Le fallacie di Salvini e la gerarchia di valori di Open Arms

L’uso delle fallacie nella comunicazione politica può essere un’arma letale. Ma anche un’arma a doppio taglio. Ne sa qualcosa Matteo Salvini

La fallacia costituita dall’argomento ad baculum (‘al bastone’) consiste in una minaccia, in quanto “si cerca di far accettare una conclusione mediante un appello (diretto o indiretto, esplicito o implicito) alla forza” (1).

Tuttavia non sempre è efficace. Ne ha avuto una prova Matteo Salvini. Quando si è conclusa la vicenda della nave Sea-Watch 3 con l’attracco a Lampedusa e il fermo della sua capitana, come ha ricordato un grande scrittore, “si è affrettato ad avvertire la Ong spagnola Open Arms, che naviga nelle vicinanze con decine di migranti salvati in mare, che ‘se osasse avvicinarsi all’Italia, subirebbe la stessa sorte della giovane tedesca Carola Rackete’, la quale rischia carcere e multa. Il fondatore di Open Arms, Oscar Camps, ha risposto: ‘Dal carcere si esce, dal fondo del mare no’” (2).

È un’osservazione che dovrebbe indurre alla riflessione pure gli individui più cinici. Sicuramente era difficile per l’ex ministro degli Interni prevedere una reazione così disarmante e la logica stringente che l’ha ispirata. Tra i due contendenti impegnati nella disputa emerge un divario sulla base della differente gerarchia di valori (3), a cui si dimostrano più sensibili: evidentemente Camps pensa, al contrario di Salvini, che sottrarre delle persone al pericolo della morte sia più importante che evitare una pena detentiva e pecuniaria.

In un’intervista Gaspare Giarratano, un armatore di Sciacca (Agrigento), ha formulato il medesimo giudizio, ma con un coinvolgimento emotivo ancora maggiore, parlando del salvataggio, effettuato dal suo peschereccio, di un gruppo di sventurati partiti dal loro Paese alla ricerca di un’esistenza migliore: “Possono fare tutti i decreti sicurezza che vogliono, mettere tutte le multe possibili e immaginabili, sequestrarci la barca. Noi non siamo ricchi, siamo dignitosamente pescatori e sottolineo dignitosamente. Conosciamo una sola legge, quella del mare e non lasceremmo mai nessuno alla deriva. Lo facciamo perché siamo uomini. E noi in particolare nel nome di mio figlio Accursio, che ci ha lasciato a 15 anni e che ora ci benedice da lassù. Perdere un figlio ti cambia la vita e io non lascerei mai inascoltato il grido di aiuto di una sola vita umana da salvare. Più avanti ha aggiunto: “Mi chiedo se uno solo dei nostri politici abbia mai sentito nel buio della notte, nell’enormità del mare, levarsi delle grida d’aiuto disperate. Noi sì e non è la prima volta. E nessuno di noi sarebbe mai tornato a casa senza essere certo di aver salvato quelle vite” (la Repubblica, 27 luglio 2019, p. 6).

In una diversa circostanza è stato il segretario della Lega a manifestare una predilezione, ma dandosi la zappa sui piedi. Come ha raccontato il Corriere della Sera (22 luglio 2019, p. 4), per screditare un settimanale, in verità piuttosto critico nei suoi confronti, ha dichiarato in televisione e il suo staff ha subito twittato: “Preferisco Topolino all’Espresso. Però la scelta del termine di paragone si è rivelata infelice, perché gli si è ritorta contro. Infatti Roberto Gagnor, sceneggiatore del fumetto, ha replicato con un cinguettio: “Allora ci legga. Nelle nostre storie troverà cose interessanti: fantasia, cultura, tolleranza, apertura verso gli altri, coerenza, universalità”. Una simile obiezione, presto divenuta virale, è risultata talmente pungente da provocare l’immediata cancellazione del tweet salviniano.

