Una forma fondamentale di argomentazione consiste, secondo Chaïm Perelman e Lucie Olbrechts-Tyteca, nel “ricorrere a paragoni, nei quali diversi oggetti siano posti a confronto per essere valutati l’uno in rapporto all’altro” (1)
Prima parte
In politica, in Italia – come abbiamo già visto (2) – ma anche negli USA, ciò avviene per lo più in funzione polemica, evidenziando dei contrasti per mettere in cattiva luce gli avversari e per accreditare sé stessi e il proprio schieramento.
Un elemento di distinzione concerne i risultati positivi, che costituiscono una dimostrazione di buongoverno. Riguardo a tale aspetto, Bill Clinton nella sua autobiografia si è espresso chiaramente:
“Quando [Bush] criticò l’economia dell’Arkansas replicai che l’Arkansas era sempre stato povero, ma nell’ultimo anno aveva occupato il primo posto per la creazione di nuovi posti di lavoro e il quarto per l’incremento percentuale dei posti di lavoro nel settore industriale, del reddito pro capite e per la diminuzione della povertà, vantando inoltre il secondo posto a livello nazionale per il più basso carico tributario statale e locale: ‘La differenza tra l’Arkansas e gli Stati Uniti è che noi stiamo andando nella direzione giusta, mentre questo paese sta andando nella direzione sbagliata’”
“Stavamo facendo qualche progresso sul fronte economico; negli ultimi cinque mesi, altri 950.000 americani avevano trovato lavoro, un numero di posti quasi pari a quello creato nei tre anni precedenti”
“Promossi […] una partnership fra settore pubblico e privato al fine di bonificare le zone inquinate che, dopo essere state abbandonate, erano divenute luoghi degradati e inutilizzabili, oltre che fattori di rischio per la salute. Era una questione molto importante sia per me che per Al Gore: alla fine del nostro mandato saremmo riusciti a bonificarne il triplo di quante ne avessero ripulite le amministrazioni Reagan e Bush messe assieme” (3).
I seguenti estratti invece si riferiscono ai propri obiettivi, dei quali si sottolinea la discordanza rispetto agli scopi degli antagonisti:
“Parlai del mio ‘nuovo patto’ fondato su opportunità, responsabilità e comunità, che ci avrebbe dato ‘un’America in cui le porte dell’università si spalancano di nuovo per i figli e le figlie di impiegati e operai, un’America in cui aumentano i redditi del ceto medio, non le tasse del ceto medio, un’America in cui i ricchi non sono oppressi dalle tasse, ma in cui non è oppresso nemmeno il ceto medio, un’America in cui poniamo fine al welfare come lo conosciamo’”
“Mentre io ero determinato a preparare i dibattiti puntando tutto sull’economia, la fazione di Bush intendeva minare la mia figura e la mia reputazione di persona onesta”
“Io volevo un’America in cui i benefici fossero condivisi al pari delle responsabilità, un’America fondata sulla partecipazione paritaria a una comunità di tipo democratico. I nuovi repubblicani di destra volevano invece un’America in cui la ricchezza e il potere fossero concentrati nelle mani delle persone ‘giuste’” (4).
Gli effetti di divergenti scelte politiche emergono in un’opera autobiografica di Barack Obama:
“Questa è l’idea su cui si basa la ‘società del possesso’: liberare i datori di lavoro da qualsiasi obbligo nei confronti dei propri dipendenti e smantellare quanto resta del New Deal – i programmi di assicurazioni sociali gestiti dal governo – e la magia del mercato farà il resto. Se si può definire la filosofia del tradizionale sistema di assicurazione sociale come ‘ci siamo dentro tutti’, quella della ‘società del possesso’ sembra essere ‘sono fatti tuoi’”
“La ‘società del possesso’ non cerca neppure di ripartire rischi e vantaggi della nuova economia fra tutti gli americani; al contrario, si limita a ingrandire i mal distribuiti rischi e vantaggi dell’attuale economia ‘chi vince prende tutto’: se si è sani o ricchi o anche soltanto fortunati, lo si diventerà sempre di più; se si è poveri o malati o si incappa in qualche avversità, non ci sarà nessuno a cui chiedere aiuto”
“Fra il 1971 e il 2001, mentre il reddito medio del lavoratore tipo non ha mostrato letteralmente alcuna crescita, il reddito dello 0,01 per cento della popolazione, ovvero i più ricchi tra i ricchi, è cresciuto di circa il 500 per cento. La distribuzione della ricchezza è ancora più sbilanciata e i livelli di diseguaglianza sono ora più alti che in qualsiasi altro momento dall’età dell’oro che seguì la Guerra civile. Queste tendenze erano già in atto durante gli anni Novanta; la politica fiscale di Clinton si è limitata a rallentarle un po’, mentre i tagli di Bush le hanno peggiorate” (5).
