L’antitesi come strategia di screditamento degli avversari

“Io sono convinto che esista un’Italia – tuttora maggioritaria – che voglia il cambiamento, ma non l’avventura, che chieda soluzioni e non slogan, che cerchi esperienza, non improvvisazione”. È un passo di una lettera scritta da Silvio Berlusconi a un quotidiano per annunciare un rinnovamento del suo partito.

Più avanti si rappresenta il centrodestra come “l’espressione di un’Italia concreta, per bene, ragionevole, dell’Italia che lavora e che produce, che non vuole distruggere, ma costruire”.

Inoltre si afferma la necessità di “formare una classe dirigente seria, competente, di buon senso, che sia in grado di affrontare in modo concreto e non soltanto a parole, le sfide difficili che il nostro Paese sarà chiamato a superare a breve, dopo il fallimento di questo governo”.

Infine si parla dell’esigenza di lanciare “un appello a tutte le persone di buon senso e di buona volontà, che non si fanno ingannare dal principio grillino dell’incompetenza, secondo il quale ‘uno vale uno’, ma che, come noi, ancora pensano che la competenza, il merito, la professionalità, l’impegno, lo studio e il lavoro siano caratteristiche fondamentali per qualunque professione e quindi anche per chi pensa di poter guidare il nostro Paese” (1).

In tali estratti si scopre la figura retorica dell’antitesi, che consiste nell’accostamento di termini o frasi di significato opposto: nella fattispecie, cambiamento/avventura, soluzioni/slogan, esperienza/improvvisazione; distruggere/costruire; futuro/passato; in modo concreto/a parole; incompetenza/competenza.

Può essere considerata una costante dell’elocuzione berlusconiana fin dal discorso della “discesa in campo”, del 26 gennaio 1994, il quale contiene pure vocaboli che evidenziano un’opposizione (“alternativa”, “si opponga”, “invece”, “contrapporci”, “al posto di”, “opposto”):

“So quel che non voglio e, insieme con i molti italiani che mi hanno dato la loro fiducia in tutti questi anni, so anche quel che voglio. E ho anche la ragionevole speranza di riuscire a realizzarlo, in sincera e leale alleanza con tutte le forze liberali e democratiche che sentono il dovere civile di offrire al Paese una alternativa credibile al governo delle sinistre e dei comunisti

“È indispensabile che al cartello delle sinistre si opponga, un polo delle libertà che sia capace di attrarre a sé il meglio di un Paese pulito, ragionevole, moderno”

“L’importante è saper proporre anche ai cittadini italiani gli stessi obiettivi e gli stessi valori che hanno fin qui consentito lo sviluppo delle libertà in tutte le grandi democrazie occidentali. Quegli obiettivi e quei valori che invece non hanno mai trovato piena cittadinanza in nessuno dei Paesi governati dai vecchi apparati comunisti, per quanto riverniciati e riciclati. Né si vede come a questa regola elementare potrebbe fare eccezione proprio l’Italia”

“Le nostre sinistre pretendono di essere cambiate. Dicono di essere diventate liberaldemocratiche. Ma non è vero […] Non credono nel mercato, non credono nell’iniziativa privata, non credono nel profitto, non credono nell’individuo. Non credono che il mondo possa migliorare attraverso l’apporto libero di tante persone tutte diverse l’una dall’altra […] Per questo siamo costretti a contrapporci a loro. Perché noi crediamo nell’individuo, nella famiglia, nell’impresa, nella competizione, nello sviluppo, nell’efficienza, nel mercato libero e nella solidarietà, figlia della giustizia e della libertà”

“Sogno, a occhi bene aperti, una società libera, di donne e di uomini, dove non ci sia la paura, dove al posto dell’invidia sociale e dell’odio di classe stiano la generosità, la dedizione, la solidarietà, l’amore per il lavoro, la tolleranza e il rispetto per la vita”

“Il movimento politico che vi propongo si chiama, non a caso, Forza Italia. Ciò che vogliamo farne è una libera organizzazione di elettrici e di elettori di tipo totalmente nuovo: non l’ennesimo partito o l’ennesima fazione che nascono per dividere, ma una forza che nasce invece con l’obiettivo opposto; quello di unire, per dare finalmente all’Italia una maggioranza e un governo all’altezza delle esigenze più profondamente sentite dalla gente comune”.

