L’incontro tra la politica e la retorica nel discorso del presidente Mattarella
Il messaggio di Sergio Mattarella dinanzi al Parlamento, il 3 febbraio, in occasione del giuramento dopo la rielezione alla Presidenza della Repubblica, come si può constatare in suoi precedenti interventi (1), è caratterizzato dall’incontro tra la politica e la retorica (entrambi i termini devono essere interpretati nell’accezione più elevata).
Contiene un elenco di cose da farsi – qualcuno l’ha chiamato “agenda Mattarella” –, esposto in maniera incisiva grazie agli elementi dell’antica arte della persuasione. Uno è l’accumulazione, la successione di parole o gruppi di parole o frasi, funzionale alla produzione di un certo ritmo, il quale, per Olivier Reboul, ha “un’importanza capitale, perché è la musica del discorso, ciò che rende l’espressione armoniosa” (2).
Ancor più avviene, incorporando l’anafora, la ripetizione di uno o più vocaboli all’inizio di due o più unità linguistiche, indipendenti e di senso compiuto o di loro segmenti, che si susseguono. Essa origina un parallelismo e conferisce al testo linearità e quindi semplicità. Qualsiasi tipo di enumerazione e d’iterazione rientra tra le figure della presenza, che “hanno per effetto di rendere attuale alla coscienza l’oggetto del discorso” (3).
I due procedimenti or ora menzionati sono associati in due passi:
“Dobbiamo disegnare e iniziare a costruire, in questi prossimi anni, l’Italia del dopo emergenza […] Un’Italia più giusta, più moderna, intensamente legata ai popoli amici che ci attorniano. Un Paese che cresca in unità. In cui le disuguaglianze – territoriali e sociali – che attraversano le nostre comunità vengano meno. Un’Italia che offra ai suoi giovani percorsi di vita nello studio e nel lavoro per garantire la coesione del nostro popolo. Un’Italia che sappia superare il declino demografico a cui l’Europa sembra condannata. Un’Italia che tragga vantaggio dalla valorizzazione delle sue bellezze, offrendo il proprio modello di vita a quanti, nel mondo, guardano ad essa con ammirazione. Un’Italia impegnata nella difesa dell’ambiente, della biodiversità, degli ecosistemi, consapevole delle responsabilità nei confronti delle future generazioni. Una Repubblica capace di riannodare il patto costituzionale tra gli italiani e le loro istituzioni libere e democratiche”.
“Accanto alla dimensione sociale della dignità, c’è un suo significato etico e culturale che riguarda il valore delle persone e chiama in causa l’intera società. La dignità. Dignità è azzerare le morti sul lavoro, che feriscono la società e la coscienza di ognuno di noi. Perché la sicurezza del lavoro, di ogni lavoratore, riguarda il valore che attribuiamo alla vita. Mai più tragedie come quella del giovane Lorenzo Parelli, entrato in fabbrica per un progetto scuola-lavoro. Quasi ogni giorno veniamo richiamati drammaticamente a questo primario dovere del nostro Paese. Dignità è opporsi al razzismo e all’antisemitismo, aggressioni intollerabili, non soltanto alle minoranze fatte oggetto di violenza, fisica o verbale, ma alla coscienza di ognuno di noi. Dignità è impedire la violenza sulle donne, piaga profonda e inaccettabile che deve essere contrastata con vigore e sanata con la forza della cultura, dell’educazione, dell’esempio. La nostra dignità è interrogata dalle migrazioni, soprattutto quando non siamo capaci di difendere il diritto alla vita, quando neghiamo nei fatti dignità umana agli altri. È anzitutto la nostra dignità che ci impone di combattere, senza tregua, la tratta e la schiavitù degli esseri umani. Dignità è diritto allo studio, lotta all’abbandono scolastico, annullamento del divario tecnologico e digitale. Dignità è rispetto per gli anziani che non possono essere lasciati alla solitudine, e neppure possono essere privi di un ruolo che li coinvolga. Dignità è contrastare le povertà, la precarietà disperata e senza orizzonte che purtroppo mortifica le speranze di tante persone. Dignità è non dover essere costrette a scegliere tra lavoro e maternità. Dignità è un Paese dove le carceri non siano sovraffollate e assicurino il reinserimento sociale dei detenuti. Questa è anche la migliore garanzia di sicurezza. Dignità è un Paese non distratto di fronte ai problemi quotidiani che le persone con disabilità devono affrontare. Confidiamo in un Paese capace di rimuovere gli ostacoli che immotivatamente incontrano nella loro vita. Dignità è un Paese libero dalle mafie, dal ricatto della criminalità, libero anche dalla complicità di chi fa finta di non vedere. Dignità è assicurare e garantire il diritto dei cittadini a un’informazione libera e indipendente”.
