di Giorgio Matza
È possibile definire la metafora come la figura retorica che consiste nella sostituzione di un termine con un altro sulla base di un rapporto di somiglianza fra i loro significati. Si attua dunque uno slittamento semantico, cioè uno spostamento di senso, per trasmetterne un sovrappiù, in quanto si passa dal piano informativo, referenziale (denotazione) a quello allusivo, evocativo, affettivo, ovvero supplementare (connotazione). La metafora può considerarsi una similitudine accorciata (per esempio, <Quella ragazza è [bella come] una rosa>) e perciò pure in essa si individuano tre elementi: ciò di cui si parla (“tenore”), ciò a cui questo è paragonato (“veicolo”) e il carattere proprio di entrambi (“terreno comune”). Naturalmente l’emittente del messaggio dovrebbe scegliere come veicolo qualcosa già noto al ricevente e quindi utile per rappresentare più chiaramente il tenore (1).
Per Chaim Perelman e Lucie Olbrechts-Tyteca, la metafora può avere varie funzioni argomentative: di figura retorica dell’insistenza (si attira o ravviva l’attenzione del destinatario e contemporaneamente si sottolinea un determinato elemento, si rafforza l’idea che si vuole esprimere), della scelta (si dà rilievo ad un aspetto di una persona o di un oggetto, si focalizza l’attenzione su una precisa caratteristica e dunque si impone o si suggerisce una selezione), della presenza (si crea un’impressione di realtà, si aumenta nella nostra coscienza il senso dell’esistenza dell’oggetto del discorso), della comunione (viene utilizzata dall’emittente del messaggio per coinvolgere il ricevente, per farlo partecipare attivamente alla esposizione, prendendolo a parte di essa). Inoltre, secondo i due autori, è un’analogia condensata, ossia il risultato della fusione delle due parti costitutive di quest’ultima, la quale così si presenta non come un suggerimento, ma come un dato, con un effetto quindi più marcato (2).
<Sicuramente metaforici – ha osservato Paolo Facchi, rifacendosi agli anni Cinquanta – sono alcuni attributi della propaganda democristiana come: “la DC è l’argine, la diga, contro il comunismo”, perché se ne possono ricavare le analogie: “la DC sta al comunismo come un argine, una diga, stanno a un fiume in piena o a un oceano”> (3).
Nel discorso politico spesso si ricorre alla metafora per sottolineare lo spirito ironico e polemico nei confronti dell’avversario e le sfere semantiche possono essere le più differenti, come dimostrano i casi che di seguito si riportano dalla campagna per le elezioni politiche del 21 aprile 1996. Si va dalla botanica con Gianfranco Fini (<Il Polo non è una margherita con un solo petalo>), alla zoologia, alla patologia e alla geografia con Massimo D’Alema (<Dotti era una colomba? Da quelle parti le fanno allo spiedo>, <La destra non è la medicina, è la malattia>, <La destra è un torrente in piena che travolge tutti gli argini e alza un fondale melmoso>), alla fonografia con Lamberto Dini (<Berlusconi è un grammofono che suona sempre la stessa musica>), alla navigazione con Silvio Berlusconi (<Non si può pensare di lasciare il timone della nave dello Stato nelle mani degli stessi piloti che l’hanno portata sugli scogli>) (4).
Ma i campi metaforici più sfruttati sono stati altri: innanzi tutto quello della guerra e della violenza in genere. Numerose immagini appartenenti ad esso si trovano in due interviste rilasciate da Umberto Bossi. Nella prima, riguardo ad una possibile defezione della sua compagna di partito Irene Pivetti, chiarisce: <Quando gli eserciti vanno in battaglia, se un capitano perde la strada o rimane a casa, cosa vuole che conti? La Lega deve andare da sola, oramai tutto è pronto per la grande battaglia>. E poi aggiunge: <La Lega ha già la sua via tracciata: la battaglia per l’indipendenza del Nord. E adesso, invece di combattere, dovremmo ritirarci?>, <Per la Lega è arrivato il momento di lanciare i suoi uomini all’assalto>, <Oramai siamo nel campo di combattimento e non è possibile scappare> (Corriere della Sera, 27 febbraio 1996, p. 7).
