Papa Francesco, la parte per il tutto

papa-francesco

di Giorgio Matza

<Quando i cristiani sono perseguitati e uccisi, lo sono perché sono cristiani e non perché sono luterani, calvinisti, anglicani, cattolici o ortodossi. Esiste un ecumenismo del sangue>. Lo ha detto Papa Francesco, che poi ha aggiunto: <Ricordo un episodio che ho vissuto con il parroco della parrocchia di Sankt Joseph a Wandsbek, Amburgo. Lui portava avanti la causa dei martiri ghigliottinati da Hitler perché insegnavano il ca­techismo. Sono stati ghigliottinati uno dietro l’altro. Dopo i primi due, che erano cattolici, fu ucciso un pastore luterano condannato per lo stesso motivo. Il sangue dei tre si è mischiato. Il parroco mi disse che per lui era impossibile continuare la causa di beatificazione dei due cattolici senza inserire il luterano: il loro sangue si era mischiato! Ma ricordo anche l’omelia di Paolo VI in Uganda nel 1964, che menzionava insieme, uniti, i martiri cattolici e anglicani. Ho avuto questo pensiero quando anch’io ho visitato la terra d’Uganda. Questo succede anche ai nostri giorni: gli ortodossi, i martiri copti uccisi in Libia… È l’ecumenismo del sangue. Quindi: pregare insieme, lavorare insieme e comprendere l’ecumenismo del sangue> (1).

La riflessione del Pontefice, il quale invita a privilegiare ciò che unisce e non ciò che divide, è incentrata sull’argomento dell’inclusione della parte nel tutto. Il più delle volte, si considera questa relazione sotto l’aspetto quantitativo, ossia si riconosce la maggiore importanza dell’insieme in confronto alle sue componenti, giacché le seconde sono comprese nel primo. Ci si basa, in altri termini, sulla superiorità del tutto sulla parte e quindi dell’oggettivo, che è comune a ognuno, sul soggettivo (2).

Ugualmente nella comunicazione politica talvolta ci si appella all’unità. Romano Prodi ne ha evidenziato la necessità per l’Unione Europea, in un articolo scritto per il viaggio in Europa, nel febbraio del 2005, del presidente americano George W. Bush: <Nei miei cinque anni e mezzo di Bruxelles, l’America è stato un punto di riferimento ed un interlocutore costante. In tutti i campi nei quali ha potuto presentarsi unita l’Europa è stata per gli Stati Uniti un partner serio, cooperativo e affidabile […] Fino a che i paesi europei sono stati fra di loro divisi nessun accordo è stato possibile e la posizione americana del tutto intransigente. Quando abbiamo trovato una volontà comune e su questa base la Commissione ha potuto negoziare, abbiamo rapidamente trovato un’intesa rispettosa degli interessi e della dignità delle due parti. Purtroppo questo risultato non si è sempre ripetuto […]. Nella crisi dell’Iraq le cose sono andate in modo diverso. L’Europa si è spaccata e non ha, per questo, avuto la forza di esercitare un ruolo politico attivo. L’Europa disunita non è stata capace né di far valere le ragioni della pace né di svolgere un ruolo di mediazione> (3).

E Bush, nel discorso tenuto a Bruxelles, si è posto evidentemente l’obiettivo di favorire il riavvicinamento fra Stati Uniti d’America e Unione Europea, dopo la rottura provocata dalla guerra contro l’Iraq. Infatti ha affermato: <Per più di 60 anni le nostre nazioni hanno affrontato insieme grandi sfide della storia. Insieme ci siamo opposti a ideologie totalitarie con la nostra potenza e la nostra pazienza. Insieme abbiamo unito questo continente con i nostri valori democratici. E insieme segniamo, anno dopo anno, gli anniversari della libertà, dal D-Day alla liberazione dai campi di sterminio, alle vittorie della coscienza nel 1989. La nostra alleanza transatlantica ha reso vani i piani di dittatori, servito gli alti ideali dell’umanità e indirizzato un secolo violento su una rotta nuova e migliore. E anche col passare del tempo non dobbiamo mai dimenticare i risultati che, fianco a fianco, abbiamo raggiunto. Tuttavia i nostri rapporti sono fondati su qualcosa di più della soddisfazione per il passato. In un nuovo secolo, l’alleanza tra l’Europa e il Nord America è il pilastro principale della nostra sicurezza. Le solide attività commerciali che intratteniamo sono uno dei motori dell’economia mondiale. Questo esempio di libertà economica e politica dà speranza a milioni di persone che soffrono per la povertà e l’oppressione. Sotto tutti questi aspetti la nostra forte amicizia è fondamentale per la pace e la prosperità del globo, e nessuna discussione contingente, nessun disaccordo passeggero tra i governi, nessun potere sulla terra ci potrà mai dividere> (4).

