Renzi, i presidenti americani e l’argomento del superamento

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di Giorgio Matza

Nella conferenza stampa sul disegno di legge di bilancio dello Stato per l’anno finanziario 2017 e per il triennio 2017-2019, tenuta il 15 ottobre 2016, Matteo Renzi ha detto: <L’Italia non va ancora bene, ma dopo due anni e mezzo va un po’ meglio di prima. Noi non siamo contenti, perché noi vogliamo di più. Noi abbiamo fame di risultati positivi e di risultati significativi, ma l’Italia va meglio di come andava fino a due anni fa> (1).

In occasione della Convention democratica, nel corso della quale Hillary Clinton ha accettato la nomination alla presidenza degli Stati Uniti d’America, un quotidiano italiano ha pubblicato un’intervista con David Axelrod, presentandolo così: <È stato letteralmente l’inventore di Barack Obama, lo stratega che ha saputo disciplinarne e indirizzarne l’immenso talento politico, costruendogli intorno una formidabile macchina da guerra che in pochi anni lo ha portato a vincere per due volte la corsa alla Casa Bianca>.

Fra l’altro l’intervistatore gli ha chiesto: <Hillary deve costruire un’identità originale, ma allo stesso tempo correre come il candidato che raccoglie il testimone dell’eredità di Obama. Non è un equilibrismo difficile?>.

E Axelrod ha risposto: <Perché? La difesa delle cose straordinarie fatte da questa Amministrazione non è in contraddizione con l’individuazione di nuovi temi e obiettivi per la sua presidenza. La ricerca di una more perfect union non finisce con Obama> (2).

A more perfect union (“Un’unione migliore”) è il titolo di un discorso, pronunciato da Barack Obama il 18 marzo 2008 a Philadelphia, durante la campagna per le elezioni presidenziali americane. Ad un certo punto l’allora candidato democratico alla presidenza disse: <Forse l’unione non sarà mai perfetta, ma generazioni dopo generazioni hanno mostrato che può essere sempre migliorata. Oggi, quando mi sento dubbioso e cinico riguardo a questa possibilità, quel che mi dà più speranza è la prossima generazione – i giovani le cui attitudini, convinzioni ed aperture al cambiamento hanno già fatto la storia in queste elezioni> (3).

Sia l’asserzione di Renzi sia la risposta di Axelrod e l’affermazione di Obama si basano su un argomento (nel senso di prova portata a favore di una tesi, ragionamento fatto a sostegno di un’opinione): quello del superamento, che consiste nell’insistere sulla possibilità di andare avanti in un determinato senso, con un continuo aumento di valore, magari svalutando uno stato per spingere a non accontentarsi di esso, ma a cercarne un altro ancor più favorevole (4).

Come ha ricordato Olivier Reboul, <l’ideale inaccessibile fa vedere in ogni conquista un trampolino per una conquista maggiore, in una progressione senza fine. L’ostacolo diventa allora un mezzo per passare a uno stadio superiore> (5).

I seguenti casi sono ricavati da altri comizi elettorali fatti da Obama nel 2008:

<Voi […] credete in ciò che questo paese può essere. Di fronte alla guerra, voi credete che può esserci la pace. Di fronte alla disperazione, voi credete che può esserci la speranza. Di fronte a una politica che vi ha escluso, che vi ha detto di starvene buoni, che ci ha diviso troppo a lungo, voi credete che possiamo essere un solo popolo, che possiamo ottenere tutto il possibile e costruire un’unione ancora migliore>

<È stato qui a Springfield che ho riconosciuto la fondamentale dignità del popolo americano, e mi sono convinto che, grazie a questa dignità, possiamo costruire un’America più fiduciosa>

< Qualche progresso lo abbiamo già fatto […] Ma Washington ha ancora tanta strada da fare. E non sarà facile […] Dunque, cominciamo. Cominciamo insieme questo duro lavoro. Trasformiamo questa nazione. Noi dobbiamo diventare la generazione che ridisegna la nostra economia in modo da poter competere nell’era digitale […] E col cambiare dell’economia, noi dovremo essere la generazione che garantisce ai lavoratori del nostro paese la condivisione della ricchezza […] Noi dobbiamo essere la generazione che mette fine alla povertà in America […] Noi dobbiamo fare tutto questo. Dobbiamo essere la generazione che finalmente affronta la crisi del nostro sistema sanitario […] Dobbiamo essere la generazione che dice qui e subito, che in America avremo l’assistenza sanitaria per tutti prima che il prossimo presidente finisca il suo primo mandato. Noi dobbiamo essere la generazione che finalmente libera l’America dalla tirannide del petrolio>

