiste in una somiglianza di rapporto, in base alla formula generale A : B = C : D. I due insiemi di termini formano il “tema” e il “foro”, appartengono a campi diversi e sono utili per appoggiare rispettivamente la conclusione e il ragionamento. Infatti solitamente si conosce meglio il secondo rispetto alla prima, perché quello deve illuminare la struttura o stabilire il valore di questa. Fra i termini simmetrici del “tema” e del “foro” si attua un riavvicinamento che conduce a un’azione reciproca e soprattutto alla valorizzazione o alla svalutazione dei primi (2).
Non si sa se Bill Clinton e i suoi speechwriters (3) ne fossero consapevoli o no, ma in qualche modo tale argomento caratterizzava una parte del suo intervento sullo stato dell’Unione, del 23 gennaio 1996. Ecco come viene ricordata nella sua autobiografia: “Il momento clou della serata fu verso la conclusione del discorso, quando di solito presentavo le persone sedute vicino a Hillary. Menzionai per primo Richard Dean, quarantanovenne veterano del Vietnam, per ventidue anni dipendente degli enti previdenziali. Quando dissi al Congresso che si trovava nel Murrah Building di Oklahoma City al momento dell’attentato e che aveva rischiato la vita ritornando per quattro volte tra le macerie e salvando tre donne, a Dean fu tributata una solenne ovazione generale, repubblicani in testa. Poi, l’affondo. Mentre l’applauso si stava smorzando, aggiunsi: ‘Ma la storia di Richard Dean non finisce qui. Lo scorso novembre, la serrata della pubblica amministrazione lo ha costretto a lasciare il posto di lavoro. E quando la cosa si è ripetuta, lui ha continuato ad aiutare i beneficiari della previdenza sociale, ma senza ricevere alcun compenso. A nome di Richard Dean vi lancio la sfida: il blocco dei servizi governativi non deve ripetersi mai più’. Questa volta l’applauso partì dai democratici, in visibilio. I repubblicani, accorgendosi di essere caduti in trappola, apparivano scuri in volto. Non mi sarei mai più dovuto preoccupare che si verificasse una terza serrata della pubblica amministrazione: le conseguenze che si sarebbero potute verificare ora avevano il volto di un eroe” (4).
Magari subliminalmente, al di sotto del livello della sua coscienza, senza che se ne rendesse conto, l’ascoltatore faceva un certo ragionamento, seguendo la proporzione A : B = C : D. Più precisamente, “chi aiuta i beneficiari della previdenza sociale, ma senza ricevere alcun compenso” (A) sta a “chi provoca la serrata della pubblica amministrazione” (B) come “chi rischia la vita ritornando per quattro volte tra le macerie e salvando tre donne” (C) sta a “chi compie un attentato” (D). Fra i termini A e C e i termini B e D si stabiliva una relazione vicendevole, attraverso la quale si valorizzava Richard Dean (A e C) e si svalutavano i repubblicani (B), in quanto paragonati ad un terrorista (D).
È chiaro dunque l’intento polemico nei confronti degli avversari. In altre occasioni lo stesso proposito venne perseguito con un tono ironico-umoristico:
“Alla fine del luglio 2000 […] ricominciai la mia battaglia contro i repubblicani sulla riduzione delle tasse. Loro intendevano sperperare il valore di un decennio di previsti attivi di bilancio, sostenendo che il denaro apparteneva ai contribuenti e che avremmo dovuto restituirglielo. Era un argomento convincente tranne che per un dettaglio: gli attivi erano una previsione, mentre i tagli alle tasse avrebbero avuto effetto sia che gli attivi si fossero concretizzati sia in caso contrario. Cercai di illustrare alla gente la questione, chiedendo di immaginare di ricevere una delle tanto pubblicizzate lettere del famoso presentatore televisivo Ed McMahon, che iniziava con queste parole: ‘Potresti avere già vinto 10 milioni di dollari’. Dissi che chi avesse speso 10 milioni di dollari dopo aver ricevuto la lettera doveva senz’altro appoggiare il piano dei repubblicani, ma tutti gli altri avrebbero dovuto ‘aderire alla nostra linea e lasciare che la prosperità economica continuasse a crescere’”.