Nella comunicazione politica si ricorre a un ragionamento fondato sulla preponderanza del tutto sulla parte magari per fini meno nobili rispetto a quelli perseguiti dal Santo Padre.

Per esempio, riguardo al voto che ha riportato alla Casa Bianca nel 2004 George W. Bush, un suo consulente, Mark McKinnon, intervistato da un ricercatore italiano, ha rilevato: <Noi avevamo due o tre messaggi chiave, mentre loro [i Democratici] ne avevano trenta. Hanno esagerato nel targeting, parlavano di sussidi alle coltivazioni di zucchero in Louisiana, di aiuti all’industria automobilistica a Detroit, mentre noi abbiamo resistito a questa tentazione, anche se c’era una grande pressione perché facessimo altrettanto. C’erano gruppi nei vari stati che continuamente ci dicevano: “Dobbiamo mandare in onda degli spot sull’industria agroalimentare in Iowa”, ma noi rispondevamo che questo genere di comunicazione è adeguata per una campagna per il Congresso, non per un’elezione presidenziale. Per questo ci siamo concentrati su temi di rilevanza nazionale in un quadro nazionale> (5).

Relativamente ad un altro aspetto, così McKinnon ha risposto ad una domanda: <Abbiamo impostato la nostra campagna elettorale e la nostra comunicazione in modo deciso sull’idea che la guerra in Iraq fosse parte della più vasta guerra al terrorismo, mentre la campagna elettorale di Kerry ha tentato di separare la prima dalla seconda. Noi abbiamo avuto successo, loro no> (6).

L’affermazione di questo concetto si trova pure in un discorso tenuto dal presidente George W. Bush all’American Enterprise Institute, il 26 febbraio 2003: <La scomparsa del regime di Saddam Hussein priverà le reti terroristiche di un patrono ricco che finanzia l’addestramento dei terroristi e offre ricompense alle famiglie dei kamikaze. Altri regimi riceveranno un chiaro avvertimento: il sostegno al terrore non sarà tollerato> (7).

All’argomento di cui si sta trattando, si rifece George Bush senior, durante un’intervista televisiva alla CBS, nel 1988. Infatti al conduttore del telegiornale Dan Rather, che lo attaccava per lo scandalo dell’Irangate, l’allora vicepresidente degli Stati Uniti e candidato repubblicano alla Casa Bianca ha risposto molto semplicemente così: <È ingiusto giudicare tutti i miei anni di vita politica solo sulla base di questo episodio controverso, di cui per giunta io non ho la minima responsabilità> (8).

Il leader socialista Bettino Craxi, al processo Cusani, nel dicembre del 1993, contestò la tesi dell’estraneità degli altri partiti al fenomeno delle tangenti con la seguente dichiarazione: <Qualcuno può credere che il ravennate Gardini che aveva grandi interessi in Emilia (…) e il cui gruppo aveva grandi interessi in Unione Sovietica, non abbia mai dato un contributo al PCI? Sarebbe come credere che il presidente del Senato – faccio un esempio – Senatore Spadolini, essendo stato dieci anni segretario del Partito repubblicano, abbia sempre avuto un finanziamento assolutamente regolare e che le irregolarità e le illegalità siano state commesse dal vecchio La Malfa e dal giovane La Malfa. O sarebbe come credere […] che il presidente della Camera, Onorevole Giorgio Napolitano, che è stato per molti anni ministro degli esteri del PCI e aveva rapporti con tutte le nomenklature dell’Est a partire da quella sovietica, non si fosse mai accorto del grande traffico che avveniva sotto di lui tra i vari rappresentanti e amministratori del PCI e i paesi dell’Est>.

