L’amplificazione nella comunicazione di Matteo Salvini: la galera per aver difeso la Patria
In un suo saggio Mark Thompson ha constatato che “nessun politico o pubblico ministero minimizza la propria causa o concede all’avversario il beneficio del dubbio. Aristotele chiama auxesis o ‘amplificazione’ questa tendenza retorica a esagerare le affermazioni”. Più avanti ha riportato un consiglio di Nancy Duarte (autrice del libro Persuasive Presentations): “Amplifica il tuo messaggio tramite il contrasto” (1).
All’amplificazione e al contrasto s’ispira spesso la comunicazione del leader della Lega. In un social del suo partito, per esempio, si può leggere: “Matteo Salvini a processo, rischia la galera per aver difeso la Patria” (2).
La notizia è stata – diciamo così – rimaneggiata, in maniera da evidenziare un’incompatibilità, che, per Chaïm Perelman e Lucie Olbrechts-Tyteca, “assomiglia ad una contraddizione, in quanto consiste in due asserzioni tra le quali bisogna scegliere, a meno di rinunciare ad entrambe” (3).
Nello specifico la scelta, abbastanza scontata, è tra l’equa amministrazione della giustizia e una pena assolutamente iniqua. Il (presunto) “rischio della galera” per l’ex ministro dell’Interno discende da una vicenda ben precisa. Ecco la sua ricostruzione, pubblicata in un sito d’informazione:
“Il 25 luglio 2019, al largo di Lampedusa, la nave Gregoretti fa salire a bordo 50 migranti che erano stati soccorsi dal peschereccio ‘Accursio Giarratano’ ed altri 91 salvati da un pattugliatore della Guardia di Finanza. Entrambi gli interventi avvengono in acque Sar (Ricerca e soccorso) maltesi. L’imbarcazione della Guardia costiera si dirige quindi verso Lampedusa dove sbarcano 6 persone bisognose di cure. Per le altre 135 arriva però il no del titolare del Viminale. ‘Ho dato disposizione che non venga assegnato nessun porto prima che ci sia sulla carta una redistribuzione in tutta Europa’, dice. La barca ormeggia al molo Nato di Augusta in attesa dell’autorizzazione allo sbarco. La sera del 29 luglio vengono fatti scendere 15 minori. Il giorno successivo viene disposta dal procuratore di Siracusa Fabio Scavone un’ispezione sul pattugliatore per accertare le condizioni igienico-sanitarie dei migranti. La procura apre un’inchiesta, ma al momento nessuno viene iscritto nel registro degli indagati. Dopo sei giorni costretti a bordo della nave della Guardia Costiera, i 116 migranti toccano terra il 31 luglio: vengono trasferiti nell’hotspot di Pozzallo per le procedure di identificazione e successivamente vengono smistati nei cinque Paesi dell’Unione europea che hanno dato la disponibilità ad accoglierli: Francia, Germania, Portogallo, Lussemburgo e Irlanda. Cinquanta, invece, restano in Italia, ma non a carico dello Stato: se ne fa carico la Cei” (4).
È proprio difficile credere nella necessità di “difendere la Patria” contro un centinaio di esseri umani (compresi bambini e donne), che si trovano a bordo di un’unità navale militare del nostro Paese e, nel corso di un viaggio fortunoso, sono stati appena sottratti al pericolo di naufragio. Chiaramente si fa un uso fallace dell’argomento d’incompatibilità. Comunque, per gli autori del Trattato dell’argomentazione, a esso se ne contrappone uno fondato sulla dissociazione di una nozione, consistente nell’eliminazione di un’incompatibilità, originando la coppia gerarchizzata apparenza/realtà (o, nella nostra occorrenza, la variante soggettivo/oggettivo), che deriva per l’appunto dall’inconciliabilità fra due aspetti, uno giudicato ingannevole e uno corrispondente alla verità: ne consegue ovviamente la valorizzazione del secondo rispetto al primo (5).
In effetti ciò che si contesta a Salvini è il reato di sequestro di persona e non, come dicono lui e i suoi amici, di “aver difeso la Patria”. È possibile dunque confutare facilmente la loro tesi, attraverso una demistificazione, così come la parola d’ordine “Liberiamo l’Emilia-Romagna”, lanciata per le elezioni regionali del 26 gennaio 2020.
Romano Prodi ha constatato, ricorrendo alla soggiunzione (l’emittente del messaggio pone una domanda, a cui risponde lui stesso): “Ma liberarla da cosa? L’Emilia-Romagna è una terra libera. E per di più qui ci sono redditi più elevati e maggior tasso di occupazione. Vogliamo parlare degli investimenti della Lamborghini, della Philip Morris? I dati economici dell’Emilia sono migliori del resto del Paese. È in questa regione che ci sarà la maggior concentrazione di big data in Italia. Due terzi dei computer del futuro sono destinati all’Emilia-Romagna. E il fatto che tanti vengano a curarsi nelle nostre strutture sanitarie? Sarà anche merito di chi ha governato” (6).
Nella sua risposta il governatore uscente e ricandidato dal centrosinistra ha puntato su uno dei due strumenti retorici di ordine affettivo, il pathos, con il quale l’emittente del messaggio, per coinvolgere maggiormente il ricevente, tende a suscitare in lui sentimenti. Ecco il passo di un’intervista.
Domanda: “Presidente, l’ultima tappa del suo tour elettorale è stata il sacrario dei caduti di Marzabotto. Perché?”.
