Dall’ormai classico “O così. O Pomì”, inventato dal grande copywriter e direttore creativo Emanuele Pirella, al più recente “È genetica o è Olaz?”, per il prodotto Regenerist, gli slogan pubblicitari talvolta sono incentrati sul dilemma. Secondo Chaïm Perelman e Lucie Olbrechts-Tyteca, è “una forma di argomento in cui si esaminano due ipotesi per concludere che […] entrambe conducono a uno stesso risultato” (1).
Il primo dei due claim citati era associato a due immagini, quella di un pomodoro e quella della merce reclamizzata e alle corrispondenti didascalie, “Pomodoro da passare” e “Passato di pomodoro”, in forma di chiasmo (2).
Il consumatore già oberato d’impegni era indotto a fare un ragionamento elementare: se, per mezzo di ambedue i prodotti, si ottiene un buon sugo, devo preferire quello che mi fa risparmiare tempo.
Riguardo al secondo slogan, riportato sotto la foto del volto in primo piano della testimonial, l’attrice Anna Valle, altrettanto semplicemente si suggerisce che anche le donne non favorite dai geni possono avere un bel viso, usando la crema pubblicizzata.
Nel discorso politico si ricorre spesso alla tecnica argomentativa di cui stiamo trattando in polemica con gli avversari. Così, nella campagna elettorale del 1996, Romano Prodi, candidato del centro-sinistra alla presidenza del Consiglio, osservò, a proposito di un’eventuale vittoria della coalizione di centro-destra: “O calpesterebbe tutte le promesse fatte o porterebbe il Paese alla bancarotta” (3).
Lo stesso intento combattivo si coglie nel New York Times del 17 giugno 2004, in relazione a una questione internazionale: “Non vi è mai stata alcuna prova di un legame fra l’Iraq e Al Qaeda, fra Saddam Hussein e i fatti dell’11 settembre. Ora il presidente Bush dovrebbe chiedere scusa al popolo americano, al quale si è fatto credere qualcosa di diverso. I casi, entrambi spiacevoli, sono due: o il presidente sapeva che non stava dicendo la verità, oppure ha una capacità di ingannare se stesso per motivi politici che è terrificante” (4).
In un libro autobiografico Barack Obama ha citato un suo articolo su Abramo Lincoln, nel quale si diceva: “L’uscita di Lincoln dalla povertà, nella sua suprema padronanza del linguaggio e della legge, la capacità di superare la sconfitta personale e rimanere fermo di fronte a ripetuti insuccessi – tutto questo mi ha ricordato che non esistono solo le mie battaglie”.
Come egli stesso ha raccontato, “il saggio era appena uscito quando Peggy Noonan, ex autrice dei discorsi di Reagan e redattrice del Wall Street Journal, è intervenuta. Sotto il titolo ‘Arroganza di governo’ ha scritto: ‘Questa settimana c’è il senatore Barack Obama, un tempo uomo prudente, che agita le ali sul Time e spiega di essere molto simile ad Abramo Lincoln, solo molto meglio’. Continuava dicendo: ‘Non c’è niente di male nel curriculum di Barack Obama, ma è lontano dalla gente comune e dai suoi problemi. E quindi è lontano anche dalla grandezza. Se continua a parlare così di se stesso, lo sarà per sempre’”.
Il politico democratico ha osservato: “Certo è difficile stabilire se la signora Noonan pensasse seriamente che mi stessi paragonando a Lincoln o se si è solo divertita a massacrarmi in modo così elegante” (5).
In tutte e tre le situazioni si dimostra valido quanto sostenuto da Olivier Reboul: “I due termini di un’alternativa giungono alla medesima conseguenza, che si identifica con la tesi” (6): nella fattispecie, quella di Prodi concerneva la necessità di impedire un’affermazione elettorale dello schieramento contrapposto al suo, quella del quotidiano americano l’obbligo morale di fare una severa autocritica per chi aveva perpetrato un falso e quella di Obama l’esigenza di smascherare l’impostura di una commentatrice animata da spirito di parte.
Paolo Facchi attribuisce un differente significato all’argomentazione per dilemma, in quanto “consiste nell’accostare due argomenti”, ma “i valori ai quali ci si appella nei due argomenti sono scelti secondo una scala comparativa” e il pubblico “sceglierà la tesi il cui valore occupa il posto più alto”. Relativamente a due campagne elettorali italiane, “sia nel 1953 che nel 1958 il partito che ha usato maggiormente di questa argomentazione è stato forse la DC, con il suo dilemma ‘DC o comunismo’”. Infatti “il voto per la DC viene associato ad una serie di valori positivi; il non voto per la DC può essere: per il PCI e allora è nocivo per tutti i valori negativi cui viene associato il comunismo; per altri partiti e allora è nocivo perché favorisce indirettamente il comunismo” (7).
Nella autobiografia di Bill Clinton si trovano alcuni esempi di dilemma, nel senso appena indicato:
“Dal podio di un comizio, [Al] Gore aveva domandato agli elettori di immaginare il titolo che avrebbero voluto leggere sui giornali dopo le elezioni: ‘Altri quattro anni’ o ‘Arriva il cambiamento’. Pensavo di conoscere la loro risposta, ma in quella lunga giornata di novembre, come chiunque altro, dovevo aspettare per averne conferma”
“L’11 agosto [1994] la Camera respinse il nuovo disegno di legge sul crimine […] Avevamo grosse difficoltà a realizzare uno degli impegni più importanti della mia campagna e dovevo fare qualcosa per cambiare la situazione. Il giorno dopo, davanti alla National Association of Police Officers di Minneapolis e ai sindaci di Minneapolis e Saint Paul, di New York, Rudy Giuliani e di Philadelphia, Ed Rendell, inquadrai la situazione cercando di far capire che la scelta era fra la polizia e la gente da un lato e l’Nra [National Rifle Association] dall’altro. Non eravamo certo arrivati al punto in cui l’unico modo per mantenere i seggi del Congresso fosse aumentare i pericoli per la popolazione americana e gli ufficiali di polizia” (8).