In un’altra intervista Bossi racconta: <Inutilmente destra e sinistra hanno tentato di intrappolarci con la tagliola delle larghe intese […] A quel punto sarebbe scattata contro di noi la ghigliottina […] del sistema maggioritario uninominale secco all’inglese. E ci avrebbero mandato a picco>. E più avanti minaccia: <Se destra e sinistra insisteranno per governare insieme e per avviare la controriforma istituzionale, allora il grande popolo del Nord scenderà sul piede di guerra>, <Chi tenta di accoltellarci alle spalle e poi non ci riesce, dovrà pagarla> (L’Espresso, 22 marzo 1996, pp. 59-60).
È interessante osservare che quest’ultima metafora era stata adoperata proprio contro di lui da Mario Segni (fondatore del movimento per le riforme costituzionali), il quale in un’intervista aveva sostenuto: <Da Bossi ci si possono aspettare solo pugnalate> (L’Unione Sarda, 23 febbraio 1996, p. 2).
Ma nelle dichiarazioni del leader della Lega Nord si nota una particolarità, giacché egli ha impiegato tali immagini bellico-militari soprattutto con una ben precisa funzione politica: quella di conservare l’appoggio per lo meno dello “zoccolo duro” del suo elettorato, cioè il settore più stabile e fedele, infervorandolo alla lotta, allo scopo di non rimanere schiacciato fra le coalizioni di centrosinistra e centrodestra, una volta presa la decisione di far presentare il suo movimento da solo alle elezioni. Infatti ormai anche in Italia era emersa, relativamente al quadro politico, una situazione che Monica Charlot ha definito <saturata>, ossia caratterizzata dalla tendenza al bipolarismo, diversa sia da quella <aperta> sia da quella <chiusa>, contraddistinte rispettivamente dall’esistenza di pari opportunità per tutti i partiti e dalla posizione dominante di una forza politica. Perciò Umberto Bossi si trovò nella necessità di applicare quella che Jean- Marie Domenach ha chiamato <legge di semplificazione e del nemico unico>, consistente nel presentare il proprio movimento come schierato contro un solo <opponente>. Si segue dunque il cosiddetto <metodo di contaminazione>, con il quale si sostiene che fra gli avversari esiste una reale affinità, nascosta dietro divisioni soltanto apparenti. Inoltre il partito outsider nella situazione <saturata> deve evidenziare la propria peculiarità (5).
Per la Lega Nord essa era rappresentata dalla proposta del federalismo o addirittura dell’indipendenza dell’Italia settentrionale, in opposizione al centralismo, che accomunava invece, secondo Bossi, le coalizioni del centrosinistra e del centrodestra, ovvero Roma-Ulivo e Roma-Polo, come egli le definiva. Infatti il leader della Lega Nord spiegava in un’intervista rilasciata ad un settimanale: <Con il sistema maggioritario uninominale secco all’inglese […] si sarebbe tornati alla vecchia alternativa destra-sinistra. Mentre la vera contrapposizione deve restare quella tra centralismo e federalismo> (L’Espresso, 22 marzo 1996, p. 59).
Tuttavia le immagini bellico-militari sono state usate anche da altri uomini politici: per esempio, Romano Prodi, per sottolineare la diversità fra la sua coalizione e quella guidata dal suo avversario Silvio Berlusconi, ha spiegato: <Il Polo attacca con l’aviazione, cioè le TV. Noi abbiamo la fanteria e le truppe partigiane. I nostri ragazzi lavorano gratis, vanno in giro a distribuire i “santini” dei candidati senza prendere un soldo. Il Polo usa uomini con il berrettino aziendale pagati per fare un lavoro come un altro. C’è una bella differenza. I nostri sono dei partigiani, gli altri dei mercenari> (Corriere della Sera, 18 aprile 1996, p. 3).
Silvio Berlusconi, invece, così ha definito l’Ulivo: <Si tratta di un’ammucchiata indistinta, fatta solo di tantissimi generali. E io non credo che esista un esercito che corrisponda a quel numero di graduati> (Corriere della Sera, 28 febbraio 1996, p. 3); mentre del partito più rappresentativo del centrosinistra ha detto: <Il PDS dispone di un apparato di 700 mila attivisti, una gioiosa macchina da guerra capace di distribuire famiglia per famiglia i “santini” elettorali> (Corriere della Sera, 24 marzo 1996, p. 2),
Parlando di “gioiosa macchina da guerra”, il leader del centrodestra riprendeva in realtà un’espressione creata, durante la campagna elettorale del 1994, per indicare il proprio schieramento, dal suo antagonista di allora, Achille Occheto, al quale tuttavia non portò molta fortuna. L’opinione pubblica, probabilmente ormai stanca degli scontri evocati con tale metafora, decretò la vittoria di Silvio Berlusconi, che allora dava un’impressione di serenità. Egli, in occasione di quelle elezioni, al fine di accreditarsi come uomo di governo, spesso utilizzò l’immagine del <buon padre di famiglia>, richiamando l’amore, l’unità, la solidarietà, la concordia, la collaborazione, insomma tutto ciò che è indispensabile per il bene del Paese (6).