Spesso gli uomini politici impongono una scala d’ideali. Per esempio, nella campagna elettorale del 1996, uno dei temi fondamentali, sviluppato da Silvio Berlusconi, fu la preminenza del liberalismo sullo statalismo:

“Ho ritenuto di chiedere il voto ai cattolici perché nel nostro pro­gramma la persona umana, la famiglia, la società civile hanno il primato assoluto sullo Stato. Non è questo il messaggio centrale della dottrina sociale della Chiesa? (Famiglia Cristiana, 24 aprile 1996, pp. 24-27)

“Noi proponiamo un modello di Stato in cui i cittadini hanno nelle loro mani lo Stato e non lo Stato ha nelle sue mani i cittadini” (Tribuna politica del 28 marzo 1996)

“Noi vediamo il nostro Paese secondo un modello di Stato che è il modello dello Stato liberale, dello stato cattolico-liberale, dove c’è un primato che è quello della società, cioè non i cittadini nelle mani dello Stato, ma lo Stato nelle mani dei cittadini, non i cittadini al servizio dello Stato, ma lo Stato al servizio dei cittadini” (Tribuna politica del 2 aprile 1996).

In alcuni interventi il fondatore di Forza Italia procedette dalla semplice antitesi (rafforzata dal chiasmo) all’argomento del paragone:

“Il 21 aprile sarà un referendum: o di qua o di là, o un futuro di libertà e di benessere con il Polo o un destino di dirigismo, statalismo e giustizialismo nelle mani della sinistra” (La Repubblica, 14 aprile 1996, p. 2)

“Ci sono due alternative per il Paese: quella della sinistra e quella liberale. L’alternativa della sinistra è quella di chi ritiene che ogni problema debba risolversi con una maggiore presenza dello Stato. Quindi con una maggiore spesa pubblica e con un conseguente aumento della pressione fiscale. Dall’altra parte c’è la nostra proposta. Occorre un dimagrimento dello Stato, con una contrazione della spesa pubblica e una riduzione della pressione fiscale” (Gente, 18 aprile 1996, p. 11)

“Noi siamo liberali, mettiamo l’individuo e la società prima dello Stato. Loro, invece, nel nome della ragion di Stato, giustificano anche le restrizioni della libertà personale” (Corriere della Sera, 19 aprile 1996, p. 5).

In occasione delle elezioni del 1996, Massimo D’Alema affermò: “Le candidature, le schermaglie non hanno nessun interesse per il Paese. Ben altri sono i temi. Primo: la speranza che possa vincere una maggioranza politica in grado di go­vernare l’Italia. Secondo: le riforme istituzionali che il Paese attende da venti anni. E poi la scuola, il lavoro, la disoccupazione…” (Corriere della Sera, 6 marzo 1996, p. 7).

Soprattutto in tale passo si nota la coincidenza tra i valori e particolari is­sues (le ca­tegorie tematiche generali): più precisamente l’allora segre­tario del PDS indicava con chiarezza la superiorità delle policy issues (“le riforme istituzionali”, “la scuola”, “il lavoro”, “la disoccupazione”) sulle political issues (“le schermaglie”) e sulle campaign issues (“le candidature”). Così dimostrava di conoscere i meccanismi della co­municazione politica. In effetti, per il suo gradimento ad opera della gente e dunque per la sua efficacia, è molto importante la scelta dei contenuti: le political issues “sono i temi concernenti la sfera più astratta del confronto politico-elettorale tra le forze in campo, attinenti cioè alle visioni ideologiche, alle logiche di schieramento”; le policy issues “sono le questioni relative alle politiche governative, amministrative e legislative, ma anche i ‘problemi concreti’, quelli cioè che toccano da vicino la vita e l’interesse dei cittadini” (4); le personal issues “concernono la vita e l’attività degli esponenti politici (leader e candidati) sotto il profilo non solo politico, ma anche professionale e più strettamente privato”; le campaign issues riguardano aspetti come “la definizione delle candidature, la conduzione della campagna da parte degli attori politici, i sondaggi e le previsioni elettorali, la regolamentazione della campagna” (5).