È evidente l’impiego dell’inclusione della parte nel tutto, giacché il significato più profondo di tali affermazioni è questo: l’intero sistema dei partiti si contraddistingue per ciò di cui vengo accusato io. Come ha osservato Sandra Cavicchioli, <storicizzare una pratica, una serie di comportamenti, un universo di valori è un modo per attenuare responsabilità individuali. Dice Craxi, a proposito del sistema delle tangenti: “Sapevo tutto da quando portavo i pantaloni alla zuava…”, oppure, in riferimento all’ENI, sostiene che fin dai tempi di Mattei i partiti usavano l’ente per i propri finanziamenti. Questa storicizzazione funziona come forma di messa a distanza che permette di sottrarre il proprio agire alla dimensione della scelta e della decisione dotandolo, al contrario, di un tratto sovraindividuale e ormai sancito dalla storia che potremmo sintetizzare nell’adagio “è sempre andata così”> (9).

Da primo cittadino di Roma, Walter Veltroni ha riconosciuto la maggiore importanza dell’insieme in confronto ad una sua componente, quando così ha replicato ad una critica di Silvio Berlusconi: <Lo voglio dire, davvero senza polemica. Facciano tutti gli attacchi che vogliono al sindaco, ma lascino in pace la città> (10).

Similmente è incentrato sulla superiorità del tutto sulla parte quello che Paola Desideri ha definito come <fenomeno comunicativo di espansione dell’istanza ricevente>, riguardo al quale ha proposto il seguente caso, ricavato dall’oratoria di Benito Mussolini: <Signori, non ho parlato soltanto a voi, ma per mezzo vostro […] ho voluto parlare ancora una volta al popolo italiano> (11).

In proposito può essere interessante rievocare una peculiare situazione in cui si accorse di essere capitato il leader laburista inglese Harold Wilson, che, come ha raccontato Barry Day, <nel corso di una campagna elettorale, si rivolgeva ad un pubblico di apatici sostenitori raccolti in un tipico municipio di paese. Nel bel mezzo di una serie di facezie, i suoi occhi si illuminarono improvvisamente. Le dita grassocce scorsero rapidamente le pagine del discorso già preparato. Poi, agitando la pipa, egli si lanciò in una diatriba contro gli “anni di malgoverno conservatore”. Gli spettatori rimasero allibiti […] e furono altrettanto stupiti allorché, qualche minuto più tardi, il fervore si attenuò, il processo si invertì e si trovarono nuovamente per mano ad “Alice nel paese degli aneddoti”. La spiegazione di questo fatto è semplice: Wilson aveva visto la luce della telecamera che lo avvertiva di essere in “diretta” su tutta la rete nazionale. All’improvviso si era trovato di fronte non a poche centinaia di persone, ma a diversi milioni ed era immediatamente ricorso alla “citazione televisiva”. Una tattica politica del tutto legittima: se i media richiedono la citazione, perché allora non improvvisarne una?> (12).

Una circostanza analoga è stata ricordata in un saggio di Roberto Grandi e Cristian Vaccari, dedicato alle elezioni comunali bolognesi del 2004: <Siamo in piazza Maggiore il 17 giugno, la sera della festa per la vittoria elettorale. Sergio Cofferati sta parlando ormai da circa mezz’ora, nel suo primo intervento pubblico da neo-sindaco […] Da sotto il palco uno dei senior dello staff cerca di attirare l’attenzione del sindaco, gli rivolge gesti vistosi […] Intanto Cofferati prosegue: “Insieme agli altri, ai cittadini delle città che riandranno al voto nelle prossime giornate, costruiremo questa condizione. Qui, come a Milano, come a Firenze, come a Bari, come è stato fatto in tantissimi comuni di questa regione, costruiremo le condizioni per governare bene in questi territori. E poi per poter avere la stessa efficacia nel costruire la proposta per le regionali e quella per le elezioni politiche…”. “Ancora? Ma non l’ha già detta, ‘sta cosa?” si mormora dietro le quinte. Espressioni un po’ stupite anche nel pubblico che gremisce la piazza. Ma quell’appello, la ripetizione di quel riferimento alle altre città che voteranno tra dieci giorni per il secondo turno delle amministrative, non sono per loro, ma per i microfoni e le telecamere di Primo Piano, lo speciale del Tg3 che questa sera concede circa cinque minuti di diretta a Bologna. “Mi hanno sentito ripetere la stessa frase tre volte di fila, avranno pensato che fossi impazzito!” ride Cofferati la mattina dopo. Già, ma queste sono le regole, la legge di ferro della televisione. Parli quando te lo dicono loro, di quello che vogliono loro. O ti adegui o non esisti. Sono loro, i media, a fare l’agenda, a decidere chi passa e chi non passa. Certo, piazza Maggiore è piena di gente, ma vuoi mettere quanti spettatori fa Primo Piano?> (13).