Il nucleo famigliare costituisce uno dei campi metaforici più frequentemente impiegati in politica. Ciò è stato mostrato da Francesca Rigotti con esempi tratti dalla produzione discorsiva del rivoluzionario boliviano Simon Bolivar (1826), del primo ministro prussiano Ottone di Bismarck (1871), del capo del governo inglese Winston Churchill (1954) e del borgomastro di Berlino Ovest Willy Brandt (1961) (7).
Anche dall’attività teatrale si possono mutuare immagini di una certa incisività. Ecco, per esempio, come Silvio Berlusconi vede i suoi avversari: <Dini non è un nostro problema, lo è invece soprattutto per Prodi, poi per Maccanico, per D’Alema, per Bertinotti e per tutta quella variopinta compagnia di giro che non è certo una coalizione in grado di esprimere una linea e un programma unitari> (Panorama, 7 marzo 1996, p. 19).
Ma così egli è descritto da Massimo D’Alema: <Un vecchio attore sfiatato, lo tengono su con le luci e con il cerone> (La Repubblica, 25 marzo 1996, p. 3).
Particolarmente efficace, in quanto emerge con chiarezza la sua funzione di analogia condensata, è la metafora creata da Romano Prodi, quando afferma: <Il leader di AN è ormai l’uomo forte del Polo, quello che tira i fili> (Corriere della Sera, 18 aprile 1996, p. 3). Infatti il ricevente del messaggio sviluppa spontaneamente l’argomentazione implicita dell’emittente e conclude che, se Gianfranco Fini <tira i fili>, Silvio Berlusconi è semplicemente una marionetta nelle sue mani: in altri termini, fra i due uomini politici si delinea lo stesso rapporto che lega il burattinaio e il burattino.
Esistono pure metafore di carattere letterario. Per esempio, Vincenzo Vita, esperto del PDS per le questioni televisive, ne ha impiegato una per evidenziare il controllo esercitato dal Polo delle Libertà su diversi telegiornali: <Gli attacchi del leader di Forza Italia, supportato da quello di AN, al Tg3 ricordano molto la parabola evangelica della trave e della pagliuzza. E trave sono Tg4, Studio Aperto e buona parte dei Tg Rai> ( Corriere della Sera, 22 marzo 1996, p. 7).
Ma la stessa immagine si trova nella risposta di Silvio Berlusconi alla domanda di un giornalista, che dava voce ai dubbi dei cattolici sulla alleanza con il radicale Marco Pannella: <Ma lei guarda la pagliuzza nel mio occhio e non la trave di Rifondazione nell’occhio dell’Ulivo> (Corriere della Sera, 19 aprile 1996, p. 5).
Un’altra metafora biblica, contenente oltre tutto una forte carica emozionale, è stata utilizzata da Romano Prodi, che assumeva un importante impegno: <Nella lunga traversata del deserto che ci sta davanti non abbandoneremo ai margini della pista né un solo vecchio né un solo malato> (8).
In questi esempi appare con chiarezza la funzione di figura retorica della comunione, in quanto l’emittente del messaggio allude a conoscenze che lo accomunano al ricevente. Ciò emerge con evidenza ancora maggiore in un altro caso. Un’attività particolarmente appassionante per un gran numero di persone nel nostro Paese è sempre stato lo sport. Perciò, pure durante la campagna per le elezioni politiche del 21 aprile 1996, i candidati si sono addentrati in tale campo metaforico.
Massimo D’Alema ha spiegato così la posizione del suo partito all’interno dell’alleanza di centrosinistra: <Diciamo che c’è il giro d’Italia, nel quale corre la squadra dell’Ulivo capitanata da Prodi e poi c’è un gran premio della montagna nel quale noi del PDS gareggiamo contro uno scalatore che è l’onorevole Fini> (La Repubblica, 20 marzo 1996, p. 4).
