La fallacia dell’uomo di paglia, quella della brutta china o quella della non causa pro causa sono state protagoniste del dibattito pubblico su migranti e Covid 19. E c’è anche un isocòlo
I mezzi di comunicazione di massa hanno trasmesso la notizia con una certa evidenza. Il Senato ha deliberato che Matteo Salvini sia processato per il blocco da lui imposto alla Open Arms, quando era ministro dell’interno. In una circostanza analoga, che interessò un’unità navale della Guardia Costiera italiana, nella prima pagina del quotidiano L’Unione Sarda, il 22 febbraio, nella rubrica “Caffè scorretto”, è stato pubblicato un commento, intitolato “Il signor Eligio” e firmato con lo pseudonimo Tacitus, sotto forma di una storia non solo fittizia, ma assolutamente inverosimile. Il protagonista è l’amministratore di un palazzo in cui egli stesso vive, il signor Eligio giustappunto. “La sua disavventura comincia una mattina quando alcuni extracomunitari africani bussano con insistenza al citofono. Chiedono di essere accolti nel palazzo e assistiti. Lui non apre il portone e li lascia in attesa sul marciapiede”. Da un’assemblea condominiale all’altra, prima di prendere una decisione trascorrono tre giorni. “Alla fine ecco la soluzione: fare entrare i richiedenti asilo accampati sul marciapiede e distribuirli nelle diverse abitazioni. Pare tutto risolto, Eligio è soddisfatto. Non sa, invece, che secondo alcuni magistrati ha commesso un reato: sequestro di persona per mancata immediata accoglienza”.
Non si parla di un personaggio e di un episodio noti, che in ogni modo si evocano. Implicitamente si vuole demolire l’opinione che il “capitano”, come si fa chiamare, abbia responsabilità penali nella vicenda della nave Gregoretti, ponendola in rapporto con la congettura, assurda, della colpevolezza del signor Eligio.
Nell’ottica del pensiero critico, è un esempio di cattiva argomentazione (1). Contiene una fallacia, cioè – citiamo Franca D’Agostini – “un errore argomentativo nascosto, di solito costruito ad arte per convincere un interlocutore” (2): più specificatamente è definita dello straw man (uomo di paglia). Consiste nell’opporsi a una tesi, mettendola in relazione con una più irragionevole e dunque confutabile con la medesima facilità con cui si brucia un fantoccio.
L’uso particolare, incentrato sul sottinteso, di tale argomento capzioso probabilmente nasce da una sottile astuzia di Tacitus. È ipotizzabile dove voglia andare a parare. La presenza nel racconto di un convitato di pietra, agevolmente individuabile e del riferimento velato (ma è facile togliere il velo) a un caso politico-giudiziario ben preciso, rende comunque necessario un maggiore impegno per capire. Il lettore, nel momento in cui intuisce ciò che non è espresso esplicitamente, ha l’impressione di formarsi un proprio giudizio, che in realtà gli viene larvatamente suggerito.
Si può scoprire lo stratagemma, tenendo conto di un consiglio di Olivier Reboul: “Bisogna […] comprendere il discorso dell’altro, sia esso latente o manifesto, occorre scoprirne le insidie, soppesarne la forza argomentativa e soprattutto cogliere il non detto […] È questa la funzione ermeneutica della retorica, intendendo per ermeneutica l’arte di interpretare i testi” (3).
Riguardo al contenuto della rubrica dell’Unione Sarda, è pure possibile giungere a una determinata conclusione: dall’accusa di rapimento, mossa al segretario leghista, si passa ineluttabilmente all’avvenimento che ha per protagonista il povero signor Eligio. Si delinea quindi la fallacia della brutta china (slippery slope). Come ha ricordato Flavia Trupia, “si tratta di un ragionamento concatenato che, seguendo una falsa logica, fa apparire come inevitabile il verificarsi di conseguenze disastrose: ‘Si inizia con una sigaretta e si finisce drogati’ dicevano preoccupate le nonne”. L’autrice ha poi citato un esempio più legato all’attualità: “‘Non possiamo accogliere tutta l’Africa in Italia, PRIMA GLI ITALIANI!’” e ha osservato: “È improbabile che politiche di accoglienza diverse da quelle che ha in mente il leader della Lega portino l’intera popolazione africana nel nostro paese” (4).
Quando, accennando ai suoi problemi giudiziari con il consueto atteggiamento vittimistico, ha dichiarato che “salvano gli scafisti e processano me”, Salvini ha unito due fallacie: nella classificazione proposta da D’Agostini, una di presupposizione e una compresa fra le induzioni difettose. La prima rientra tra “le estrapolazioni dal contesto, che sono errori di interpretazione e vengono anche dette closed reading, ossia lettura chiusa. Si isola un enunciato dal contesto di un discorso e si procede a discutere quell’enunciato isolato”. La seconda è “detta dell’evidenza soppressa” e “consiste nell’ignorare o tacere dati che potrebbero essere in contrasto con quel che si vuole sostenere” (5).
In effetti si asserisce che i trafficanti di esseri umani sono sottratti al naufragio, ma si omette quanto ne deriva: l’arresto, il processo e la condanna.