“Terminai il 1987 [Clinton era ancora governatore dell’Arkansas] con il mio terzo discorso del decennio alla convention democratica della Florida dicendo, come sempre, che dovevamo affrontare i fatti e farli vedere agli americani come li vedevamo noi. Reagan aveva promesso di ridurre le tasse, di aumentare le spese per la difesa e di ripianare il bilancio. Aveva mantenuto le prime due promesse ma non la terza, perché l’economia dell’offerta non segue l’aritmetica. Il risultato era che il debito nazionale era esploso, non avevamo investito nel futuro e il calo dei redditi riguardava il 40% della popolazione. Sapevo che i repubblicani erano orgogliosi dei risultati ottenuti, ma io li consideravo alla stregua dei due vecchi cani che guardano due ragazzini ballare la break dance. Uno dice all’altro: ‘Sai, se lo facessimo noi, ci prenderebbero per pazzi’” (5).
Nell’ultimo caso, abbiamo: Clinton (A) sta ai “repubblicani orgogliosi dei risultati ottenuti”, ma che in realtà sono negativi (B) come “i due vecchi cani” (C) stanno ai “due ragazzini che ballano la break dance” (D). Ne deriva l’accostamento da una parte fra Clinton e i cani e dall’altra fra i repubblicani e i ragazzini. Infatti i primi (A e C) sono accomunati dalla saggezza, i secondi (B e D) dalla stramberia.
Ai fini della nostra analisi sono interessanti pure i seguenti esempi:
“È risaputo che Eltsin aveva un debole per la vodka, ma in linea di massima durante tutte le trattative con noi è sempre stato lucido, ben preparato ed efficace nel rappresentare il proprio paese. Rispetto alle alternative possibili, era una fortuna per la Russia avere lui al timone. Amava il suo paese, aborriva il comunismo e voleva che la Russia fosse potente ma giusta insieme. Ogniqualvolta qualcuno faceva un commento maligno sulla propensione di Eltsin per l’alcol, ricordavo quello che pare abbia detto Lincoln quando gli snob di Washington rivolsero la stessa critica al generale Grant, il comandante di gran lunga più combattivo e valido della guerra civile: ‘Scoprite cosa beve e datene anche agli altri generali’”.
“Ovviamente negli anni Sessanta c’erano stati eccessi politici e personalistici, ma quel decennio e i suoi movimenti avevano prodotto anche progressi in tema di diritti civili, diritti delle donne, difesa dell’ambiente, sicurezza del posto di lavoro e opportunità per le classi meno abbienti […] L’ala destra usava gli eccessi degli anni Sessanta per oscurare il bene in materia di diritti civili e altro. La loro condanna a tappeto mi ricordava l’aneddoto che il senatore David Pryor era solito raccontare circa una sua conversazione con un signore ottantacinquenne che gli diceva di essere sopravvissuto a entrambe le guerre, alla depressione, al Vietnam, al movimento per i diritti civili e a tutti gli altri sconvolgimenti del XX secolo. ‘Sicuramente avrà visto molti cambiamenti’ aveva commentato Pryor. ‘Sì’ aveva replicato l’anziano ‘ed ero contrario a tutti’”
“L’Nra [National Rifle Association] […] era decisamente contraria alla licenza per i proprietari di pistole, considerandola il primo passo verso l’abolizione del diritto di possesso di armi. Era un’argomentazione sbagliata; avevamo già da tanto tempo l’obbligo di rilascio della patente per i guidatori e nessuno aveva mai suggerito di bandire il possesso delle auto”
“Non pensavo di poter sconfiggere l’Nra [National Rifle Association] alla Camera, ma mi piaceva l’idea di tentare. Domandai alla gente come si sarebbe sentita se la strategia dell’Nra, “no alla prevenzione, sì alla punizione”, fosse stata applicata a qualsiasi aspetto della nostra vita: liberarsi di cinture di sicurezza, air bag e limiti di velocità e aggiungere cinque anni alla pena per guidatori irresponsabili che uccidevano qualcuno; liberarsi dei metal detector negli aeroporti e aggiungere dieci anni alla pena per i responsabili di attentati” (6).