Ma Clinton fa riferimento pure all’opportunità, in determinate circostanze, di rifiutare tale tipo di dilemma:
“Mi sforzai di trascendere tutti i discorsi ad alternativa obbligata che dominavano il dibattito pubblico nazionale. A Washington era opinione comune che si dovesse scegliere tra eccellenza ed equità nell’istruzione; tra qualità e accesso universale nell’assistenza sanitaria; tra ambiente più pulito e maggiore crescita economica; tra lavoro e cure per l’infanzia nell’assistenza sociale; tra operai e azienda sul posto di lavoro; tra prevenzione e punizione nel crimine; tra valori della famiglia e maggiore spesa per le famiglie povere. Nel suo libro straordinario Why Americans Hate Politics, il giornalista E.J. Dionne le etichetta come ‘false alternative’, sostenendo che per ognuna di esse, secondo gli americani, non avremmo dovuto scegliere ‘questo o quello’, ma ‘entrambi’. Ero d’accordo e cercai di illustrare le mie convinzioni con passi come il seguente: ‘I valori della famiglia non daranno da mangiare a un bambino affamato, ma senza di essi quel bambino affamato non crescerebbe bene. Abbiamo bisogno di entrambe le cose’” (9).
Di recente un analogo ragionamento si deve a Joseph Patrick Kennedy III. Il quotidiano la Repubblica lo ha presentato così: “È il nipote di Robert, il nonno assassinato esattamente 50 anni or sono, pronipote di JFK e figlio del deputato Joe, Patrick anche lui, Kennedy II, ritirato dalla vita pubblica dopo dodici anni turbolenti al Congresso e un matrimonio finito con richiesta di annullamento alla Sacra Rota. Ma dell’affascinante sregolatezza di antenati e congiunti l’ultimo dei Kennedy non sembra portare il peso”.
A lui il Partito democratico ha affidato il compito di rispondere al primo discorso di Donald Trump sullo stato dell’Unione. Riferendosi al presidente americano, il giovane Kennedy ha detto: “Ci chiede di assistere i malati sacrificando gli immigrati, […] di scegliere fra i vecchi e i bambini, fra i sobborghi e i ghetti urbani e noi rispondiamo: scegliamo entrambi, senza lasciare indietro nessuno” (10).
In Italia, in un manifesto di Roberta Lombardi, candidata del Movimento 5 Stelle alla presidenza della Regione Lazio, nelle elezioni del 4 marzo 2018, si poteva leggere: “Quando penso alle province del Lazio e ai suoi borghi penso ad accogliere più turismo, che rilancia l’economia locale, e meno migranti, che invece pesano sull’economia locale. Non è questione di destra o di sinistra, ma di buon senso”.
Al riguardo Flavia Trupia ha parlato di falsa dicotomia, cioè della fallacia che “consiste nel presentare solo due scelte, quando in realtà ne esistono più di due. Lo sviluppo del turismo non è necessariamente alternativo all’accoglienza dei migranti. O l’uno o gli altri è una ipersemplificazione. Un linguaggio perfetto per il mondo dei social, che ama il bianco o il nero e odia le complicazioni dei grigi” (11).
Nell’accezione proposta da Paolo Facchi, ecco alcuni casi di dilemma ricavati dalla pubblicità (nei primi due il “tono di voce” – così lo chiamano i pubblicitari – è umoristico):
“O è una Lacoste presa qui [presso un rivenditore autorizzato] o è una presa in giro” (nel significato letterale di “acquistata da qualche altra parte”, ma soprattutto in quello figurato di “imbroglio”)
“Se amate tuffarvi nella neve, o siete pinguini o siete in Carinzia” (Ente Nazionale per il Turismo Austriaco)
“Puoi studiare i mercati tutti i giorni o scegliere la selezione di fondi Ing Direct”.
Si sottintende la superiorità, rispettivamente, dell’autenticità sulla falsità, della possibilità sull’impossibilità e della facilità sulla difficoltà.
NOTE
(1) CHAΪM PERELMAN, LUCIE OLBRECHTS-TYTECA, Trattato dell’argomentazione. La nuova retorica, Einaudi, 2013, p. 256.
(2) A questa figura retorica è dedicato l’articolo “Il terremoto, Pietro Grasso e il chiasmo”, pubblicato nel nostro sito l’11 gennaio 2017.
(3) Riportato in Famiglia Cristiana, 24 aprile 1996, p. 26.
(4) Riportato in MARCO TRAVAGLIO, La scomparsa dei fatti. Si prega di abolire le notizie per non disturbare le opinioni, il Saggiatore, 2006, p. 126.
(5) BARACK OBAMA, L’audacia della speranza. Il sogno americano per un mondo nuovo, Rizzoli, 2007, p. 131.
(6) OLIVIER REBOUL, Introduzione alla retorica, Il Mulino, 1996, p. 209.
(7) PAOLO FACCHI (a cura di), La propaganda politica in Italia, Il Mulino, 1960, p. 45.
(8) BILL CLINTON, My Life, Mondadori, 2004, pp. 472, 657.
(9) BILL CLINTON, op. cit., pp. 389-390.
(10) la Repubblica, 1 febbraio 2018, p. 13.
(11) FLAVIA TRUPIA, “Processo all’opinione pubblica”, in Huffington Post, 1 marzo 2018.