È trascorso un trentennio dal crollo del muro di Berlino, il 9 novembre 1989. I media ne hanno ricordato l’anniversario. Lo celebriamo pure noi, a modo nostro: parlando di retorica
Qualche anno prima, il 12 giugno 1987, Ronald Reagan aveva tenuto nella parte occidentale dell’attuale capitale della Germania unificata il discorso – così è passato ormai alla storia – della Porta di Brandeburgo. Citiamo il passaggio forse più famoso: “Segretario generale Gorbačëv, se cerca la pace, se cerca la prosperità per l’Unione Sovietica e per l’Europa dell’Est, se cerca la liberalizzazione: venga a questa porta. Signor Gorbačëv, apra questa porta. Signor Gorbačëv… signor Gorbačëv abbatta questo muro” (1).
Osserviamo innanzitutto la presenza dell’anafora. È la particolare forma linguistica che consiste nell’iterazione di una o più parole all’inizio di enunciati, o di loro segmenti, successivi e che produce un parallelismo e conferisce dunque al testo un carattere di semplicità. Come ogni figura della ripetizione, svolge la funzione di tecnica dell’insistenza, in quanto con essa l’emittente del messaggio attira o ravviva l’attenzione del ricevente e rafforza il concetto che vuole esprimere. L’allora presidente americano la utilizzò a sostegno di un ragionamento ipotetico (“se cerca…”).
Il contenuto dell’estratto deriva però la sua efficacia anche da altri procedimenti. Allo scopo di fare una certa presa l’oratore si rivolgeva a un destinatario (Gorbačëv) diverso da quello reale, convenzionale, ossia la parte della popolazione berlinese, che costituiva l’uditorio. Quest’ultimo comunque tende a identificarsi con il primo: si registra quindi un’unione fra i due poli della comunicazione. In tale maniera funziona l’apostrofe, che è pure uno strumento del pathos, giacché, a giudizio di Pierre Fontanier, per il suo carattere di diversione del discorso, rappresenta “l’espressione di un’emozione viva o profonda, come lo slancio spontaneo di un’anima fortemente commossa” (2).
Si coglie anche la presenza del climax con la successione di tre proposizioni secondo una gradazione ascendente, per suggerire un effetto progressivamente più intenso, di amplificazione: infatti si passa dalla frase più debole alla più forte; quella che segue è più ricca di significato rispetto alla precedente (“venga a questa porta”, “apra questa porta”, “abbatta questo muro”) (3).
Sul piano più propriamente argomentativo si attua una trasposizione di valore dal fine (“la pace”, “la prosperità”. “la liberalizzazione”) al mezzo (la demolizione di una barriera), perché, come hanno rilevato Chaïm Perelman e Lucie Olbrechts-Tyteca, “il fine valorizza i mezzi” (4).
Il 26 giugno 1963, era stato John Fitzgerald Kennedy, da comandante in capo degli Stati Uniti, a tenere a Berlino Ovest una memorabile allocuzione, considerata giustamente un capolavoro dell’oratoria politica del Novecento. A essa abbiamo già dedicato un articolo (5).
Note
(1) Riportato in Mark Thompson, La fine del dibattito pubblico. Come la retorica sta distruggendo la lingua della democrazia, Feltrinelli, 2017, p. 92.
(2) Pierre Fontanier, Les figures du discours, 1991, riportato in Olivier Reboul, Introduzione alla retorica, Il Mulino, 1996, p. 165.
(3) Federico Roncoroni, Testo e contesto, Arnoldo Mondadori Editore, 1985, p. 1138.
(4) Chaïm Perelman e Lucie Olbrechts-Tyteca, Trattato dell’argomentazione. La nuova retorica, Einaudi, 2013, p. 300.
(5) “Sono un berlinese”, pubblicato il 17 luglio 2018.