Silvio Berlusconi è ricorso a metafore sportive per stigmatizzare la decisione di presentarsi alle elezioni con il centrosinistra, presa dal Presidente del Consiglio Lamberto Dini e da alcuni ministri, tutti componenti di un governo “tecnico”: <Per la prima volta vedo a un certo momento della partita l’arbitro e i guardalinee che si mettono a giocare con una delle due squadre> e <Non mi pare affatto corretto che chi ha preteso di fare l’arbitro […] entri poi nella partita a fianco di una delle due squadre in campo> (La Repubblica, 25 febbraio 1996, p. 2 e Panorama, 7 marzo 1996, p. 19).
E, per giustificare la sua fiducia nel nostro Paese, Berlusconi lo ha rappresentato in questo modo: <L’Italia è ancora un bell’atleta, in grado di ottenere ottime “performances”> ( Corriere della Sera, 24 marzo 1996, p. 2).
La forma espressiva di cui si sta trattando presenta dunque una grande utilità per chi vuole dedicarsi al governo dello Stato. Qualcuno ha detto (non a caso impiegandone una) che <un uomo politico senza metafora è una nave senza vela> (9).
Tra quelle create in Italia, Pietro Trupia ne ha analizzato diverse. Per esempio, Enrico Berlinguer usò l’immagine del vomere per indicare un certo superamento, ma anche l’attualità del marxismo per la sua capacità di penetrare in tutta la cultura moderna, fecondandola. Inoltre ha avuto una enorme fortuna quella del PCI <in mezzo al guado>, adoperata per rappresentare la sua indecisione tra vecchi massimalismi e ideologismi e coinvolgimento responsabile nel governo di un Paese caratterizzato da un sistema capitalistico. Un particolare interesse presenta pure quella della <balena bianca>, coniata per designare la DC nel periodo a cavallo fra gli anni ‘70 e ‘80, cioè in un momento di crisi, a causa della sua incapacità di rinnovarsi, pur continuando ad essere il maggior partito italiano (10).
Anche un <grande comunicatore> come l’ex Presidente americano Ronald Reagan ha fatto un largo uso di metafore. Notevole impatto hanno avuto quelle fondate sul <sentiero> e sulla contrapposizione <malattia-salute>. Grazie ad esse è riuscito a costruire l’identità di un leader sempre in movimento e in grado di <guarire i mali> del suo Paese, cioè di portarlo fuori dalle difficoltà. Al contrario, il suo predecessore Jimmy Carter non ha dimostrato una particolare abilità nella creazione di queste particolari forme espressive. Anche tale limite spiegherebbe l’opacità dei suoi discorsi (11).
Affine a quella del <sentiero> è l’immagine del <ponte>, usata da Bill Clinton per mostrarsi, magari in polemica con gli avversari, proteso verso l’avvenire. Se ne trova qualche caso in passi della sua autobiografia, che contengono citazioni da suoi interventi (12):
<Dissi che ci stavamo muovendo nella giusta direzione e, riferendomi al discorso di Dole a San Diego, aggiunsi che “in ogni modo, non dobbiamo costruire un ponte verso il passato; quello che dobbiamo costruire è un ponte verso il futuro… un ponte verso il XXI secolo”. “Un ponte verso il XXI secolo” sarebbe diventato lo slogan della campagna e dei quattro anni successivi […] Ero convinto che se per gli elettori americani si trattava di scegliere tra la costruzione di un ponte verso il passato e quella di un ponte verso il futuro, avremmo vinto. Senza volerlo, Bob Dole mi aveva offerto lo spunto per il mio messaggio nella campagna del 1996> (p. 779).
<Verso la fine del mio discorso […] ricordai a chi mi ascoltava che mancavano solo un migliaio di giorni all’inizio del nuovo secolo, “mille giorni per edificare un ponte verso una terra di nuove promesse”> (p. 802).
<Mentre attraversavamo il ponte che portava al XXI secolo, con disoccupazione e povertà ai livelli più bassi e la proprietà di case e aziende da parte di afroamericani a quelli più alti mai registrati, invitavo la gente a ricordare ciò che doveva ancora essere conquistato. Finché fossero esistite grosse disparità razziali nel reddito, nell’istruzione, nel trattamento della salute, nella vulnerabilità alla violenza e nella percezione dell’equità del sistema di giustizia penale, finché fossero esistiti discriminazione e crimini razziali, “avremo ancora un altro ponte da attraversare”. Apprezzai molto quella giornata a Selma […] “Finché gli americani vorranno tenersi per mano, potremo camminare contro qualsiasi vento, potremo attraversare qualsiasi ponte. Nel profondo del mio cuore, credo fermamente che ce la faremo”> (pp. 968-969).