Romano Prodi utilizzò addirittura una gerarchia per giustificarsi per non essere intervenuto a un dibattito televisivo: “Avevo già gli impegni con i miei elettori, ero in Piemonte nel mio giro in pullman. Non manco alle promesse per fare un piacere a Vespa” (Corriere della Sera, 10 aprile 1996, p. 5).

Nell’autobiografia di Bill Clinton si delinea la preferibilità dell’azione rispetto all’inazione: “Pensavo che il summit [tra israeliani e palestinesi] fosse una buona idea e non vedevo l’ora che si svolgesse: secondo me, non avevamo niente da perdere e io ho sempre preferito affrontare il rischio di fallire piuttosto che restare inattivo per la paura” (6).

Il seguente caso di scala di princìpi si deve a Barack Obama: “Come regola generale, personalmente sono più propenso ad ascoltare coloro che si indignano per l’indecenza della condizione dei senzatetto che per l’indecenza dei video musicali” (7)

Nel romanzo Colori primari, dedicato a una competizione per la presidenza degli Stati Uniti d’America, si narra di uno scandalo, provocato dalla relazione avuta in passato da uno degli aspiranti alla carica, Jack Stanton, con la parrucchiera della moglie. Durante la preparazione dell’intervento dei due coniugi in una trasmissione televisiva, nella quale sicuramente se ne sarebbe discusso, uno dei consulenti politici suggerisce: “Si può raccontare la propria versione dei fatti e sfruttare la tensione del momento per mettere in imbarazzo l’intervistatore. Tipo: perché diavolo una brava persona come te si interessa tanto a queste chiacchiere? Perché vuoi nobilitare certe accuse? Qui siamo in campagna presidenziale: parliamo piuttosto di come va l’economia”. Più avanti, nel corso dell’intervista, Stanton dice: “Mi fa specie che in un momento in cui il popolo americano ha ben altre cose di cui preoccuparsi e di cui vuole discutere, si venga distratti da… Sam, tu lo sai al momento attuale quanti mutui sono tecnicamente inestinti solo nel New Hampshire? Il venticinque per cento” (8).

In Italia, recentemente, un avvenimento ha destato qualche scalpore. Il figlio sedicenne di Matteo Salvini è apparso in un filmato, girato da un giornalista, a bordo di una moto d’acqua della Polizia di Stato, guidata da un agente, davanti alla spiaggia di Milano Marittima. Forse si configura perfino il reato di peculato a causa dell’uso illecito di un mezzo dell’amministrazione. Matteo Renzi ne ha subito approfittato per rinnovare gli attacchi al padre dell’adolescente, però non nel senso che si potrebbe credere. Non ha strumentalizzato quell’episodio, anzi lo ha ridimensionato. Ha ricordato invece ragioni più gravi per esonerare dall’incarico di governo il suo antagonista: “Chiediamo le dimissioni di Salvini non per suo figlio, ma per i russi, per i 49 milioni, per l’odio social e per la lacerazione sociale, per l’insicurezza che produce ogni suo intervento, perché non è un ministro ma un influencer. Noi chiediamo le dimissioni di Salvini per questi motivi” (9).

Relativamente a essi, non è da escludere la possibilità di considerare il giro in acqua-scooter come una manovra di distrazione consapevolmente realizzata e l’osservazione dell’ex presidente del Consiglio come un tentativo di neutralizzarla. Si adatta a tale situazione ciò che Franca D’Agostini ha rilevato, prendendo spunto da uno scontro fra l’europarlamentare tedesco Martin Schulz e Silvio Berlusconi e riferendosi a “una mossa diversiva che mira a portare l’interlocutore su altri terreni, meno insidiosi per chi effettua la diversione. L’atteggiamento sensato di fronte alla strategia diversiva consiste nel riportare l’attenzione sulla questione centrale: quali sono le domande a cui non è stata data risposta? Quale è la risposta e perché non viene fornita?” (10). Il senatore democratico segue precisamente una simile linea.

