Marcello Fonte, Cannes e l’exemplum

Marcello Fonte, premiato al Festival di Cannes 2018 come migliore attore protagonista, per il film Dogman di Matteo Garrone, in un’intervista ha ricordato le sue umili origini: “Sono nato in una discarica, tra la spazzatura. Mio padre, però, ci ha sistemato bene, ha recintato tutto, ha cercato di farci stare tranquilli e protetti, perché quella era un’area particolare”. E, più avanti, alla domanda: “Che impressione le ha fatto Cannes, l’atmosfera del Festival, le feste, le star?”, ha risposto: “Una bella impressione. Ho pensato che la vita prima ti tratta come una ‘cacchina’ e poi succede una cosa come questa, arrivi in un posto dove ti fanno un sacco di complimenti. Mi sono sentito accolto” (1).

Riguardo ai suoi esordi, ha raccontato: “Ho iniziato a recitare sul palco con la compagnia di ex detenuti. Ho sostituito un tizio. Aveva poche battute che sbagliava, io ho continuato a fare quello che faceva lui” (2).

Piuttosto commovente è stato un passo del suo discorso di ringraziamento: “Quando ero a casa mia e pioveva sopra le lamiere, chiudevo gli occhi e mi sembrava di sentire gli applausi e invece adesso li riapro e quegli applausi siete voi”. Così evidentemente ha voluto esprimere soddisfazione per il successo ottenuto, ma forse dimostrare pure che tutti possono trasformare i sogni in realtà.

Infatti il riferimento a un’esperienza personale ha la potenzialità di spingere a un ragionamento per induzione, di favorire una generalizzazione. È la caratteristica dell’“esempio”, ossia dell’argomentazione fondata sul caso particolare (3). Come ha rilevato Ernst Robert Curtius, “exemplum (paradeigma) è un termine tecnico della retorica classica a partire da Aristotele e significa ‘narrazione addotta come dimostrazione” (4).

Quella di Marcello Fonte è una storia di riscatto, che rientra in una narrativa spesso utilizzata nella comunicazione politica, soprattutto negli Stati Uniti. Ronald Reagan, per limitarci a un’occorrenza, nel discorso sullo stato dell’Unione, tenuto nel gennaio 1985, affermò: “Due secoli di storia americana dovrebbero averci insegnato che niente è impossibile. Dieci anni fa, una ragazza ha lasciato il Vietnam con la sua famiglia. Sono venuti negli Stati Uniti senza bagagli e senza sapere una parola di inglese. La ragazza ha lavorato sodo e alla fine delle secondarie era tra le prime della sua classe. Nel maggio di quest’anno, esattamente dieci anni dopo aver lasciato il Vietnam, prenderà il diploma dell’Accademia militare di West Point. Mi sono detto che vi avrebbe fatto piacere incontrare questa eroina americana, il cui nome è Jean Nguyen […] Uno dei nostri slogan più antichi resta sempre di grande attualità: tutto è possibile in America se abbiamo fede, volontà e forza d’animo” (5).

A proposito dell’esigenza di permettere a ognuno di realizzare le proprie aspirazioni, Bill Clinton nel suo intervento alla convention democratica per le elezioni presidenziali del 1992 sostenne: “Voglio dire qualcosa a tutti i bambini d’America che crescono senza padre o senza madre: so come vi sentite. Anche voi siete speciali per me. Siete importanti per l’America. E non permetterò a nessuno di dire che non potete diventare quello che volete diventare” (6).

NOTE

(1) La Stampa, 21 maggio 2018, p. 24.

(2) la Repubblica, 17 maggio 2018, p. 37.

(3) CHAΪM PERELMAN, LUCIE OLBRECHTS-TYTECA, Trattato dell’argomentazione. La nuova retorica, Einaudi, 2013.

(4) ERNST ROBERT CURTIUS, Letteratura europea e Medio Evo latino, La Nuova Italia, 1992, p. 69.

(5) Riportato in CHRISTIAN SALMON, “Una macchina inventa-storie”, in Le Monde diplomatique, novembre 2006. Si potrebbe sostenere che il moderno storytelling, cioè la rappresentazione di una vicenda in modo da suscitare emozioni, derivi dall’exemplum dell’antica retorica.

(6) BILL CLINTON, My Life, Mondadori, 2004, p. 446.