Risposta: “Perché dopo tante parole, ho voluto passare un minuto in silenzio davanti alle centinaia di vittime delle stragi nazifasciste. La Lega dice di voler liberare queste terre, ma noi liberi lo siamo già, al prezzo di quel sangue versato. Il futuro non può prescindere da quelle radici. Né oggi, né domani” (7).
Un particolare di tale pellegrinaggio, raccontato da un giornalista, ha avuto sicuramente un certo impatto emotivo: “Anche Stefano Bonaccini si commuove […] Sta prendendo congedo dalle persone che lo hanno accompagnato nella visita. All’improvviso il più anziano intona in modo sommesso Bella ciao. E tutti gli vanno dietro, quasi sussurrando. Quell’uomo si chiama Ferruccio Laffi, ha 91 anni. Ne aveva sedici quando le SS naziste guidate dal colonnello Reder gli uccisero diciotto familiari, tra i quali il padre, la madre, due fratelli. Bonaccini si unisce al canto, con gli occhi rossi. Comunque vada, comunque la si pensi, è un momento bellissimo, e spontaneo” (8).
Per la sua affermazione elettorale ha avuto un’importante funzione pure l’ethos, cioè “il carattere che deve assumere l’oratore per accattivarsi l’attenzione e guadagnarsi la fiducia dell’uditorio” (9).
Effettivamente ha colpito la sua determinazione (è andato a chiedere il voto casa per casa) e, in contrasto con la veemenza dell’ex ministro dell’Interno, la sua pacatezza. Per definirne la personalità si potrebbe mutuare lo slogan “la forza tranquilla”, inventato da Jacques Séguéla nelle presidenziali francesi del 1981 per il vittorioso François Mitterand.
Un’eccessiva amplificazione ha denotato invece un’altra circostanza della campagna del leader leghista. Il 15 gennaio 2020, il titolo della prima pagina del quotidiano la Repubblica, sotto l’occhiello “Immigrazione”, era: “Cancellare Salvini”. I lettori non interessati alla ricerca di cavilli hanno capito il riferimento ai decreti sicurezza. Al contrario il loro fautore ne ha approfittato per atteggiarsi per l’ennesima volta a vittima e per un appello nell’imminenza delle elezioni regionali. Infatti ha commentato sui social: “Prima pagina di Repubblica: ‘Cancellare Salvini’. Questa è istigazione a delinquere. Poi parlano di odio e di violenza… Gli unici che istigano all’odio e alla violenza sono loro. DOMENICA 26 GENNAIO conto su di voi!” (10).
Nello specifico è stata utilizzata una forma di fallacia, la quale rientra nelle estrapolazioni dal contesto, “che – come ha rilevato – Franca D’Agostini – sono errori di interpretazione e vengono anche dette closed reading, ossia lettura chiusa. Si isola un enunciato dal contesto di un discorso e si procede a discutere quell’enunciato isolato” (11).
Nella drammatizzazione fuori luogo si distingueva Silvio Berlusconi, come attesta il seguente estratto: “Se il 21 aprile [1996] vince l’Ulivo, siamo sicuri che avremo ancora la possibilità di elezioni veramente libere? Il 21 aprile sarà un referendum: o di qua o di là, o un futuro di libertà e di benessere con il Polo o un destino di dirigismo, statalismo e giustizialismo nelle mani della sinistra” (la Repubblica, 14 aprile 1996, p. 2).
La reazione più dura venne da Gerardo Bianco, allora segretario del Partito popolare: “Se Berlusconi pensa che con la vittoria dell’Ulivo l’Italia rischia la libertà politica, è un folle che, se ancora esistessero i manicomi, vi dovrebbe essere portato a forza” (la Repubblica, 15 aprile 1996, p. 6).
Note
(1) Mark Thompson, La fine del dibattito pubblico. Come la retorica sta distruggendo la lingua della democrazia, Feltrinelli, 2017, pp. 41 e 207.
(2) facebook.com/legasalvinipremier, 20 gennaio 2020. Sulla retorica salviniana si vedano gli articoli “Salvini, l’Europa e i suoi 60 milioni di figli” e “Le fallacie di Salvini e la gerarchia di valori di Open Arms”, pubblicati nel nostro sito il 31 luglio 2019 e 13 settembre 2019.
(3) Chaïm Perelman e Lucie Olbrechts-Tyteca, Trattato dell’argomentazione. La nuova retorica, Einaudi, 2013, p. 212.
(4) “Caso nave Gregoretti, cosa è successo e perché Salvini rischia il processo”, in Tg24.sky.it, 20 gennaio 2020.
(5) Cfr. il Capitolo quarto di Chaïm Perelman e Lucie Olbrechts-Tyteca, op. cit.
(6) Riportato in Corriere della Sera, 9 gennaio 2020.
(7) Riportato in la Repubblica, 25 gennaio 2020, p. 10.
(8) Marco Imarisio, “Bonaccini, la sfida più difficile / ‘Io non prometto, lavoro sodo’”, in Corriere della Sera, 25 gennaio 2020, p. 2.
(9) Olivier Reboul, Introduzione alla retorica, Il Mulino, 1996, p. 21.
(10) facebook.com/salviniofficial, 15 gennaio 2020.
(11) Franca D’Agostini, Verità avvelenata. Buoni e cattivi argomenti nel dibattito pubblico, Bollati Boringhieri, 2010, p. 125.