<Avevamo costruito e percorso il ponte con cui proiettarci nel XXI secolo “e non saremmo tornati indietro”> (p. 991).
Un’altra efficace metafora è quella della “Nuova Frontiera”, utilizzata da John F. Kennedy nel suo discorso di accettazione della candidatura alla convention democratica del 1960. Ecco il passo relativo: <Stasera guardo verso l’Ovest che era una volta l’ultima frontiera. Noi oggi siamo davanti a una Nuova Frontiera, la frontiera degli anni Sessanta, la frontiera delle opportunità e dei pericoli sconosciuti, la frontiera delle speranze insoddisfatte. Io credo che i tempi richiedano nuova invenzione, innovazione, immaginazione, decisione. Chiedo a ciascuno di voi di essere pioniere di quella Nuova Frontiera> (13).
Come ha evidenziato Paola Desideri, Bettino Craxi impiegava immagini di carattere medico-chirurgico e organico-patologico. Lo dimostrano alcuni esempi: <Bloccare il cambio per qualche mese significa mettere in ghiaccio il termometro: il mercurio scende, ma la febbre rimane e il malato peggiora>, <Le grandi imprese – pubbliche e private – mettono in mostra bubboni esplosivi, situazioni incancrenite di crisi, squilibri finanziari e produttivi: cronici malanni che, in fondo, la crisi ha solo evidenziato>, <Non si può chiedere al Paese di scegliere fra la peste e il colera; ripresa dell’inflazione e crisi della produzione possono essere entrambe evitate pur che si chiuda con i provvedimenti-tampone>, <Piano piano la medicina, anche se amara, si beve e alla fine ci si accorgerà che farà bene a tutti quanti>.
Il leader socialista spesso ricorreva alla metafora per dare una impronta ironica e polemica ai suoi discorsi politici, come nel seguente passo: <È tornato a circolare discreto ma insistente il fantasma di possibili nuove elezioni politiche anticipate. Tutti lo temono e tentano di esorcizzarlo. Ma per far questo non basta l’aglio>.
La forma espressiva di cui si sta trattando veniva adoperata da Bettino Craxi anche per criticare gli avversari, interni ed esterni.: <Ho parlato con insistenza dei pericoli di una “nuova destra”. Alcuni si sono levati a chiedermi che cosa intendessi dire. Della “nuova destra” volevano l’indirizzo ed il numero di telefono (mi era già capitato a proposito del “grande vecchio”)>, <Se i comunisti si rintaneranno nel bosco a sfogliare margherite leniniste, i socialisti si guarderanno bene dal correre loro appresso>, <Non si è fronteggiato quindi l’attacco della destra. Il MSI è egualmente avanzato sul terreno elettorale, anche se la DC è riuscita ad uscirne indenne succhiando il sangue elettorale dei suoi alleati>.
Inoltre Craxi impiegava metafore per puntualizzare le posizioni dei socialisti in rapporto alle aspettative altrui e per precisare che queste ultime non si potevano soddisfare. E così solleticava l’orgoglio dei suoi compagni di partito.: <Mi pare improbabile che qualcuno di noi si metta a fare ginnastica correttiva a comando>, <Non siamo e non saremo disponibili per un giro di valzer>.
Può valere pure per altre metafore ciò che Paola Desideri ha rilevato per quelle craxiane: <Sono costruite sulla base di un lessico usuale e alla portata di qualunque destinatario> (14).
Perciò l’uomo politico, presentandosi come un common man, ricorre ad un particolare ethos oratorio, ossia a quello strumento di persuasione di ordine affettivo, costituito dal carattere assunto dall’emittente del messaggio per mezzo del modo di parlare, cioè dall’impressione che vuole suscitare, vera o falsa, sincera o finta, ma comunque funzionale ai suoi obiettivi. Infatti egli cerca di attirare così l’attenzione del ricevente, di ispirare in lui fiducia e di ottenerne il consenso.
Inoltre la metafora può essere in relazione con il pathos, un altro strumento di persuasione di ordine affettivo con il quale si cerca di provocare sentimenti, di suscitare emozioni, allo scopo comunque di spingere all’azione.