Nel corso del terzo e ultimo dibattito tra George W. Bush e John Kerry, durante la campagna elettorale del 2004 per la presidenza degli Stati Uniti, come riportato in un quotidiano italiano, “quando Bush ha spiegato che i piani di Kerry costerebbero migliaia di miliardi, Kerry ha risposto con una battuta che sarà ricordata: ‘Prendere lezioni dal presidente in tema di responsabilità fiscale è un po’ come se Tony Soprano mi spiegasse come mantenere la legge e l’ordine in questo paese’” (7).
Possiamo considerare l’analogia come il motivo centrale dell’intervento di Barack Obama a Selma, Alabama, il 4 marzo 2007, a poche settimane dall’annuncio della sua candidatura alla presidenza degli Stati Uniti. Infatti emerge una somiglianza di rapporto da un lato tra i protagonisti della lotta per i diritti civili e la loro discendenza e dall’altro tra Mosè e Giosuè:
“Ho ricevuto una lettera di incoraggiamento da un amico, il reverendo Otis Moss, nella quale mi dice […] che se qualcuno si interroga se io debba o meno candidarmi, devo solo dirgli di guardare alla storia di Giosuè, poiché io appartengo alla generazione di Giosuè […] Oggi siamo in presenza di tanti Mosè. Oggi siamo in presenza di giganti sulle cui spalle noi ci muoviamo, individui che si sono battuti, non solo in nome degli afroamericani ma per conto di tutta l’America; individui che si sono battuti per l’anima dell’America, che hanno versato il loro sangue, che hanno sopportato scherno, derisione, tormento, e hanno così dato la misura della loro devozione. Come Mosè, questi individui hanno sfidato il faraone, i principi, i potenti che sostenevano che ad alcuni spettava stare in alto, ad altri in basso, e che sarebbe stato sempre così […] Hanno condotto un popolo fuori dalla schiavitù. Lo hanno guidato attraverso un mare che nessuno pensava si sarebbe mai aperto. Hanno vagato nel deserto ma sempre con la consapevolezza che Dio era con loro e che, se mantenevano quella fede in Dio, tutto sarebbe andato bene […] È grazie allo loro marcia che io mi trovo oggi qui davanti a voi”
“Sono qui perché voi tutti vi siete sacrificati per me. Io cammino sulle spalle dei giganti. E ringrazio la generazione di Mosè; ma dobbiamo ricordare, ora, che Giosuè ha ancora un lavoro da portare a termine. Per quanto grande fosse, e malgrado tutto quel che fece, guidando un popolo fuori dalla schiavitù, Mosè non attraversò il fiume per vedere la terra promessa. Dio gli disse: ‘Il tuo compito è finito’”
“È questo che ci insegna la generazione di Mosè. Levatevi le pantofole. Mettetevi le scarpe e cominciate a marciare. Mettetevi a fare un po’ di politica. Cambiate questo paese! Questo è ciò di cui abbiamo bisogno”
“Giosuè disse: ‘Ho paura, non sono sicuro di essere all’altezza della sfida’; e il Signore gli rispose: ‘Io ti ho dato ogni lembo di terra che i tuoi piedi calpestano. Sii forte e abbi coraggio, perché io sono con te dovunque tu vada’. È una preghiera per un viaggio”
“Fu compito di Giosuè portare a termine il viaggio iniziato da Mosè. Oggi noi siamo chiamati a essere i Giosuè del nostro tempo, la generazione che trova la propria strada al di là del fiume” (8).
L’ispirazione alla tradizione biblica dà al discorso, come emerge specialmente in alcuni passi, un carattere esortativo.
In Italia, alla tecnica argomentativa, di cui stiamo trattando, ha fatto ricorso, da Presidente del Consiglio, Matteo Renzi, quando, in riferimento all’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, ha osservato: “Nel 2014 aggrapparsi a una norma del 1970 che la sinistra di allora non votò è come prendere un iPhone e dire ‘dove metto il gettone del telefono?’. O prendere una macchina digitale e metterci il rullino” (9).