Nel periodo più drammatico dell’emergenza sanitaria, provocata dalla diffusione del SARS-CoV-2, si è volatilizzato “il fantasma sistematico e ripetitivo dei migranti” (copyright Carlo Verdelli). Appena il pericolo ha avuto una certa attenuazione, ma comunque il virus non era ancora scomparso, il segretario della Lega ha ripreso a montare in sella al suo cavallo di battaglia, consistente nell’amplificazione della questione dell’immigrazione. Parallelamente, nell’ambito di tale strategia propagandistica, è stato costretto a minimizzare le insidie del Covid-19 e per apparire credibile ha adottato comportamenti coerenti con le sue opinioni. Lo abbiamo visto spesso impegnato in selfie guancia a guancia con qualche suo simpatizzante, entrambi privi del dispositivo di protezione individuale che ormai è diventato un accessorio dell’abbigliamento delle persone più giudiziose e tanto più dovrebbe esserlo per chi ricopre una carica pubblica. Addirittura, entrando in una sala del Senato per partecipare a un convegno di contestatori dell’evidenza matematica della nocività del coronavirus (denominati comunemente “negazionisti”), ha annunciato: “La mascherina? Non ce l’ho e non la indosso” (6). Successivamente, però, ha assunto una linea di condotta più assennata: “Ai giovani dico: usate la testa, mantenete la distanza, rispettate quello che dice la scienza”; in parole ancora più povere: “La mascherina quando è necessario si mette, nei luoghi chiusi, sui treni… anche io metto la mascherina. Spero soltanto di tornare presto alla normalità”. Alla base del capovolgimento di fronte è forse la consapevolezza del fallimento del suo tentativo di destrutturare la gerarchia, concernente i problemi determinati rispettivamente dal fenomeno migratorio e dall’epidemia: i secondi (nonostante gli innegabili miglioramenti dovuti all’osservanza dei protocolli di sicurezza) continuano a risultare nettamente superiori ai primi. E così alla fine il “capitano” ha preferito ascoltare gli avvertimenti dei suoi: “Guarda che la gente un atteggiamento del genere non lo comprende. Guarda che rischi di farti buttare addosso la responsabilità morale di possibili contagi” (7).
Quando da una ripresa dell’infezione è scaturita l’esigenza di chiudere, inderogabilmente, le discoteche, l’ex ministro dell’interno ha sintetizzato il suo parere con uno slogan d’indiscutibile efficacia, perché coniato nella forma dell’isocòlo: “L’unico problema legato al virus non sono i ragazzi che ballano ma sono quelli che sbarcano” (8).
Tuttavia l’asserzione è imperniata su un argomento ingannevole. Una studiosa della materia l’ha chiamato “fallacia di non causa pro causa o della causa errata, perché non è provato che l’evento presentato come causa di un certo effetto ne sia veramente la causa” (9).
Nello specifico, le cose sono andate – mutuiamo un’espressione da Fabrizio De André – “in direzione ostinata e contraria”. Prima ancora che le statistiche, i fatti hanno smentito eloquentemente tale tesi. Eccone alcuni, secondo la ricostruzione di un quotidiano: “Per i 70-100 giovanissimi che hanno veicolato il virus a Portorotondo e Porto Cervo – tutti amici romani – la situazione è ormai fuori controllo”. Poi si parla di “tre romane arrivate da Ibiza positive che si sono unite a un gruppo che vagava da una discoteca all’altra in Costa Smeralda” (10).
È inutile aggiungere che si tratta di un’area, in cui difficilmente s’incontra qualcuno di “quelli che sbarcano”.
Per lo scrittore Antonio Scurati, gli adulti hanno rinunciato al loro ruolo: “‘Figlio mio, ragazzo mio, i morti si contano a decine di migliaia, l’economia è in ginocchio, il futuro è incerto. Abbiamo tutti compiuto enormi sacrifici. Andrai a ballare la prossima estate’. Questo avremmo dovuto dire, affermare, imporre” (11).
Però tra i contagiati, c’è chi fa l’autocritica, come la tronista Nilufar Addati, che sente “rimorso per le vacanze in Sardegna troppo spensierate” (12).
Note
(1) Prendendo lo spunto dall’avvio di un corso di Critical Thinking presso l’Università di Bologna, il filosofo Maurizio Ferraris ha rilevato che “ovunque ci sia argomentazione c’è anche cattiva argomentazione” (“Quel bisogno di fermare le idee balorde”, in la Repubblica, 4 febbraio 2020, p. 19).
(2) Franca D’Agostini, Verità avvelenata. Buoni e cattivi argomenti nel dibattito pubblico, Bollati Boringhieri, 2010, p. 106.
(3) Olivier Reboul, Introduzione alla retorica, Il Mulino, 1996, p. 23.
(4) Flavia Trupia, “Processo all’opinione pubblica”, in Huffington Post, 1 marzo 2018.
(5) Franca D’Agostini, op. cit., pp. 125 e 150.
(6) repubblica.it, 27 luglio 2020.
(7) Corriere della Sera, 4 agosto 2020, p. 10.
(8) YouTube – Coronavirus, Salvini: “Unico problema non sono i ragazzi che ballano ma quelli che sbarcano”, La Repubblica, 14 agosto 2020.
L’isocòlo (o parisòsi) è la figura retorica che consiste nella perfetta simmetria fra due o più membri di un costrutto o di una proposizione o di un periodo per il numero di termini, per la struttura grammaticale e dunque per il ritmo. Si può leggere l’articolo “L’isocòlo nel testo pubblicitario e nel discorso politico”, pubblicato nel nostro sito il 1° giugno 2017.
(9) Paola Cantù, E qui casca l’asino. Errori di ragionamento nel dibattito pubblico, Bollati Boringhieri, 2011, p. 29.
(10) Corriere della Sera, 20 agosto 2020, p. 3.
(11) Corriere della Sera, 21 agosto 2020, p. 26.
(12) Corriere della Sera, 28 agosto 2020, p. 9.