Inoltre Barack Obama evidenziava una discrepanza tra i repubblicani (e i loro sostenitori) e la maggior parte della popolazione (e dunque degli elettori):
“I cinici, le lobby e gli interessi particolari […] hanno trasformato il nostro governo in un gioco cui solo loro possono permettersi di giocare. Loro staccano assegni e voi restate al chiodo con le bollette, loro hanno libero accesso là dove a voi tocca scrivere lettere”
“C’è il caso Katrina tuttora irrisolto. Sono stato a New Orleans tre settimane fa, sembra ancora una città bombardata. Non è stata ancora ricostruita […] C’è un divario di empatia. C’è un divario nella comprensione per la gente di New Orleans. È un divario che il popolo americano non ha condiviso, perché abbiamo visto tutti come ha reagito. Ma in un modo o nell’altro il governo non ha risposto con quello stesso senso di compassione, con quello stesso senso di solidarietà”
“America, noi siamo meglio di questi ultimi otto anni. Siamo una nazione migliore di così. Questo è un paese più premuroso […] Questo è un paese più generoso […] Noi siamo più sensibili di un governo che lascia i veterani a dormire per strada e le famiglie a scivolare nella povertà; un governo che se ne sta con le mani in mano mentre una delle maggiori città d’America affoga sotto i nostri stessi occhi”
“Da più di vent’anni [John McCain] sottoscrive quella vecchia e logora filosofia repubblicana – dare sempre di più a coloro che hanno di più e sperare che quella ricchezza si estenda goccia a goccia a tutti gli altri. A Washington la chiamano la “società dei proprietari”, di fatto significa ciascuno per sé. Perdi il lavoro? Peggio per te. Niente assistenza sanitaria? Ci pensa il mercato. Nasci povero? Rimboccati le maniche, anche se non hai neppure la camicia. Ciascuno per sé. Bene, è tempo che ciascuno di loro si prenda la sua sconfitta. Per noi è il tempo di cambiare l’America”
“La politica estera di Bush e McCain ha sperperato l’eredità che generazioni di americani – democratici e repubblicani – hanno costruito, e noi ora siamo qui per ricostruire quell’eredità” (6).
Spesso sono profondamente diverse le ragioni che spingono a partecipare alla vita pubblica. L’ha rilevato Bill Clinton nel racconto della storia della sua vita:
“Cercai di rimanere concentrato sul lavoro imminente e sull’impatto del mio operato sulla gente normale. Quando ci riuscivo mi era più facile oppormi a coloro che bramavano il potere fine a se stesso”
“Un giorno di ottobre [1995], al termine di una delle tante riunioni sul bilancio, chiesi al senatore Alan Simpson del Wyoming di trattenersi qualche momento a parlare con me. Alan era un repubblicano conservatore, ma ero in buoni rapporti con lui per l’amicizia comune che ci legava al suo governatore, Mike Sullivan […] Disse: ‘I democratici come te e Sullivan vanno al governo per aiutare la gente. Gli estremisti di destra non ritengono che il governo possa fare granché per migliorare la natura umana, ma in compenso sono molto interessati al potere’” (7).
Alla fine del romanzo Colori primari, rivolgendosi a un suo collaboratore, il protagonista, il democratico Jack Stanton, impegnato nella competizione per le presidenziali negli USA, così rimarca la differenza nei riguardi degli avversari:
“Tu sai quanto me che in questo gioco ci sono un sacco di persone che non pensano mai alla gente […] Vogliono solo vincere. Vogliono poter dire: ‘ho vinto la cosa più grossa che c’è’. E sono disposti a vendersi l’anima, a strisciare nelle fogne, a mentire alla gente, a fare appello alle loro paure peggiori…” (8).