<Io voglio vincere la prossima battaglia per avere giustizia e uguali opportunità per tutti. Voglio vincere la prossima battaglia per avere scuole migliori, lavori migliori, e l’assistenza sanitaria per tutti. Voglio assumere insieme a voi l’impegno di perfezionare la nostra unione, e di costruire un’America migliore>

<C’è ancora tanto lavoro da fare […] Certo, le cose sono migliorate. E non dobbiamo mai negarlo. Ma non bisogna dimenticare che dire che le cose sono migliorate non vuol dire ancora che vanno bene. E che finché non avremo la piena parità di trattamento indipendentemente dal colore e dal sesso, dobbiamo continuare a lottare>

<Ecco cos’è la speranza: quella cosa dentro di noi che ci spinge a credere, nonostante tutto, che qualcosa di meglio ci aspetta dietro l’angolo. Ma solo se siamo disposti a batterci e a impegnarci. A scrollarci di dosso paure, dubbi e cinismo>

<È questo uno dei compiti che ci siamo dati all’inizio di questa campagna – proseguire la lunga marcia di quelli venuti prima di noi, la marcia per un’America più giusta, più equa, più generosa e più prospera […] verso un futuro migliore per i nostri figli e i nostri nipoti> (6)

<La strada che ci aspetta sarà lunga, la salita ripida. Forse non ci arriveremo in un anno, forse nemmeno nell’arco di un mandato, ma – America – io non ho mai avuto tanta fiducia come questa notte sul fatto che ci arriveremo. Ve lo prometto: noi, come popolo, ci arriveremo. Ci saranno ostacoli e false partenze>

<L’America può cambiare. La nostra unione può essere perfezionata, e quanto abbiamo ottenuto oggi ci dà speranza per ciò che possiamo e dobbiamo ottenere domani> (7).

Nel discorso tenuto alla convention democratica di Denver, Colorado, il 25 agosto 2008, pure Michelle Obama, riferendosi a suo marito, ha utilizzato l’argomento del superamento:

<Il primo giorno che lo accompagnai […] pronunciò delle parole che mi sono rimaste dentro per sempre. Lui parlò del mondo così com’è, e del mondo come dovrebbe essere. Disse che troppo spesso noi accettiamo come ineluttabile la distanza tra questi due mondi, e ci accomodiamo nel mondo così com’è anche quando non riflette i nostri valori e le nostre aspirazioni […] Ci spronò a credere in noi stessi, a trovare dentro di noi la forza per adoperarci fino in fondo per il mondo come dovrebbe essere. Non è forse questa la grande storia americana? […] Questa settimana celebriamo due anniversari: 88 anni dal riconoscimento del diritto di voto alle donne, e 45 da quel caldissimo giorno d’estate in cui il dottor Martin Luther King riaprì i nostri occhi e risollevò i nostri cuori con il suo sogno per questo Paese […] Il mondo non resterà così com’è, perché sentiamo l’obbligo di combattere per il mondo come dovrebbe essere […] In queste elezioni […] in questo grande Paese – dove una ragazza del South Side di Chicago può andare a scuola fino al college e all’università, e il figlio di una ragazza-madre che viene dalle Hawaii può andare dritto fino alla Casa Bianca – abbiamo impegnato noi stessi fino in fondo per cercare di costruire il mondo così come dovrebbe essere> (8).

Così Bill Clinton ha fatto riferimento nella sua autobiografia alla tecnica argomentativa di cui si sta trattando:

<Il documento adottato dai governatori alla fine di febbraio [1990] costituiva il seguito del rapporto A Nation at Risk, del 1983. Ero fiero di avervi partecipato […] Per i successivi undici anni, come governatore e presidente, avrei lavorato sodo per perseguire gli scopi educativi nazionali. Avevamo un obiettivo ambizioso e, quando è così, anche se non si riesce a raggiungerlo, si arriva comunque molto più in là rispetto al punto di partenza>

<Conclusi citando la lezione che avevo imparato al corso di Civiltà occidentale della professoressa Carroll Quigley, più di venticinque anni prima, ossia che il futuro può essere migliore del passato e che ognuno di noi ha la responsabilità personale e morale di renderlo tale>

<Era la parte più importante del discorso e conteneva principi in cui ho sempre creduto fin da ragazzino: […] “Da adolescente sentivo gli appelli al senso civico di John Kennedy. Da studente a Georgetown ritrovavo quell’invito nelle parole di un professore, Carroll Quigley, che ci diceva che l’America è la più grande nazione della storia perché il nostro popolo ha sempre creduto in due grandi principi: il domani può essere meglio dell’oggi e ciascuno di noi ha la responsabilità morale e personale di fare in modo che sia così. È il tipo di futuro entrato nella mia vita la sera che è nata Chelsea. Quand’ero in sala parto ho sentito profondamente che Dio mi aveva dato una gioia che a mio padre era stata negata: tenere in braccio mio figlio”> (9).