Il secondo estratto contiene la definizione retorica, la quale “utilizza la struttura della definizione non per fornire il senso di una parola, ma per dar rilievo ad alcuni aspetti di una realtà che rischierebbero di rimanere oscuri”. È una figura della scelta, chiamata così perché “l’effetto o uno degli effetti […] è quello di imporre o suggerire una scelta” (4). Si trova in diversi brani:
“Rafforzare l’Italia significa, anche, metterla in grado di orientare il processo per rilanciare l’Europa, affinché questa divenga più efficiente e giusta; rendendo stabile e strutturale la svolta che è stata compiuta nei giorni più impegnativi della pandemia”.
“È cruciale il ruolo del Parlamento, come luogo della partecipazione. Il luogo dove si costruisce il consenso attorno alle decisioni che si assumono. Il luogo dove la politica riconosce, valorizza e immette nelle istituzioni ciò che di vivo emerge dalla società civile”. Da notare nuovamente l’anafora (“Il luogo dove”).
“Alle Forze Armate, sempre più strumento di pace, elemento significativo nella politica internazionale della Repubblica, alle Forze dell’ordine, garanzia di libertà nella sicurezza, esprimo il mio apprezzamento, unitamente al rinnovo del cordoglio per quanti hanno perduto la vita nell’ assolvimento del loro dovere”.
L’accumulazione può coincidere con una componente del logos, il mezzo retorico di ordine razionale, che, secondo Olivier Reboul, è contraddistinto dalla “attitudine a convincere grazie alla sua apparenza di logicità e al fascino del suo stile” e “concerne l’argomentazione propriamente detta” (5): più precisamente, con la divisione del tutto nelle sue parti, consistente – lo ricordano Chaïm Perelman e Lucie Olbrechts-Tyteca – nel “dimostrare l’esistenza dell’insieme” o “l’esistenza o la non esistenza di una delle parti” (6).
Tale sincronia si registra in due punti dell’allocuzione del Capo dello Stato. Nel primo si percepisce inoltre l’empatia, la “capacità di immedesimarsi nelle condizioni di un altro e condividerne pensieri ed emozioni” (lo Zingarelli 2017). Appartiene dunque all’ethos, ossia al carattere del parlante:
“Il mio pensiero, in questo momento, è rivolto a tutte le italiane e a tutti gli italiani: di ogni età, di ogni Regione, di ogni condizione sociale, di ogni orientamento politico. E, in particolare, a quelli più in sofferenza, che si attendono dalle istituzioni della Repubblica garanzia di diritti, rassicurazione, sostegno e risposte al loro disagio”.
“L’impresa alla quale si sta ponendo mano richiede il concorso di ciascuno. Forze politiche e sociali, istituzioni locali e centrali, imprese e sindacati, amministrazione pubblica e libere professioni, giovani e anziani, città e zone interne, comunità insulari e montane. Vi siamo tutti chiamati”.
Nella categoria degli argomenti quasi-logici, che “pretendono di avere una certa forza di convinzione, in quanto si presentano confrontabili a ragionamenti formali, logici, o matematici”, rientra pure l’inclusione della parte nel tutto. “Il più delle volte la relazione fra il tutto e le sue parti è considerata sotto l’aspetto quantitativo: il tutto comprende la parte ed è in conseguenza più importante di questa” (7).
Lo constatiamo in tre passaggi:
“I grandi cambiamenti che stiamo vivendo a livello mondiale impongono soluzioni rapide, innovative, lungimiranti, che guardino alla complessità dei problemi e non soltanto agli interessi particolari”.