In riferimento alle scelte personali, George H. Bush rese evidente una discrepanza con Bill Clinton per mezzo di un linguaggio particolarmente icastico. Infatti, come ha ricordato l’ex comandante in capo democratico nella sua autobiografia, dimostrando una certa autoironia, “contrappose la sua partecipazione alla seconda guerra mondiale con la mia opposizione alla guerra del Vietnam dicendo: ‘Mentre io stringevo le pallottole tra i denti, lui si mangiava le unghie’” (9).
Nella corsa alla Casa Bianca, nel 1988, il candidato repubblicano si trovò nella necessità di difendersi dall’attacco di un prestigioso esponente del partito concorrente. Su suggerimento di un suo consulente, sottolineò, benché con un’allusione, un divario fra sé stesso e colui il quale lo osteggiava. Ecco come tutto ciò è stato raccontato da un giornalista italiano: “Alla convenzione democratica dell’estate ‘88, Ted Kennedy guida un coro di migliaia di persone con la frase ‘Dov’era George?’, che significa: dov’era il vicepresidente degli Stati Uniti, mentre mezza amministrazione Reagan complottava lo scandalo Irangate? Possibile che non si fosse accorto mai di nulla? [Roger] Ailes ordina a Bush di rispondere così: ‘Ted Kennedy vuol sapere dov’ero io? Io ero a casa, all’asciutto e a letto con mia moglie’. Sottinteso: non ero certamente a Chappaquiddick, il paesino del Massachusetts in cui, vent’anni prima, il giovane senatore finì fuori strada al volante della sua auto, si infilò in un lago e fuggì via bagnato fradicio, lasciandosi alle spalle, annegata, la segretaria con cui tradiva la moglie. Bush, che ha un rispetto puritano per certe cose, adottò una versione più morbida: ‘Come sarebbe a dire dov’ero?’, ero con mia moglie Barbara, cosa c’è di male?’, ma che ebbe ugualmente un benefico effetto per la sua campagna elettorale” (10).
Anche per le elezioni del 2000 si utilizzò il paragone, relativamente alle caratteristiche dei competitor. Riferendosi all’antitesi tra il proprio coraggio, funzionale all’azione e il timore dell’avversario, che la blocca, così il repubblicano George W. Bush si distinse dal democratico Al Gore: “Tutte le proposte di cui ho parlato stasera, le ha definite ‘schema rischioso’, tutte le volte. È la summa del suo messaggio: la politica dell’interruzione della strada, del segnale di stop […] L’unica cosa che ha da offrire è la pura paura. Questo atteggiamento è tipico di molti a Washington, che vedono sempre il tunnel alla fine della luce. Ma io vengo da un posto diverso, che mi ha reso un leader diverso. Nel Midland, in Texas, dove sono cresciuto, la parola d’ordine in città era: ‘il cielo è il limite’ e noi ci credevamo” (11).
Al Gore, invece, fece un confronto, quantunque implicitamente, con George W. Bush in relazione ad alcune scelte, indicative della differente indole:
“Mi ricordo le discussioni che ebbi con [mia moglie] Tipper allora e i dubbi che avevamo sulla guerra in Vietnam. Ma mi sono arruolato, perché sapevo che se non fossi andato io, qualcun altro nella piccola città di Carthage, nel Tennessee, sarebbe dovuto andare al mio posto”
“Vorrei dirvi qualcosa su di me. Io mantengo la mia parola. Ho prestato fede. Ho prestato fede alla mia nazione. Sono stato volontario nell’esercito. Ho servito in Vietnam […] Non ho passato l’ultimo quarto di secolo in cerca di ricchezza personale. Ho passato l’ultimo quarto di secolo combattendo per gli uomini e le donne che lavorano, della classe media negli Stati Uniti d’America”
“So una cosa sul ruolo del presidente. È l’unica carica prevista dalla Costituzione che ha la responsabilità di lottare per tutti, non solo per le persone che vivono in uno Stato o in un distretto, non solo per i ricchi o i potenti, tutti; specialmente quelli che hanno bisogno di una voce, quelli che hanno bisogno di un campione, quelli che hanno bisogno di essere risollevati, cosicché non potranno mai essere lasciati indietro” (12).