Dall’analogia deriva la similitudine, che consiste nel confrontare due immagini (appartenenti alla stessa classe oppure a classi diverse), in una delle quali si colgono caratteri, aspetti somiglianti e dunque paragonabili a quelli dell’altra. Il confronto è di solito introdotto con un avverbio o con una locuzione avverbiale o con un verbo (“come”, “simile a”, “sembrare”, “parere”). Così come la metafora, comprende tre elementi: il “tenore” (ciò di cui si parla), il “veicolo” (ciò a cui è paragonato) e il “terreno comune” (il carattere proprio di entrambi). Naturalmente l’emittente del messaggio dovrebbe scegliere come veicolo qualcosa già noto al ricevente e quindi utile per rappresentare più chiaramente il tenore (10).
Nella comunicazione politica si usa spesso questa figura retorica. Così è stato per le elezioni politiche del 21 aprile 1996, con la creazione di immagini molto icastiche, attinte da diversi campi semantici.
Confermando la sua predilezione per quello bellico-militare, Umberto Bossi così rispondeva alla domanda di un giornalista sulla sua politica delle alleanze: “Se noi andassimo con Dini […] sarebbe come dire: ora che siamo sul campo di battaglia e che ci siamo schierati, trattiamo. Io, invece, dico: adesso dobbiamo combattere”.
Lamberto Dini utilizzava il mondo animale per screditare un avversario: “Mancuso […] continua a ringhiare come un cane”.
Walter Veltroni si serviva del lessico cinematografico, dichiarandosi convinto che “ce la possiamo fare […] Prima o poi dovrà pur finire come nei film western quando vincono i buoni”.
Particolarmente efficace fu la rappresentazione fatta da Silvio Berlusconi a proposito dei problemi della giustizia: “Se vengono catturati delinquenti e vengono immediatamente rilasciati o i processi non si fanno tempestivamente, è chiaro che è come buttare acqua dentro un secchio bucato” (11).
Anche nella precedente campagna elettorale per la Camera e per il Senato, per le votazioni del 27 e 28 marzo 1994, si fece largo impiego di paragoni. Per esempio, l’economista Antonio Martino, candidato del movimento berlusconiano “Forza Italia” e promotore di un piano per la riduzione delle imposte, così replicò a chi cercava di presentarlo come un difensore degli evasori fiscali: “Essi non vogliono meno tasse. Sarebbe come se un vegetariano protestasse perché il prezzo della carne è alto”.
Invece Silvio Berlusconi, per ribattere all’accusa di essere a capo di un’azienda fortemente indebitata, disse più volte: “È come se uno che ha una casa che vale cento milioni [di lire], chiedesse un mutuo di 40 milioni”. Inoltre si impegnò a governare “come un buon padre di famiglia, che provvede alla propria famiglia e un buon imprenditore che provvede alla propria impresa”.
Talvolta ci si riferisce alla concreta esperienza dell’uditorio, al quale l’uomo politico si rivolge. Così, in occasione del congresso provinciale della Democrazia Cristiana di Trento, il 20 luglio 1947, il Presidente del Consiglio Alcide De Gasperi ricorse alla similitudine dell’ascesa-discesa, attività propria del mondo montanaro. Infatti egli osservò: “Mi pare di scendere da una delle numerose salite che ho fatto un tempo […], in cui si è affaticati e assetati e accecati dal sole delle rocce, quando si parla poco, sia per la stanchezza che nessuno vuol confessare, sia per la speranza di una certa sorgiva di acqua che si troverà sotto […] e quando scendiamo, quasi quasi sentiamo l’attrazione fisica di questa sorgente: io vi dico che noi indistintamente, nei nostri lavori, nelle nostre fatiche ripetiamo la discesa della montagna, dopo un grande sforzo sentiamo che tutti gli sforzi che facciamo […] ci richiamano alla sorgente della nostra attività” (12).
Bettino Craxi con i suoi confronti fra immagini raggiungeva una grande intensità espressiva:
“Visto alla luce dell’esperienza anche il famoso decretone ci appare oggi un doloroso errore: qualcosa come una purga data ad un tale che già stava morendo di fame”
“Qualcuno ha detto che la nostra marcia è stata pendolare. Può darsi. Nessuno ci obbligava a camminare diritti come soldatini di piombo. Ciò che importa è camminare nella direzione giusta”
“Sono stati assunti impegni importanti e realistici e mi preme sottolineare che questi impegni non sono affatto rimasti appesi per l’aria come i caciocavalli” (13).