Possiamo considerare dunque la propensione verso il futuro, in contrasto con il presente e ancor più con il passato, come una costante dell’argomento del superamento. In occasione delle elezioni presidenziali, nel discorso pronunciato a Denver, Colorado, il 28 agosto 2008, Barack Obama ha detto:

<Abbiamo bisogno di un presidente che sappia affrontare le sfide del futuro, e non resti aggrappato alle idee del passato>

<America, non possiamo voltarci indietro. Non possiamo camminare da soli. In questo momento, in queste elezioni, dobbiamo assumere ancora una volta l’impegno solenne di marciare verso il futuro. Manteniamo perciò quella promessa – la promessa americana – e come dicono le Scritture teniamo ben stretta, senza esitare, la speranza che professiamo> (10).

Come ha sostenuto in un’intervista Jacques Séguéla, <si vota sempre per il futuro e mai per il passato. Gli uomini politici […] non sanno immetterci verso il futuro mostrandoci come sarà il domani>. Ne deriva l’impossibilità per l’elettore di credere <che l’uomo che ha davanti sarà l’uomo che domani creerà un mondo migliore per lui e per i suoi figli> (11).

Ma questo non è sempre vero. Infatti Richard Nixon commentò le elezioni presidenziali americane del 1960 così: <Quando l’America guarda Kennedy, vede ciò che vorrebbe essere. Quando guarda me, si vede per quello che è>.

In un’altra occasione, il grande pubblicitario francese ha affermato: <Io lotto contro il politico perché abbandoni questa idea di basarsi su ciò che ha fatto […] Chi è eletto per fare un lavoro e lo porta a termine, quando si presenta per la seconda volta, l’unica cosa che conta è ciò che vuole fare del domani. Perché domani, per le elezioni, è sempre un altro giorno. E conta soltanto il futuro. Quanti candidati hanno fallito per avere sprecato il tempo che avevano parlando di bilanci piuttosto che di progetti? […] Soltanto quando si parla dell’avvenire spuntano le ali del desiderio> (12).

Lo stesso concetto è stato enunciato più volte nell’autobiografia di Bill Clinton.

<Alla fine di ottobre [1989] andai alla fiera dello Stato, come ogni anno. Sedetti in un piccolo stand per varie ore a parlare con chiunque avesse desiderato farlo. Verso la fine della giornata un uomo in tuta dell’età apparente di sessantacinque anni venne a farmi visita. Fu un’esperienza illuminante. “Bill, ti ripresenterai alla carica?” mi domandò. “Non lo so” risposi io. “Se lo farò, voterai per me?”. “Credo di sì, l’ho sempre fatto” ribatte lui. “Non ti sei stufato di me dopo tutti questi anni?” volli sapere. Lui sorrise e disse: “Io no, ma so che tutti gli altri sì”. Ridacchiai. “Non pensano che abbia fatto un buon lavoro?”. E lui: “Certo che lo pensano, ma ti pagano ogni due settimane per questo, no?”. Era un esempio classico di un’altra delle leggi della politica clintoniana: tutte le elezioni riguardano il futuro. Sapevano che facevo un buon lavoro, come chiunque altro svolge il proprio per vivere. Un buon curriculum è utile più che altro come dimostrazione che farai ciò che hai promesso se ti rieleggeranno>

<Per quanto positivi fossero i risultati ottenuti fino ad allora, sapevo bene che le elezioni si giocano tutte sul futuro>

<Fu davvero una gioia pronunciare il mio ultimo discorso sullo stato dell’Unione […] Temevo che l’America si sarebbe autocompiaciuta della sua prosperità, così dissi alla gente di non dare niente per scontato, ma di “guardare avanti”, alla nazione che avremmo potuto costruire nel XXI secolo. Proposi oltre sessanta iniziative per un programma di obiettivi ambiziosi […] La grande maggioranza dei cittadini parve rassicurata dal fatto che volessi lavorare sodo nel mio ultimo anno e interessata alle nuove idee che proponevo e appoggiava i miei sforzi per indurre la nazione a concentrarsi sul futuro […] I periodi di prosperità devono essere colti come basi su cui costruire, non semplicemente attraversati>

<Mentre attraversavamo il ponte che portava al XXI secolo, con disoccupazione e povertà ai livelli più bassi e la proprietà di case e aziende da parte di afroamericani a quelli più alti mai registrati, invitavo la gente a ricordare ciò che doveva ancora essere conquistato. Finché fossero esistite grosse disparità razziali nel reddito, nell’istruzione, nel trattamento della salute, nella vulnerabilità alla violenza e nella percezione dell’equità del sistema di giustizia penale, finché fossero esistiti discriminazione e crimini razziali, “avremo ancora un altro ponte da attraversare”> (13).