“Occorre evitare che i problemi trovino soluzione senza l’intervento delle istituzioni a tutela dell’interesse generale: questa eventualità si traduce sempre a vantaggio di chi è in condizioni di maggiore forza”.
“Nell’inviare un saluto alle nostre Magistrature – elemento fondamentale del sistema costituzionale e della vita della società – mi preme sottolineare che un profondo processo riformatore deve interessare anche il versante della giustizia. Per troppo tempo è divenuta un terreno di scontro che ha sovente fatto perdere di vista gli interessi della collettività”.
Un ulteriore argomento, nel senso di ragionamento ad ausilio di una tesi, è il pragmatico, “che permette – citiamo immancabilmente i due autori ritenuti tra i fondatori della nuova retorica – di valutare un atto o un evento in funzione delle sue conseguenze favorevoli o sfavorevoli”. Esso “ha una funzione talmente essenziale nell’argomentazione, che certuni hanno voluto vedervi lo schema unico della logica dei giudizi di valore: per apprezzare un evento bisogna partire dai suoi effetti” (8).
Nel discorso davanti al Parlamento, dopo la rielezione, Sergio Mattarella l’ha utilizzato frequentemente con una valenza positiva (se ne ipotizza invece una negativa nell’ultimo estratto):
“È di piena evidenza come la ripresa di ogni attività sia legata alla diffusione dei vaccini che proteggono noi stessi e gli altri”.
“Da molti decenni i Paesi europei possono godere del dividendo di pace, concretizzato dall’integrazione europea e accresciuto dal venir meno della Guerra fredda”.
“Il pluralismo delle istituzioni, vissuto con spirito di collaborazione – come abbiamo visto nel corso dell’emergenza pandemica – rafforza la democrazia e la società”.
“Ai numerosi nostri connazionali presenti nelle più diverse parti del globo va il mio saluto affettuoso, insieme al riconoscimento per il contributo che danno alla comprensione dell’identità italiana nel mondo”.
“Un messaggio di amicizia invio alle numerose comunità straniere presenti in Italia: la loro affezione nei confronti del nostro Paese in cui hanno scelto di vivere e il loro apporto alla vita della nostra società sono preziosi”.
“Queste attese sarebbero state fortemente compromesse dal prolungarsi di uno stato di profonda incertezza politica e di tensioni, le cui conseguenze avrebbero potuto mettere a rischio anche risorse decisive e le prospettive di rilancio del Paese impegnato a uscire da una condizione di gravi difficoltà”.
È possibile impiegare la tecnica argomentativa in questione in riferimento al futuro:
“L’Italia è, per antonomasia, il Paese della bellezza, delle arti, della cultura. Così nel resto del mondo guardano, fondatamente, verso di noi. La cultura non è il superfluo: è un elemento costitutivo dell’identità italiana. Facciamo in modo che questo patrimonio di ingegno e di realizzazioni – da preservare e sostenere – divenga ancor più una risorsa capace di generare conoscenza, accrescimento morale e un fattore di sviluppo economico. Risorsa importante particolarmente per quei giovani che vedono nelle università, nell’editoria, nelle arti, nel teatro, nella musica, nel cinema un approdo professionale in linea con le proprie aspirazioni”.
“Sosteniamo una scuola che sappia accogliere e trasmettere preparazione e cultura, come complesso dei valori e dei principi che fondano le ragioni del nostro stare insieme; scuola volta ad assicurare parità di condizioni e di opportunità”.
In un’occorrenza, si ricorre contemporaneamente all’argomento dello spreco. Esso “consiste nel dire che, dal momento che si è incominciato un’opera e accettato sacrifici che andrebbero persi in caso di rinuncia all’impresa, bisogna continuare nella stessa direzione”. Più precisamente, “ci si rammarica di vedere uno sforzo quasi riuscito, un’opera quasi perfetta che non trovano il loro coronamento” (9). Ecco il relativo brano:
“Lo spirito di iniziativa degli italiani, la loro creatività e solidarietà, lo straordinario impegno delle nostre imprese, le scelte delle istituzioni ci hanno permesso di ripartire. Hanno permesso all’economia di raggiungere risultati che adesso ci collocano nel gruppo di testa dell’Unione. Ma questa ripresa, per consolidarsi e non risultare effimera, ha bisogno di progettualità, di innovazione, di investimenti nel capitale sociale, di un vero e proprio salto di efficienza del sistema-Paese”.
