L’argomento della divisione del tutto nelle sue parti – lo abbiamo visto relativamente al discorso politico (1) – consiste nel “dimostrare l’esistenza dell’insieme” oppure “l’esistenza o la non esistenza di una delle parti” (2). Talvolta ci si richiama a esso nella comunicazione commerciale.
Un creativo italiano, Marco Mignani, così ha raccontato l’invenzione nel 1985 di un memorabile slogan: “Ramazzotti aprì una gara. Io adoro i prodotti […] E io ho sempre avuto l’abitudine di analizzare, guardare, godere, toccare, odorare, versare, assaggiare, guidare, fare, ce l’ho ancora oggi e ho anche un lato un po’ tecnologico: mi piace sapere come le cose sono fatte. Allora guardai questa bottiglia di amaro Ramazzotti, che in sé non mi diceva niente… un amaro che sa di rabarbaro, di buccia d’arancia, come mille altri, però la sua bottiglia aveva un’aria razionalista e sull’etichetta c’era scritto: AMARO FELSINA RAMAZZOTTI e, più sotto, MILANO, che era grande quanto la scritta Ramazzotti. Dissi a me stesso: ‘Ma non è che in questa Milano c’è qualcosa di più interessante?’. Allora a Milano si stava scavando la metropolitana 3 […] Milano rinasceva dopo il terrorismo, nascevano i locali dove a lume di candela si mangiava il carpaccio con la rucola, le vetrine erano di nuovo illuminate, la moda stava esplodendo, cominciava l’epopea del fashion design italiano, arrivavano le modelle, via Montenapoleone tornava a essere vitale. Il clima era eccitante, Milano tornava a farsi strada. E poi pensai a un sondaggio che Sorrisi e Canzoni faceva ogni anno, nel quale si chiedeva agli italiani quale fosse la città dove avrebbero voluto vivere e quell’anno Milano fu al primo posto, staccando alla grande tutte le altre. Alla grande. Questa Milano vuol dire qualcosa, pensai, e mi vennero in mente i lavoratori. Noi stessi, in agenzia, ricevevamo lettere di persone che cercavano di venire a Milano per lavorare, gente che veniva da Capo Passero o da Trento: ‘Voglio venire a lavorare a Milano’, dicevano tutti. E così costruì questa campagna sulla città che lavora e che non dorme mai, come fosse la New York italiana. La chiusura ‘Milano da bere’ arrivò così, dal nulla” (3).
In realtà, forse senza rendersene conto, il copywriter escogitò un’espressione incentrata sulla tecnica argomentativa di cui stiamo trattando. In effetti non esisteva un’unica Milano, ma diverse: una dove lavorare, una in cui spostarsi rapidamente con la metropolitana, una da mangiare (“carpaccio con la rucola”), una da acquistare (“vetrine”, “moda”, fashion design”, “modelle”, “via Montenapoleone”) e così doveva essercene persino una da bere e era possibile che una simile funzione venisse svolta dall’Amaro Ramazzotti.
Un ragionamento mirante a evidenziare una parte (la caratteristica della silenziosità) del tutto (la vettura) sembra essere alla base di un titolo, elaborato dal famoso pubblicitario inglese (anzi, scozzese) David Ogilvy per il lancio di un modello di una prestigiosa casa automobilistica: “A sessanta miglia all’ora, il rumore più forte in questa Rolls Royce viene dall’orologio elettrico”.
Una headline parodistica, scritta per un diverso produttore di automobili, costituì la risposta provocatoria del fantasioso e originale creativo americano Howard Luck Gossage: “A sessanta miglia all’ora, il rumore più forte in questa Land Rover viene dal ruggito del motore”.
La divisione del tutto nelle sue parti contraddistingue un annuncio ideato negli anni sessanta dalla DDB, l’agenzia del geniale pubblicitario americano Bill Bernbach. Sotto il titolo “Avis è solo il numero 2 nell’autonoleggio. Allora, perché venire da noi?”, non si parlava genericamente di soddisfazione del cliente, ma si precisava: “Non possiamo proprio permetterci portaceneri pieni. O serbatoi mezzo vuoti. O tergicristallo consumati. O auto sporche. O gomme sgonfie. O nulla di meno di regolatori di sedili che regolano. Riscaldamenti che riscaldano. Sbrinatori che sbrinano”.
In una recente inserzione per la onlus Opera San Francesco per i Poveri non si fa riferimento indistintamente alle persone in condizione di disagio sociale, ma si specifica: “GRAZIE da chi vive in strada e ha fame perché non ha nulla. GRAZIE da chi ha qualcosa, ma non abbastanza per sfamarsi ogni giorno. GRAZIE da chi, come i pensionati, arriva a fine mese senza soldi. GRAZIE da chi per mangiare raccoglie gli avanzi al mercato del quartiere”.