Nella sua elocuzione s’individuano due ulteriori occorrenze di gerarchizzazione, in polemica rispettivamente con l’ex vicepremier e con una parte del suo stesso partito:

“Una priorità è evitare l’aumento dell’Iva. Vanno trovati 23 miliardi di euro. Perché un commerciante deve pagare la recessione che l’aumento dell`Iva comporterà? Che colpa ne ha quel commerciante se Salvini si è stancato di Toninelli? Che Toninelli sia incapace noi lo diciamo da anni, Salvini se ne è accorto solo adesso? Se votiamo subito l’Iva va dal 22 al 25%? Prima togliamo le clausole e poi si vota. Ieri abbiamo bruciato 15 miliardi, lo spread è alto, i risparmiatori soffrono. E con Salvini che chiede ‘pieni poteri’, i mercati temono l’uscita dall’euro. Si andrà a votare, certo. Ma prima vengono i risparmi degli italiani, poi le ambizioni di Capitan Fracassa

“Nell`ultima settimana sono stato attaccato più volte dai membri della segreteria. Leggo che il gruppo dirigente vorrebbe votare subito perché almeno si cambiano i parlamentari renziani: sono pronti a dare cinque anni di governo a Salvini pur di prendersi i gruppi parlamentari d`opposizione. Nobile motivazione, per carità, ma riduttiva. Stanno ancora una volta attaccando il Matteo sbagliato. Zingaretti dice: Renzi ci dia una mano. Accolgo volentieri l`appello, ma per me la mano va data al Paese più che alla Ditta” (11).

Nel secondo estratto emergono due casi, tuttavia con un’inversione dei termini, di polarizzazione tra interesse particolare e interesse generale: infatti i suoi avversari interni “sono pronti a dare cinque anni di governo a Salvini pur di prendersi i gruppi parlamentari d`opposizione”. Al contrario, “per me la mano va data al Paese più che alla Ditta”.

Torniamo all’argomento ad baculum, utilizzato, sempre dal segretario del Carroccio, in occasione di un comizio a Marina di Pietrasanta (Lucca). Nello specifico la minaccia è costituita non, come in precedenza, da un richiamo alle leggi, che prevedono pene detentive e pecuniarie, ma addirittura dalla pretesa di una mobilitazione (non viene chiarito di che tipo) dei suoi sostenitori. Innanzitutto, nell’ipotesi di messa in stato d’accusa per l’episodio della nave di Open Arms, ha affermato: “Non mi stupirebbe la richiesta di processo, a quel punto conto su di voi…” e un suo ascoltatore sicuramente non incline alla moderazione ha proposto: “Mandiamo in galera i giudici”. Più avanti l’oratore ha notato: “Siamo in mano a una trentina di renziani che sanno che con le elezioni non li vota nemmeno il loro babbo. Anzi, non li candidano nemmeno”. Siccome “noi non abbiamo i numeri per fermarli in Parlamento, non possiamo fermare il governo Arlecchino, il governo dei perdenti che vogliono salvare la poltrona”, ma “c’è il presidente della Repubblica che dovrà valutare se un governo del genere risponde al volere del popolo. E poi ci siete voi…”. Infine, parlando alla festa della Lega di Massa, ha ribadito: “Tenete il telefono acceso. Perché se ci sarà da scendere in piazza per salvare l’Italia, la libertà e la democrazia ci saremo” (12).

Inoltre ha detto: “Chiediamo la cosa più democratica del mondo: le elezioni” (13), impiegando un’altra fallacia, cioè, come l’ha definita Franca D’Agostini, “un errore argomentativo nascosto, di solito costruito ad arte per convincere un interlocutore”. Più precisamente, l’asserzione dell’ex vicepremier rientra fra quelle pragmatiche, in quanto consiste nel “lasciare intendere il falso dicendo il vero” (14).

È indubbio che il popolo eserciti la sovranità con l’indicazione dei suoi rappresentanti, ma è privo di fondamento pensare che le votazioni si possano tenere in qualsiasi momento, su richiesta di un’organizzazione politica. Nel nostro Paese la legislatura dura cinque anni e lo scioglimento anticipato delle Camere è una prerogativa del Capo dello Stato, il quale vi procede solo dopo aver constatato l’impossibilità di formare un governo.