Come ha osservato Enrico Caniglia, “le contrapposizioni politiche costituiscono importanti riferimenti per l’elettorato, in particolare quando si tratta di un elettorato libero da meccanismi di lealtà radicati nel tempo. Le contrapposizioni semplificano il contesto politico e forniscono elementi utili per le scelte di voto […] Spesso si instaura una vera e propria lotta per la definizione della dimensione di contrapposizione, nella quale ciascuna forza politica tenta di conferire una certa identità politica all’avversario” (2).

Sono trascorsi venticinque anni dalla sua “discesa in campo” e Berlusconi (ormai ottantaduenne) si è visto nella necessità di riproporre il tradizionale divario tra il “nuovo” e il “vecchio” da un differente punto di vista, rendendolo meno marcato. Ecco come lo ha fatto nella lettera a un quotidiano, dalla quale abbiamo preso lo spunto per il nostro articolo: “Quella che si è aperta è certamente una stagione nuova, che richiede risposte nuove, ma senza venir meno ai valori e alle idee del vecchio centrodestra: idee liberali, liberiste, garantiste, che a mio giudizio rappresentano il futuro, non il passato”.

Nella conclusione del brano si dà maggiore importanza all’opposizione, altrettanto frequente, fra il passato e il futuro.

Di generi diversi di discrepanza, ugualmente elementari e funzionali alla polemica politica, si è trattato in precedenti occasioni (3).

Oltre a Enrico Caniglia, vari studiosi di comunicazione hanno colto l’efficacia della divergenza nel dibattito pubblico. Giorgio Fedel ha parlato di “riduzione dicotomica della realtà; per cui gli oggetti del discorso vengono collocati in due categorie poste in antitesi, configurando così un orientamento a due valori, bianco e nero, senza possibilità di sfumature o punti intermedi […] Ciò ha l’effetto di intensificare i contrasti” (4).

Si può rendere più incisivo il procedimento stilistico in questione, associandolo ad altri, come l’epanortosi o correzione (consistente nel tornare su quanto appena detto e nel sostituire un’espressione con una più adeguata), specialmente nella forma “non…, ma…”. Ecco un esempio ricavato dalla elocuzione di Silvio Berlusconi: “Non i cittadini nelle mani dello Stato, ma lo Stato nelle mani dei cittadini”. Un ulteriore potenziamento del messaggio si ottiene con l’antimetabole o antimetatesi, una categoria del chiasmo, risultante dalla permutazione nell’ordine delle stesse parole per provocare un capovolgimento di senso.

Tutto questo contraddistingue una massima memorabile, formulata da John F. Kennedy. Nell’allocuzione d’insediamento alla presidenza degli Stati Uniti d’America, tenuta a Washington, il 20 gennaio 1961, indirizzò ai suoi connazionali il seguente invito: “Non chiedetevi che cosa il vostro Paese può fare per voi, chiedetevi che cosa voi potete fare per il vostro Paese”.

Però, pur essendo similare la struttura discorsiva, emerge un contrasto per il significato. I valori sono gli stessi, ma la loro gerarchia è invertita: prevale il particolare sul generale per l’uomo politico e imprenditore italiano e il generale sul particolare per l’allora presidente americano (5).

Nei seguenti estratti abbiamo anche l’accumulazione (successione di termini o gruppi di termini) e l’anafora (ripetizione di uno o più vocaboli all’inizio di frasi successive o di loro segmenti):

“Ci sono i ricchi, ci sono i poveri, ci sono i padroni e ci sono gli operai, ci sono gli uomini e le donne […] C’è chi il mondo lo vuole cambiare e chi invece gli va bene così perché qui trova la garanzia del proprio privilegio” (Intervento televisivo, il 1° giugno 1979, di Luciana Castellina, dirigente del Partito di unità proletaria)

“Per scegliere fra sviluppo e recessione, fra benessere e miseria, fra libertà e asservimento, fra verità e menzogna”.

Di seguito si riporta un passo, nel quale s’impongono inoltre l’isocòlo (perfetta simmetria fra due o più membri di un costrutto o di una proposizione o di un periodo per numero di unità lessicali, per struttura sintattica e per ritmo) (6) e la personificazione, con cui si trasformano esseri inanimati o astratti, come due parti di una nazione, in persone reali, dotate di vita:

 “Scende in campo l’Italia che lavora contro quella che chiacchiera, l’Italia che produce contro quella che spreca, l’Italia che risparmia contro quella che ruba”.