Negli ultimi due esempi la forma di argomentazione oggetto del nostro articolo coincide con l’accumulazione, la particolare forma espressiva che consiste nella successione di parole o gruppi di parole, allo scopo di rendere più efficace il discorso. Infatti favorisce la percezione dei singoli elementi indicati (persone, oggetti, azioni, avvenimenti, situazioni).
Ecco alcuni titoli che contengono tale procedimento stilistico:
“2150 piatti, 3450 posate, 920 bicchieri, 450 pentole, 380 tegami, 290 padelle… Strofinetto 3 M. Pulisce tutto, bene e in fretta”
“C’è San Pellegrino, Sant’Antonio, Santa Lucia, San Bernardo, San Carlo, San Gemini. E c’è l’acqua per tutti i santi giorni” (Idriz Acquaviva)
“Cura, fotografa, registra, isola, ottura, decora, fotocopia, rifrange, radiografa, sigilla” (industria chimica)
Un uso molto incisivo è stato fatto per Ciocorì: “Non toglierti il golfino che sei sudato, dì buongiorno alla signora Cecilia, corri subito a lavarti le mani, non metterti le dita nel naso, non fare rumore che il papà è stanco, li hai già fatti i compiti?, non mangiarti le unghie, non attraversare la strada, possibile che non sai stare fermo un minuto?, stai attento a non sporcarti, non stare così vicino al televisore, tieni i gomiti giù dalla tavola, chi ti ha insegnato a dire le parolacce?, non bere l’aranciata gelata, piantala di masticare la cicca americana, non giocare con le barchette nella vasca da bagno, perché sei sempre lì a leggere fumetti?”.
Così lo ha spiegato la sua autrice, Annamaria Testa: “L’headline è interminabile, come è interminabile la sequenza di proibizioni che scandisce le giornate dei più piccoli. Il meccanismo verbale impiegato è quello dell’elenco, dell’accumulazione: una trappola infernale, che porta chi si lascia prendere dall’ingranaggio della lettura ad arrivare fino in fondo. E in fondo c’è Ciocorì. La dolcezza di Ciocorì, dopo tanti divieti amari. In questo senso l’headline non è che una lunga premessa al prodotto e questo diventa l’happy-end, il momento in cui la tensione accumulata dal titolo si può finalmente sciogliere” (4).
Secondo Giampaolo Fabris, “la maggior parte delle ‘idee creative’ che sottostanno ai migliori annunci possono essere interpretate come la trasposizione (consapevole e non) delle figure [retoriche] classiche” (5).
In precedenza, Jacques Durand aveva sostenuto: “Ciò che la retorica può apportare alla pubblicità è soprattutto un metodo per la creazione. Nella creazione pubblicitaria regna attualmente il mito dell’‘ispirazione’, dell’‘idea’. Non è un caso che le idee più originali, gli annunci più audaci appaiano come la trasposizione di figure retoriche individuate ed analizzate da numerosi secoli. Ciò spiega perché la retorica può essere considerata come una sommatoria di modi diversi per essere ‘originali’. È dunque probabile che il processo creativo possa essere facilitato e arricchito se i creativi prendono piena coscienza di un sistema che sino ad oggi hanno impiegato istintivamente” (6).
Quanto appena detto, vale non solo per le particolari forme espressive, di cui parlano Fabris e Durand, ma anche per gli argomenti, come quello al quale è dedicato il nostro articolo.
NOTE
(1) “L’argomento della divisione del tutto nelle sue parti nel discorso politico” e “La divisione del tutto nelle sue parti nei discorsi di Barack Obama”, pubblicati rispettivamente il 16 ottobre 2017 e il 15 novembre 2017.
(2) CHAΪM PERELMAN, LUCIE OLBRECHTS-TYTECA, Trattato dell’argomentazione. La nuova retorica, Einaudi, 2013, pp. 255 e 256.
(3) Riportato in SILVIO SAFFIRIO, Gli anni ruggenti della pubblicità. I grandi creativi raccontano, Instar Libri, 2010, pp. 76-78. Tuttavia, come ha specificato lo stesso Mignani, “‘Milano da bere’ ha avuto una vicenda alterna: andava bene finché le cose andavano bene. Poi è diventata simbolo di una Milano corrotta, di Tangentopoli” (p. 78).
(4) ANNAMARIA TESTA, La parola immaginata, Pratiche, 1992, pp. 54-55.
(5) GIAMPAOLO FABRIS, La pubblicità, teorie e prassi, Franco Angeli, 1992, p. 290.
(6) JACQUES DURAND, “Rhetorique et image pubblicitarie”, in Communication, 15, 1970, riportato in GIAMPAOLO FABRIS, op. cit., p. 292.