Osserviamo anche il ricorso di Matteo Salvini, in polemica con gli ormai ex alleati del Movimento 5 Stelle, a un ulteriore ragionamento ingannevole, la generalizzazione indebita, attraverso la strumentalizzazione di vicende giudiziarie: “Hanno scelto Renzi? Auguri. Lo spieghino alle vittime di Bibbiano e ai truffati di Banca Etruria” (15). Il riferimento è prima alla storia dei bambini sottratti illegittimamente ai loro genitori, in cui sono coinvolti perfino i servizi sociali del comune e il sindaco, appartenente al Partito Democratico e poi allo scandalo dell’istituto di credito, del quale era vicepresidente il padre dell’ex ministra democratica Maria Elena Boschi (ma per lui comunque non ci sono stati strascichi con la giustizia). Tali allusioni si configurano come strategie di semplificazione. “È molto più facile – ha ricordato l’autrice di Verità avvelenata – credere vere tesi uniformanti, che trascurano la varietà e le differenze, piuttosto che perdersi nei dettagli” (16).

Un carattere pretestuoso ha pure l’argomento ad populum, con cui – citiamo ancora Franca D’Agostini – “si cerca di far accettare una conclusione mediante un appello a sentimenti popolari o a opinioni condivise” (17). Sui social media, per replicare ai commenti negativi sulle sue posizioni ideologiche e sul suo operato, il leader leghista ha elaborato una variante. Così l’ha descritta Michela Murgia: “La dinamica è sempre la stessa: prima compare una foto con la faccia di chi ha criticato, poi un virgolettato della frase più dura e infine la domanda, apparentemente innocua: ‘Ecco cosa pensa di me questa persona. Che le dovrei dire?’” (18). Segue ovviamente la violenza verbale degli odiatori. Non ci si richiama dunque a giudizi espressi in precedenza dai cittadini, ma se ne sollecita la formulazione di nuovi.

Note

(1) Franca D’Agostini, Verità avvelenata. Buoni e cattivi argomenti nel dibattito pubblico, Bollati Boringhieri, 2010, p. 122.

(2) Mario Vargas Llosa, “Chiedo il Nobel per la comandante del coraggio”, in la Repubblica, 9 luglio 2019, p. 1.

(3) Sulla gerarchia di valori, che Chaïm Perelman e Lucie Olbrechts-Tyteca classificano tra gli oggetti di accordo dell’uditorio, ossia “quanto si ritiene ammesso da parte degli ascoltatori”, si veda il loro Trattato dell’argomentazione. La nuova retorica, Einaudi, 2013, pp. 87-90.

(4) Gianpietro Mazzoleni, La comunicazione politica, Il Mulino, 1998, p. 231.

(5) Rolando Marini, Franca Roncarolo, I media come arena elettorale. Le elezioni politiche 1996 in tv e nei giornali, Eri-Vqpt, 1997, p. 39.

(6) Bill Clinton, My Life, Mondadori, 2004, p. 878.

(7) Barack Obama, L’audacia della speranza. Il sogno americano per un mondo nuovo, Rizzoli, 2007, p. 226.

(8) Anonimo, Colori primari, Garzanti, 1996, pp. 130 e 143.

(9) In Facebook.com/matteorenziufficiale, 30 luglio 2019.

(10) Franca D’Agostini, op. cit., p. 118.

(11) Corriere della Sera, 11 agosto 2019, p. 5.

(12) Corriere della Sera, 19 agosto 2019, p. 4.

(13) YouTube – Governo, Salvini spinge per il voto: “M5S svende il Paese a Renzi e Boschi”.

(14) Franca D’Agostini, op. cit., pp. 106 e 158.

(15) Corriere della Sera, 20 agosto 2019, p. 6.

(16) Franca D’Agostini, op. cit., p. 163.

(17) Franca D’Agostini, op. cit., p. 122.

(18) Michela Murgia, “Onore alla Littizzetto / che spaventa la Bestia”, in la Repubblica, 18 agosto 2019, p. 4.