In conclusione, quello politico, come qualsiasi tipo di discorso, può acquistare maggiore energia grazie alla metafora e alle altre figure retoriche, che sono procedimenti stilistici utilizzati proprio per potenziare il messaggio e quindi per rendere più efficace la comunicazione. Infatti ognuna di queste particolari forme linguistiche, come ha scritto Olivier Reboul, <si discosta dall’espressione banale, ma precisamente perché è più ricca, più espressiva, più parlante, più adeguata, in una parola più giusta di tutto ciò che potrebbe trovarsi al suo posto> (15).
Per esempio, riferendosi al discorso tenuto da Martin Luther King al Lincoln Memorial di Washington, il 28 agosto 1963, durante una marcia nonviolenta per i diritti civili dei neri d’America, Valentina Pisanty ha osservato: <Non c’è dubbio che un’espressione come “trasformare le sferraglianti discordie della nostra nazione in una meravigliosa sinfonia di fratellanza”, che evoca l’immagine di una congregazione estatica nell’atto di cantare un gospel, sia più interessante di “vogliamoci bene” o “l’unione fa la forza”> (16).
NOTE
(1) ANGELO MARCHESE, Dizionario di retorica e di stilistica, Mondadori, 1978 e BICE MORTARA GARAVELLI, Manuale di retorica, Bompiani, 1991
(2) CHAIM PERELMAN, LUCIE OLBRECHTS-TYTECA, Trattato dell’argomentazione. La nuova retorica, Einaudi, 1989
(3) PAOLO FACCHI (a cura di), La propaganda politica in Italia, Il Mulino, 1960, p. 36
(4) Tali passi sono tratti nell’ordine dai seguenti giornali: Corriere della Sera, 19 febbraio 1996, p. 3 e 17 marzo 1996, p. 3; La Repubblica, 20 marzo 1996, p. 4 e 19 aprile 1996, p. 7 e 23 marzo 1996, p. 9; Gente, 18 aprile 1996, p. 7
(5) La classificazione di Monica Charlot e la legge di Jean-Marie Domenach, con tutto ciò che ne deriva, sono ricordate in GUIDO FERRARO, Strategie comunicative e codici di massa, Loescher, 1981, pp. 91-92
(6) Riguardo all’obiettivo di trasmettere una sensazione di pacatezza, è rimasta famosa l’espressione <la forza tranquilla>, che fu scelta nel 1981 dal pubblicitario Jacques Séguéla per François Mitterand, il candidato socialista alla Presidenza della Repubblica francese, nell’ambito di una efficace campagna che ne favorì la vittoria. Tale formula contiene un ossimoro, la figura retorica che consiste in una sorta di antitesi, ossia nell’unione di due parole di senso contrario e che perciò sembrano escludersi l’un l’altra. Per Pierre Fontanier, combinando <idee e parole ordinariamente opposte e tra loro contraddittorie>, si produce <il senso più vero, perché più profondo e incisivo> (PIERRE FONTANIER, Les figures du discours, 1977, p. 137. Citato in BICE MORTARA GARAVELLI, Manuale di retorica, Bompiani, 1991, p. 246)
(7) FRANCESCA RIGOTTI, Il potere e le sue metafore, Feltrinelli, 1992, pp. 77-79
(8) Riportato in ROBERTO BERTINETTI, ROBERTO WEBER, <Parole in cerca di consenso. Un confronto fra Prodi e Berlusconi>, in Il Mulino, n° 5, 1995, p. 891
(9) H. FAIRLIE, <A politician without metaphor is a ship without sails>, in The New Republic, 10 marzo 1979, citato in FRANCESCA RIGOTTI, Il potere e le sue metafore, Feltrinelli, 1992, p. 37
(10) PIETRO TRUPIA, Logica e linguaggio della politica, Angeli, 1986
(11) ENRICO BRIVIO, Come comunica la Casa Bianca, Bridge, 1992, p. 156 e FRANCESCA RIGOTTI, Il potere e le sue metafore, Feltrinelli, 1992, p. 37
(12) BILL CLINTON, My Life, Mondadori, 2004
(13) Riportato in ALBERTO CATTANEO, PAOLO ZANETTO, Elezioni di successo. Manuale di marketing elettorale, Etas, 2003, p. 49
(14) PAOLA DESIDERI, Il potere della parola. Il linguaggio politico di Bettino Craxi, Marsilio, 1987, pp. 156-163
(15) OLIVIER REBOUL, Introduzione alla retorica, Il Mulino, 1996, p. 87
(16) VALENTINA PISANTY, Le belle parole. Churchill, Martin Luther King: qualità ed efficacia del discorso politico, in sito web