NOTE

(1) ULF JONSSON S.I., <Intervista a Papa Francesco. In occasione del suo viaggio apostolico in Svezia>, in La Civiltà Cattolica, 28 ottobre 2016 (pure nel sito laciviltacattolica.it).

(2) CHAIM PERELMAN, LUCIE OLBRECHTS-TYTECA, Trattato dell’argomentazione. La nuova retorica, Einaudi, 2013, pp. 251-253.

(3) ROMANO PRODI, <Cosa chiede l’Europa al presidente Bush>, in La Repubblica, 20 febbraio 2005, p. 15.

(4) In sito web. Le locuzioni <discussione contingente> e <disaccordo passeggero> sono utilizzate dal presidente americano per indicare la frattura con la maggior parte dei Paesi europei riguardo al conflitto iracheno. Costituiscono dunque due casi di eufemismo, la figura retorica dell’attenuazione che consiste nell’addolcire un’espressione troppo cruda o realistica o irriguardosa, per ragioni di convenienza.

In Italia, per il democristiano Emilio Colombo, i disoccupati erano <manodopera disponibile>.

Nella sua autobiografia Bill Clinton ha ricordato: <Non dovevamo dire che stavamo chiedendo alla gente di “fare sacrifici”, ma di “contribuire” al rinnovamento dell’America, un modo di formulare la cosa in termini più patriottici e positivi> (BILL CLINTON, My Life, Mondadori, 2004, p. 525).

Negli Stati Uniti, come ha osservato Giancarlo Bosetti, <l’artiglieria linguistica repubblicana ha coscientemente battuto la strade del climate change [cambiamento climatico] contro il global warming [riscaldamento globale] e ha vinto […] Il risultato è che una crisi che richiederebbe azioni urgenti sembra semplicemente la fase di un graduale processo con tempi geologici. Le parole portano sempre con sé una certa inquadratura dei fatti, non sono neutrali> (GIANCARLO BOSETTI, Spin. Trucchi e tele-imbrogli della politica, Marsilio, 2007, pp. 63-64).

(5) CRISTIAN VACCARI (a cura di), <La campagna elettorale Usa 2004 vista dai protagonisti>, in Comunicazione Politica, vol. VI, n. 1, Primavera 2005, p. 93 (pure in sito web).

(6) CRISTIAN VACCARI, op. cit., pp. 95-96

(7) In sito web.

(8) ENRICO FRANCESCHINI, I padroni dell’universo. L’America dei nuovi persuasori occulti, Bompiani, 1990, pp. 198-199.

(9) SANDRA CAVICCHIOLI, <Processi in televisione>, in PIER PAOLO GIGLIOLI, SANDRA CAVICCHIOLI, GIOLO FELE, Rituali di degradazione. Anatomia del processo Cusani, Il Mulino, 1997, p. 108.

(10) Riportato in Il Foglio, 2 luglio 2007.

(11) PAOLA DESIDERI, Teoria e prassi del discorso politico, Bulzoni, 1984, p. 96.

(12) BARRY DAY, E questa la chiamate creatività?, Lupetti, 1987, pp. 9-10.

(13) ROBERTO GRANDI, CRISTIAN VACCARI, Cofferati Anch’io. Un anno di campagna elettorale a Bologna, Baldini Castoldi Dalai, 2004, pp. 263-264.