Gli ultimi due brani sono estrapolati dalla campagna di Forza Italia per le elezioni politiche del 1994 e contengono due isotopie semantiche (serie di elementi omogenei sul piano del significato), una positiva e una negativa. Per mezzo di esse, nel secondo passaggio si rappresentava una guerra tra un gruppo “buono” e uno “cattivo” del medesimo Paese. Così si utilizzava il pathos, lo strumento retorico di ordine affettivo con il quale l’emittente tende a suscitare vari sentimenti nel ricevente: nella fattispecie amore per il partito pubblicizzato e odio per gli avversari. Le affermazioni erano assolutamente arbitrarie, ma probabilmente, visti i risultati elettorali, si rivelarono valide.

Pure Matteo Salvini impiega una simile strategia persuasiva, fondata sullo schema precostituito della lotta fra il “bene” e il “male”, allo scopo di screditare gli antagonisti. Ciò emerge dal discorso tenuto a Pontida, il 1° luglio 2018:

 “Qua c’è amore, non c’è invidia, non c’è gelosia, non c’è rancore. La vita è troppo breve per perdere tempo odiando, lasciamo che siano altri a farlo, a minacciare, a rosicare, a esaurire le scorte di Maalox nelle farmacia italiane”

“Solo e soltanto se le nostre idee arriveranno in tutta Europa, l’Europa avrà una speranza di esistere. Altrimenti vincono loro, quelli per cui non esistono confini e regole. Esistono solo diritti e non doveri. I doveri vengono prima dei diritti: se lo deve mettere in testa chi in Italia vive da tempo e soprattutto chi in Italia arriva domani mattina. Non c’è niente di gratuito e regalato” (7).

Come dimostrano i casi riportati, è possibile che l’antitesi coincida con una forma basilare di ragionamento. Più precisamente l’argomentazione, secondo Chaïm Perelman e Lucie Olbrechts-Tyteca, “non potrebbe procedere di molto senza ricorrere a paragoni, nei quali diversi oggetti siano posti a confronto per essere valutati l’uno in rapporto all’altro” (8). Ne parleremo in un successivo articolo.

Paolo Gentiloni ha usato in modo più semplice la figura retorica, riferendosi al Consiglio dei ministri creato successivamente a quello da lui presieduto. Dopo aver constatato che “questo è un governo che per la prima volta ha fatto un decreto mille proroghe ad agosto”, ha assestato un colpo più duro, esprimendo un concetto sinteticamente ed efficacemente in forma di slogan: “Arrivano sazi di nomine e digiuni di decisioni” (9).

Se ne trovano esempi specialmente in pubblicità:

“Più lo mandi giù, più ti tira su” (Caffè Lavazza)

“Calda estate, fresca Simmenthal”

“L’unto va, l’igiene resta” (Nuovo Svelto Maxigiene Gel)

“Vi dà tanto, vi chiede poco” (Panda)

“Il futuro è di chi ha un grande passato” (Alfa Romeo Giulietta).

Escludendo l’ultima occorrenza, si osserva anche la presenza dell’isocòlo, di cui abbiamo già detto.

Possiamo avere un tipo particolare di accostamento di termini o frasi di significato opposto. Si produce, quando si biasima chi pratica il rovesciamento delle accuse. Una tale critica si riscontra nell’autobiografia di Bill Clinton:

“[Newt] Gingrich aveva dimostrato di essere un politico assai migliore di me. Aveva capito di poter ‘nazionalizzare’ le elezioni di metà mandato con il contratto, attaccando senza tregua i democratici e sostenendo che tutti i conflitti e le amare faziosità di Washington create dai repubblicani fossero da attribuire ai democratici, dal momento che controllavano sia il Congresso sia la Casa Bianca […] Erano molto più numerosi gli americani che pagavano meno tasse rispetto a coloro che ne pagavano di più e l’amministrazione pubblica era assai più snella che non sotto Reagan o Bush, ma i repubblicani vinsero ugualmente con le stesse vecchie promesse: meno tasse e amministrazione pubblica più snella. Furono persino ricompensati per i problemi che loro stessi avevano creato”