Negli USA un esame comparativo si attua ovviamente all’interno del medesimo partito in occasione delle primarie. Per la nomination democratica per le presidenziali del 2008, Barack Obama talvolta lo sottintese, essendo chiaro che si riferiva alla sua antagonista Hillary Clinton:
“Non mi sono candidato alla presidenza per soddisfare un’ambizione coltivata da tempo, o perché credevo che in qualche modo mi fosse dovuto”
“Non possiamo permetterci la stessa politica della paura che cerca di convincere i democratici che l’unico modo per occuparsi della sicurezza nazionale è quello di parlare, agire e votare come i repubblicani di George Bush; quella politica che usa il ricordo dell’11 settembre per raccattare voti invece che per chiamare a raccolta tutti gli americani e sconfiggere i nostri veri nemici. Non possiamo permetterci di essere così preoccupati di perdere le elezioni da perdere le battaglie che dobbiamo alle prossime generazioni”
“Ma non ci si può presentare un giorno nelle vesti di abili navigatori della politica fallimentare di Washington e il giorno appresso in quelle di paladini del cambiamento. Non ci si può allineare alle posizioni più convenzionali su questioni importanti come la guerra, e al tempo stesso presentarsi come il leader più giusto per tracciare una rotta nuova e migliore per l’America” (13).
Più recentemente, il 26 giugno 2018, questo tipo di votazione si è tenuto per la scelta del concorrente democratico del 14° distretto di New York alle elezioni di midterm. Ha vinto la ventottenne Alexandria Ocasio-Cortez, iscritta ai Democratic Socialist of America (la corrente guidata da Bernie Sanders), con il 57,5% dei consensi contro il 42,5% del cinquantaseienne Joe Crowley, deputato da vent’anni. Nella competizione la prima ha speso 300 mila dollari, il secondo un milione e mezzo. A parere di un giornalista italiano, “il prossimo 6 novembre, Alexandria quasi certamente batterà il repubblicano Anthony Pappas, in una circoscrizione che è da decenni un fortino progressista. Dovrebbe diventare, quindi, la parlamentare più giovane del Congresso” (14). In effetti le cose sono andate proprio così.
Durante la campagna, per tornare all’oggetto del nostro articolo, Ocasio-Cortez ha osservato: “Ormai abbiamo capito che i democratici non sono tutti uguali. Gli amici di Wall Street, quelli che accettano i fondi delle grandi corporation, quelli che non mandano i figli nelle nostre scuole, quelli che non respirano la nostra aria, non bevono la nostra acqua, non possono più rappresentarci. Loro hanno i soldi, noi abbiamo la gente”.
Note
(1) Chaïm Perelman e Lucie Olbrechts-Tyteca, Trattato dell’argomentazione. La nuova retorica, Einaudi, 2013, p. 262.
(2) Cfr. gli articoli pubblicati il 19 luglio 2019 e il 29 settembre 2019 con lo stesso titolo: “Campagna elettorale 1996: l’argomento del paragone”.
(3) Bill Clinton, My Life, Mondadori, 2004, pp. 466, 564-565, 619-620.
(4) Bill Clinton, op. cit., pp. 446, 459-460, 932.
(5) Barack Obama, L’audacia della speranza. Il sogno americano per un mondo nuovo, Rizzoli, 2007, pp. 184-185, 186, 198.
(6) Barack Obama, La promessa americana. Discorsi per la presidenza, Donzelli, 2008, pp. 7, 85-86, 167, 169-170, 177.
(7) Bill Clinton, op. cit., pp. 393, 746.
(8) Anonimo, Colori primari, Garzanti, 1996, p. 394.
(9) Bill Clinton, op. cit., p. 454.
(10) Enrico Franceschini, I padroni dell’universo. L’America dei nuovi persuasori occulti, Bompiani, 1990, p. 200.
(11) Cristian Vaccari, Il discorso politico nelle elezioni presidenziali Usa 2000, in sito web.
(12) Cristian Vaccari, op. cit.
(13) Barack Obama, La promessa americana. Discorsi per la presidenza, Donzelli, 2008, pp. 121, 123.
(14) Giuseppe Sarcina, “Alexandria, la ‘millennial’ radicale / batte i boss democratici a New York”, in Corriere della Sera, 28 giugno 2018, p. 13.