Nella sua allocuzione il Capo dello Stato ha affermato che “i regimi autoritari o autocratici tentano ingannevolmente di apparire, a occhi superficiali, più efficienti di quelli democratici, le cui decisioni, basate sul libero consenso e sul coinvolgimento sociale, sono, invece, più solide ed efficaci”.
L’avverbio “ingannevolmente” e il verbo “apparire” indicano l’impiego della dissociazione delle nozioni, un tipo di argomentazione indispensabile per eliminare un’incompatibilità (nello specifico, tra l’opposizione ai regimi autoritari o autocratici e la loro efficienza, riscontrata però solo da occhi superficiali), originando la coppia gerarchizzata apparenza/realtà, che deriva per l’appunto dall’inconciliabilità fra due aspetti, uno giudicato ingannevole (la maggiore efficienza dei regimi autoritari o autocratici) e uno corrispondente alla verità (la superiorità della democrazia): ne discende ovviamente la valorizzazione del secondo rispetto al primo (10).
Notiamo un ulteriore dato: “Le diseguaglianze non sono il prezzo da pagare alla crescita. Sono piuttosto il freno per ogni prospettiva reale di crescita”.
Qui il contrasto apparente/reale emerge indirettamente. In precedenza Sergio Mattarella aveva asserito che “la Conferenza sul futuro dell’Europa non può risolversi in un grigio passaggio privo di visione storica ma deve essere l’occasione per definire, con coraggio, una Unione protagonista nella comunità internazionale”.
Possiamo considerare simili correzioni, miranti a privilegiare un’idea in confronto a un’altra, una variante dell’epanortòsi, che “consiste – nella spiegazione di Pierre Fontanier – nel tornare su ciò che si è appena detto, o per rafforzarlo, o per addolcirlo, o anche per ritrattarlo del tutto, a seconda che si voglia affettare di trovarlo, o che in effetti lo si trovi troppo debole o troppo forte, troppo poco sensato, o troppo poco conveniente” (11).
Il parlante se n’è avvalso, constatando che “tanti, troppi giovani sono sovente costretti in lavori precari e malpagati, quando non confinati in periferie esistenziali”.
L’autore della Retorica ad Erennio ha osservato: “‘Non sarebbe quindi preferibile, dirà qualcuno, fermarsi sulle parole migliori e meglio scelte già dall’inizio, specialmente quando si scrive?’. Vi sono dei casi, in cui non è preferibile, se il cambiamento della parola servirà a mostrare che la cosa è di tal fatta, che, espressa con una parola comune, sembra detta troppo fiaccamente e, ricorrendo a una parola più scelta, il fatto prende rilievo. Se si fosse giunti direttamente a quella parola, non ci saremmo accorti del rilievo della parola, né della cosa” (12).
Il procedimento stilistico in oggetto funge dunque da tecnica dell’insistenza, giacché è utilizzato dall’emittente del messaggio per attirare o ravvivare l’attenzione del ricevente e per intensificare il concetto che si vuole enunciare. È una modalità dell’enfasi, nell’accezione di figura retorica con la quale si pone in particolare risalto un termine o una frase grazie a una peculiare sottolineatura. Si arriva al medesimo obiettivo, tra le diverse possibilità, facendo seguire un vocabolo dalla negazione di un suo antonimo o usando sinonimi:
“I cittadini devono poter nutrire convintamente fiducia e non diffidenza verso la giustizia e l’Ordine giudiziario”.
“La Magistratura e l’Avvocatura sono chiamate ad assicurare che il processo riformatore si realizzi, facendo recuperare appieno prestigio e credibilità alla funzione giustizia, allineandola agli standard europei”.