“Addirittura, Gingrich rimproverava i democratici e i loro valori ‘permissivi’ per aver creato un clima morale tale da incoraggiare una tormentata signora del South Carolina, Susan Smith, ad annegare i suoi due figli nell’ottobre 1994. Quando risultò che l’instabilità mentale della Smith era da ricondursi agli abusi sessuali cui era stata sottoposta da bambina dal patrigno ultraconservatore, membro del consiglio della sezione locale della Christian Coalition, Gingrich non fece una piega. Tutti i peccati, anche quelli commessi dai conservatori, erano causati dal relativismo morale che i democratici avevano imposto all’America sin dagli anni Sessanta. Mi aspettavo che, prima o poi, spiegasse come la decadenza morale dei democratici avesse corrotto le amministrazioni Nixon e Reagan provocando gli scandali del Watergate e dell’affare Iran-Contra. Sono sicuro che avrebbe trovato il modo. Quando era in forma, era difficile fermarlo” (10).

Ricordiamo una favola di Fedro: “Un lupo ed un agnello, spinti dalla sete, erano giunti allo stesso ruscello. Più in alto si fermò il lupo, molto più in basso si mise l’agnello. Allora quel furfante, spinto dalla sua sfrenata golosità, cercò un pretesto di litigio. ‘Perché – disse – intorbidi l’acqua che sto bevendo?’. Pieno di timore, l’agnello rispose: ‘Scusa, come posso fare ciò? Io bevo l’acqua che passa prima da te’”.

Nel capitolo settimo del romanzo I Promessi Sposi, padre Cristoforo spiega a Renzo il comportamento di don Rodrigo e di qualsiasi “iniquo che è forte” così: “Può insultare e chiamarsi offeso, schernire e chieder ragione, atterrire e lagnarsi, essere sfacciato e irreprensibile”.

Probabilmente, al giorno d’oggi, pensando a Donald Trump (e ai suoi seguaci italiani), Alessandro Manzoni aggiungerebbe un altro caso: può diffondere fake news contro i suoi avversari e incolpare i suoi avversari di diffondere fake news contro di lui.

Anthony R. Pratkanis e Elliot Aronson indicano un simile procedimento con l’espressione “tecnica proiettiva”. Essa consiste nell’“accusare qualcun altro del misfatto che si sta commettendo […] Prima di invadere un paese, ad esempio, Adolf Hitler accusava spesso i suoi leader di complottare un’aggressione alla Germania” (11).

NOTE

(1) Corriere della Sera, 11 giugno 2018, p. 9.

(2) ENRICO CANIGLIA, Berlusconi, Perot e Collor come political outsider. Media, marketing e sondaggi nella costruzione del consenso politico, Rubbettino, 2001, p. 154.

(3) Si vedano: “Il tópos dell’opposizione tra parole e fatti nel discorso politico”, “Successive generazioni o prossime elezioni? La differenza tra statisti e politici” e “Interesse generale e interessi particolari. Ancora sulla differenza tra statisti e politici”, pubblicati il 16 marzo 2017, il 13 luglio 2017 e il 31 luglio 2017.

(4) GIORGIO FEDEL, “Parola mia. La retorica di Silvio Berlusconi”, in Il Mulino, n° 3, 2003, p. 469.

(5) Cfr. “Il terremoto, Pietro Grasso e il chiasmo”, pubblicato nel nostro sito l’11 gennaio 2017.

(6) Cfr. “L’ isocòlo nel testo pubblicitario e nel discorso politico”, pubblicato nel nostro sito il 1° giugno 2017.

(7) Riportato nel sito web di bergamonews.

(8) CHAΪM PERELMAN, LUCIE OLBRECHTS-TYTECA, Trattato dell’argomentazione. La nuova retorica, Einaudi, 2013, p. 262.

(9) la Repubblica, 29 luglio 2018, p. 3.

(10) BILL CLINTON, My Life, Mondadori, 2004, pp. 679-680 e 685.

(11) ANTHONY R. PRATKANIS, ELLIOT ARONSON, L’età della propaganda. Usi e abusi quotidiani della persuasione, Il Mulino, Nuova edizione 2003, pp. 154-155.