Diversa è l’esperienza di George Bush padre. Effettivamente, ha ricordato Franca Roncarolo, <non offre obiettivi precisi ai quali tendere, né fornisce guide simboliche che aiutino ad attraversare i periodi di crisi impedendo agli uomini dei media e agli avversari politici di tematizzare le difficoltà come indicatori di una mancata leadership>. La sua è <un’amministrazione che, come rileva David Gergen a un mese dalla fatidica scadenza dei primi 100 giorni, sembra limitarsi a gestire i problemi che incontra sulla propria strada. E che pertanto non solo non riesce a orientare il paese, ma rischia di essere vittima di giornalisti che non hanno nient’altro da seguire se non le controversie quotidiane> (14).

In Italia, nel corso del programma Testa a Testa, trasmesso da Canale 5 due giorni prima delle elezioni politiche del 21 aprile 1996, Romano Prodi fece ricorso alla antitesi tra passato e futuro. Infatti il candidato del centrosinistra alla Presidenza del Consiglio, in polemica con il suo avversario e con un effetto ironico-umoristico, affermò: <Berlusconi si volta sempre al passato, […] per lui il muro di Berlino non è ancora caduto, non so neanche se sia caduto l’impero romano, perché non ha nessuna attitudine a vedere il futuro. Perché il passato […] gli dà sicurezza e sul futuro ha dei problemi”> (15).

NOTE

(1) Riportato nel sito www.governo.it.

(2) P[AOLO] VAL[ENTINO], <Lo stratega di Obama: “Ora deve trasformare quella tenacia in voti”>, in Corriere della Sera, 30 luglio 2016, pag. 12.

(3) Riportato nel sito web www.montag.it.

(4) CHAIM PERELMAN, LUCIE OLBRECHTS-TYTECA, Trattato dell’argomentazione. La nuova retorica, Einaudi, 2013, pp. 312-313.

(5) OLIVIER REBOUL, Introduzione alla retorica, Il Mulino, 1996, p. 213.

(6) BARACK OBAMA, La promessa americana. Discorsi per la presidenza, Donzelli, 2008, pp. 3, 5, 7-9, 12, 85, 129, 134.

(7) Riportato in LUCIANO CLERICO, Barack Obama. Come e perché l’America ha scelto un nero alla Casa Bianca, Edizioni Dedalo, 2008, pp. 261-262, 263.

(8) Riportato in LUCIANO CLERICO, op. cit., pp. 195-198.

(9) BILL CLINTON, My Life, Mondadori, 2004, pp. 374-375, 390, 446-447. Nell’ultimo estratto emerge un parallelo fra il progresso del Paese e il miglioramento della sua vita rispetto a quella del suo vero padre (William Jefferson Blythe), che l’ex presidente americano non conobbe mai a causa della sua morte prematura in un incidente stradale (perciò prese il cognome del patrigno Roger Clinton).

(10) BARACK OBAMA, La promessa americana. Discorsi per la presidenza, Donzelli, 2008, pp. 177, 182-183.

(11) In sito web.

(12) Intervento di JACQUES SÉGUÉLA al convegno della società di consulenza RUNNING su Il marketing politico dopo la campagna 2001, Roma, 15 giugno 2001 (in sito web).

(13) BILL CLINTON, My Life, Mondadori, 2004, pp. 375-376, 779, 963 e 964, 968. Il principio esposto dall’ex presidente americano nel primo di questi estratti (<Un buon curriculum è utile più che altro come dimostrazione che farai ciò che hai promesso>) può trovare applicazione pure in pubblicità. Per esempio, in qualche modo si delinea nello slogan <Il futuro è di chi ha un grande passato>, coniato dai creativi dell’agenzia Armando Testa per l’Alfa Romeo Giulietta.

(14) FRANCA RONCAROLO, Controllare i media. Il presidente americano e gli apparati nelle campagne di comunicazione permanente, Franco Angeli, 1994, pp. 160-161.

(15) Riportato in ROBERTO GRANDI, Prodi. Una campagna lunga un anno, Lupetti, 1996, p. 117. L’antitesi è la figura retorica che consiste nell’accostamento di due parole o frasi di senso opposto.