Alla fine del suo discorso il Capo dello Stato ha riportato un’unica breve citazione ricca di significato, che acquista una rilevanza ancora maggiore proprio per la posizione, l’unicità e la brevità: “Desidero ricordare in quest’aula il Presidente di un’altra Assemblea parlamentare, quella europea, David Sassoli. La sua testimonianza di uomo mite e coraggioso, sempre aperto al dialogo e capace di rappresentare le democratiche istituzioni ai livelli più alti, è entrata nell’animo dei nostri concittadini. ‘Auguri alla nostra speranza’ sono state le sue ultime parole in pubblico. Dopo avere appena detto: ‘La speranza siamo noi’. Ecco, noi, insieme, responsabili del futuro della nostra Repubblica”.
Attraverso il richiamo al pensiero altrui si attua l’argomento d’autorità, “che – hanno spiegato Perelman e Olbrechts-Tyteca – si serve degli atti o dei giudizi di una persona o di un gruppo di persone come mezzo di prova in favore di una tesi” (13).
Nello specifico, però, al di là dell’argomentazione, che – lo abbiamo già detto – è prerogativa del logos, la ripresa e condivisione di un auspicio per il bene comune offre lo spunto per riferirsi a una nozione formulata fin dall’antichità dai più autorevoli studiosi della retorica, quali furono Aristotele, Cicerone, Quintiliano. “Ciò che gli antichi chiamavano ethos oratorio – l’hanno osservato Perelman e Olbrechts-Tyteca – si riassume nell’impressione che l’oratore dà di se stesso per mezzo di ciò che dice” (14).
In più, in vari passi del testo in esame, si delinea l’immagine di chi prova una certa preoccupazione:
“Nel momento in cui i Presidenti di Camera e Senato mi hanno comunicato l’esito della votazione, ho parlato delle urgenze – sanitaria, economica, sociale – che ci interpellano. Non possiamo permetterci ritardi, né incertezze. La lotta contro il virus non è conclusa, la campagna di vaccinazione ha molto ridotto i rischi, ma non ci sono consentite disattenzioni”.
“Nuove difficoltà si presentano. Le famiglie e le imprese dovranno fare i conti con gli aumenti del prezzo dell’energia. Preoccupa la scarsità e l’aumento del prezzo di alcuni beni di importanza fondamentale per i settori produttivi”.
“Non possiamo accettare che ora, senza neppure il pretesto della competizione tra sistemi politici ed economici differenti, si alzi nuovamente il vento dello scontro; in un continente che ha conosciuto le tragedie della Prima e della Seconda guerra mondiale”.
“Occorre evitare che i problemi trovino soluzione senza l’intervento delle istituzioni a tutela dell’interesse generale: questa eventualità si traduce sempre a vantaggio di chi è in condizioni di maggiore forza. Poteri economici sovranazionali tendono a prevalere e a imporsi, aggirando il processo democratico”.
“Per troppo tempo [la giustizia] è divenuta un terreno di scontro che ha sovente fatto perdere di vista gli interessi della collettività”.
Gli ultimi due estratti contengono la summenzionata tecnica argomentativa dell’inclusione della parte nel tutto (e dunque della superiorità del tutto in confronto alla parte) a conferma dell’interazione – che in qualche caso si registra – tra diversi strumenti retorici.
Sergio Mattarella ha dimostrato sensibilità d’animo, esprimendo rammarico per il perpetuarsi di determinate situazioni:
“Nell’ultimo periodo gli indici di occupazione sono saliti – ed è un dato importante – ma ancora tante donne sono escluse dal lavoro, e la marginalità femminile costituisce uno dei fattori di rallentamento del nostro sviluppo, oltre che un segno di ritardo civile, culturale, umano”.
“Tanti, troppi giovani sono sovente costretti in lavori precari e malpagati, quando non confinati in periferie esistenziali”.
Un’analoga amarezza emerge laddove si propone una particolare accezione della parola “dignità”:
“Dignità è azzerare le morti sul lavoro”.
“Dignità è opporsi al razzismo e all’antisemitismo”.
“Dignità è impedire la violenza sulle donne”.
“Dignità è diritto allo studio, lotta all’abbandono scolastico, annullamento del divario tecnologico e digitale”.
“Dignità è rispetto per gli anziani”.
“Dignità è contrastare le povertà, la precarietà disperata e senza orizzonte”.
