Michela Murgia contro la reductio ad radical chic di Matteo Salvini

La reductio ad radical chic è una classica supercazzola contemporanea, una strategia diversiva per spostare il dibattito pubblico: dai problemi del Paese al disprezzo per una persona.

Martedì scorso il vice premier ha definito Michela Murgia “intellettuale, radical-chic”, appartenente alla categoria dei “primi al mondo per spocchia”. La scrittrice si era rifiutata di rispondere sulla questione dei migranti al programma Quarta Repubblica di Nicola Porro.

La politica di Matteo Salvini ha bisogno di nemici. Il più gettonato è lo scrittore Roberto Saviano, ma i bersagli devono cambiare in continuazione, per alimentare quella enorme bocca da sfamare che sono i social media. Il meccanismo retorico messo in campo è uno dei più classici. Si tratta di quella che abbiamo definito, in latino maccheronico, reductio ad radical chic: ossia la denigrazione dell’avversario attraverso l’attribuzione di un’etichetta che lo connota negativamente. Un precedente è la reductio ad hitlerum o reductio ad nazium, che mira a squalificare un interlocutore, paragonandolo ad Adolf Hitler.

È la classica fallacia dell’argumentum ad personam, che porta a criticare la persona invece delle argomentazioni che esprime. Una forma di moderna supercazzola, ossia una strategia di distrazione che porta all’astio nei confronti di qualcuno, invece che a un confronto dialettico sui contenuti.

Ma la scrittrice Michela Murgia non ci sta e risponde con un post su Facebook, nel quale confronta punto per punto il suo curriculum con quello di Matteo Salvini. L’obiettivo è rimandare al mittente l’accusa di spocchia e di lontananza dal mondo reale, attribuita dal premier agli intellettuali. Qualche esempio. Da ragazza, Michela Murgia si mantiene agli studi dell’Istituto tecnico per periti aziendali lavorando nel fine settimana; Salvini frequenta un Liceo classico milanese. “Sono contenta che non abbia dovuto lavorare per finire il liceo. Nessuno dovrebbe” dichiara la scrittrice.

“Nel 2005 – rincara la dose Michela Murgia – ho lavorato un mese e mezzo in un call center vendendo aspirapolveri al telefono ed ero pagata 230 euro lordi al mese più 8 euro per ogni appuntamento che riuscivo a fissare. Durante quella esperienza ho scritto un blog che ha attirato l’attenzione di un editore. Nello stesso periodo lei a Bruxelles bruciava un quarto delle sedute del parlamento ed era già lo zimbello dei parlamentari stranieri, che nelle legislature successive le avrebbero poi detto in faccia quanto era fannullone. Io sono a favore della retribuzione dei politici, purché facciano quello per cui li paghiamo“. 

La bordata finale è nella conclusione: “Lasci stare il telefonino e si metta finalmente a fare il ministro, invece che l’assaggiatore alle sagre. Io lavoro da quando avevo 14 anni e non mi faccio dare lezioni di realtà da un uomo che è salito su una ruspa in vita sua solo quando ha avuto davanti una telecamera”.

Chi di supercazzola, ferisce della sua stessa supercazzola perisce?