Riguardo all’ultimo caso, Paola Desideri ha osservato: “Anche parlando con tutto il peso della sua carica istituzionale [era presidente del Consiglio], Craxi non rinuncia al linguaggio arguto, al gusto per la frase vivace e, nello stesso tempo, altamente comprensibile e al riparo da ogni equivocità interpretativa. Del resto, l’immagine dei caciocavalli appesi in aria, del tutto aliena in un contesto ufficiale come quello in questione [l’inaugurazione della Fiera internazionale di Cagliari], crea una sorta di divertita complicità con il pubblico, senz’altro sorpreso da una tale imprevista formulazione” (14).
Per mezzo di un linguaggio informale, colloquiale, popolareggiante, il leader socialista tendeva a presentarsi, sebbene implicitamente, come common man, perché sapeva che la maggioranza dell’elettorato è formata dalla gente comune e così tentava di favorire l’identificazione (“È uno di noi”) e dunque il consenso verso di lui. Le sue affermazioni sopra citate conglobano quindi uno strumento retorico di ordine affettivo, l’ethos, ovvero “il carattere che deve assumere l’oratore per accattivarsi l’attenzione e guadagnarsi la fiducia dell’uditorio”. Infatti “quali che siano i suoi argomenti logici, essi non hanno alcun potere senza questa fiducia” (15).
Note
(1) “L’analogia in uno spot per una banca”, pubblicato il 24 settembre 2018 e “La metafora e l’analogia in pubblicità”, pubblicato il 14 gennaio 2019
(2) Sul ragionamento per analogia si veda Chaïm Perelman e Lucie Olbrechts-Tyteca, Trattato dell’argomentazione. La nuova retorica, Einaudi, 2013, pp. 404-445.
(3) La parola inglese speechwriter, che significa “scrittore di discorsi”, indica il professionista che fa questo lavoro in collaborazione con l’uomo politico (ma non solo). Un sinonimo è ghosthwriter (“scrittore fantasma”). Un termine corrispondente della lingua italiana, ormai caduto in disuso, potrebbe essere logografo.
(4) Bill Clinton, My Life, Mondadori, 2004, pp. 749-750.
(5) Bill Clinton, op. cit., pp. 990 e 361.
(6) Bill Clinton, op. cit., pp. 545, 683-684, 969 e 970.
(7) Il Foglio, 15 ottobre 2004 (anche in sito web).
(8) Barack Obama, La promessa americana. Discorsi per la presidenza, Donzelli, 2008, pp. 79-80, 82, 88, 89, 90.
(9) Riportato in Wanda Marra, Vendere un’idea. Il consenso e la politica nell’era Renzi, Marsilio, 2016, pp. 53-54.
(10) Angelo Marchese, Dizionario di retorica e di stilistica, Mondadori, 1978 e Bice Mortara Garavelli, Manuale di retorica, Bompiani, 1991.
(11) Tali passi sono tratti nell’ordine dai seguenti giornali: Corriere della Sera, 27 febbraio 1996, p. 7; 21 marzo 1996, p. 3; 19 aprile 1996, p. 4 e Gente, 18 aprile 1996, p. 9.
Relativamente al linguaggio del cinema, Barack Obama, riferendosi ad un suo avversario nelle primarie democratiche per il Senato americano, ha scritto: “Scorrere la lista dei sostenitori sul sito web di Dan [Hynes] era come guardare i titoli di coda alla fine di un film – te ne vai prima che siano finiti”.
(12) Riportato in Paola Desideri, Teoria e prassi del discorso politico, Bulzoni, 1984, pp. 29-30.
(13) Riportato in Paola Desideri, Il potere della parola. Il linguaggio politico di Bettino Craxi, Marsilio, 1987, p. 155.
(14) Paola Desideri, op. cit., p. 156.
(15) Olivier Reboul, Introduzione alla re