“Dignità è non dover essere costrette a scegliere tra lavoro e maternità”.
“Dignità è un Paese dove le carceri non siano sovraffollate e assicurino il reinserimento sociale dei detenuti”.
“Dignità è un Paese non distratto di fronte ai problemi quotidiani che le persone con disabilità devono affrontare”.
“Dignità è un Paese libero dalle mafie, dal ricatto della criminalità, libero anche dalla complicità di chi fa finta di non vedere”.
“Dignità è assicurare e garantire il diritto dei cittadini a un’informazione libera e indipendente”.
Negli esempi in questione l’ethos oratorio coincide con il pathos, ossia “l’insieme di emozioni, passioni e sentimenti che l’oratore deve suscitare nel suo uditorio grazie al suo discorso” (15). Nello specifico, il pubblico non è esclusivamente quello dei grandi elettori, bensì quello più vasto dei telespettatori, radioascoltatori e lettori dei giornali.
Al di là dell’ethos vero e proprio, concernente la personalità del parlante – se n’è accennato in relazione alla sua empatia –, in alcuni punti dell’allocuzione del Capo dello Stato risaltano aspetti del “carattere” dell’intera comunità nazionale, come “lo spirito di iniziativa degli italiani, la loro creatività e solidarietà” o perlomeno di qualcuna delle sue componenti: le Forze Armate e le Forze dell’ordine sono rispettivamente “strumento di pace, elemento significativo nella politica internazionale” e “garanzia di libertà nella sicurezza”. E per di più:
“La Repubblica ha sempre perseguito una politica di pace. In essa, con ferma adesione ai principi che ispirano l’Organizzazione delle Nazioni Unite, il Trattato del Nord Atlantico, l’Unione Europea, abbiamo costantemente promosso il dialogo reciprocamente rispettoso fra le diverse parti affinché prevalessero i principi della cooperazione e della giustizia”.
“L’Italia è, per antonomasia, il Paese della bellezza, delle arti, della cultura. Così nel resto del mondo guardano, fondatamente, verso di noi. La cultura non è il superfluo: è un elemento costitutivo dell’identità italiana”.
Note
(1) Si vedano gli articoli “Sergio Mattarella ‘the’ oratore”, “Mattarella, la Pasqua e il coronavirus”, “Il discorso del Presidente. Strategie retoriche nel messaggio di fine anno di Sergio Mattarella”, “I sentimenti di Mattarella. Strumenti retorici nel discorso del Presidente Sergio Mattarella alla fine del 2021”, pubblicati nel nostro sito il 15 febbraio 2020, il 14 maggio 2020, il 12 febbraio 2021 e il 18 febbraio 2022.
(2) Olivier Reboul, Introduzione alla retorica, Il Mulino, 1996, p. 133.
(3) Chaïm Perelman, Lucie Olbrechts-Tyteca, Trattato dell’argomentazione. Einaudi, 2013, p. 189.
(4) Chaïm Perelman e Lucie Olbrechts-Tyteca, op. cit., p. 187.
(5) Olivier Reboul, op. cit., pp. 36, 70.
(6) Chaïm Perelman, Lucie Olbrechts-Tyteca, op. cit., pp. 255 e 256.
(7) Chaïm Perelman e Lucie Olbrechts-Tyteca, op. cit., pp. 209 e 251.
(8) Chaïm Perelman, Lucie Olbrechts-Tyteca, op. cit., p. 288.
(9) Chaïm Perelman e Lucie Olbrechts-Tyteca, op. cit., pp. 302 e 303.
(10) Cfr. il Capitolo quarto in Chaïm Perelman, Lucie Olbrechts-Tyteca, op. cit.
(11) Pierre Fontanier, Les figures du discours, 1991, pp. 408-409, in Olivier Reboul, op. cit., p. 167.
(12) Cornificio, Retorica ad Erennio, IV, 26, 36.
(13) Chaïm Perelman, Lucie Olbrechts-Tyteca, op. cit., p. 331.
(14) Chaïm Perelman, Lucie Olbrechts-Tyteca, op. cit., p. 346.
(15) Olivier Reboul, op. cit., p. 70.