In occasione della pubblicazione del suo libro Un’altra strada. Idee per l’Italia di domani, Matteo Renzi ha rilasciato un’intervista a
Gian Antonio Stella (1). Qualunque sia il giudizio politico su di lui e indipendentemente da ciò che si prova nei suoi confronti (simpatia, antipatia, indifferenza), bisogna riconoscergli una certa padronanza degli elementi della comunicazione persuasiva (2).
Parliamo innanzitutto del logos, lo strumento retorico di ordine razionale, che, per Olivier Reboul, è caratterizzato dalla “attitudine a convincere grazie alla sua apparenza di logicità e al fascino del suo stile” e “concerne l’argomentazione propriamente detta del discorso” (3). È costituito dunque da ogni argomento, nel senso di prova portata a favore di una tesi, ragionamento fatto a sostegno di un’opinione.
Incominciamo con la dissociazione di una nozione, consistente nell’eliminazione di un’incompatibilità, originando la coppia gerarchizzata apparenza/realtà, che deriva per l’appunto dall’inconciliabilità fra due aspetti, uno giudicato ingannevole e uno corrispondente alla verità: ne consegue ovviamente la valorizzazione del secondo rispetto al primo (4).
Se ne coglie la presenza là dove l’ex presidente del Consiglio, richiamandosi a quello attuale, ha osservato: “Beh, lui è l’establishment. Dice che è l’‘avvocato del popolo’: ma quando mai!”.
Più precisamente si avvale della variante verbale/reale per annullare l’incongruenza fra la necessità di opporsi a Giuseppe Conte e la sua pretesa di essere il difensore delle classi meno elevate. Lo è solo a parole (“dice”), nei fatti (“ma quando mai!”) rappresenta la classe dirigente (“l’establishment”).
L’intervistato ha puntualizzato: “Ero io l’estraneo, il barbaro, l’anti-establishment. Lui è l’establishment”. Così ha confermato ciò che scrivono Chaïm Perelman e Lucie Olbrechts-Tyteca: “L’argomentazione non potrebbe procedere di molto senza ricorrere a paragoni, nei quali diversi oggetti siano posti a confronto per essere valutati l’uno in rapporto all’altro” (5).
Nel discorso politico, che spesso ha una funzione polemica, si evidenziano specialmente dei contrasti con gli avversari. Ecco una nuova occorrenza: “Conte è l’arci-italiano classico. Sta nei salotti romani, nel sistema della giustizia amministrativa, negli studi che difendono l’Aiscat e i finanzieri che scalano le banche… Io ero il barbaro, che non usciva mai, non frequentava i salotti, stava chiuso a Palazzo Chigi a lavorare fino a mezzanotte”.
Si delinea pure l’impiego dell’argomento dell’incompatibilità. Per Chaïm Perelman e Lucie Olbrechts-Tyteca, “assomiglia ad una contraddizione, in quanto consiste in due asserzioni tra le quali bisogna scegliere, a meno di rinunciare ad entrambe” (6).
Nel caso specifico l’incoerenza non è indicata esplicitamente, ma attraverso l’allusione: si dice una cosa per farne intendere una più profonda e nascosta, che non si vuole dichiarare apertamente e quindi si sottintende. Per i due studiosi summenzionati, ci si serve di tale particolare forma espressiva, “quando l’interpretazione di un testo rimarrebbe incompleta, se si trascurasse il riferimento volontario dell’autore a qualche cosa che egli evoca, senza designarlo; può trattarsi di un avvenimento passato, di un uso o di un fatto di cultura, la conoscenza dei quali è propria ai membri del gruppo con i quali l’oratore cerca di stabilire una comunione” (7).
Passando da un piano semplicemente informativo a uno maliziosamente allusivo, s’instaura un rapporto di complicità con il pubblico, perché si accenna velatamente a una inconciliabilità: alcuni ministri attribuiscono la responsabilità del crollo del viadotto Polcevera di Genova, più conosciuto come ponte Morandi, alla mancanza di manutenzione, spettante all’azienda che lo gestiva, la Società Autostrade per l’Italia; tuttavia essa fa parte dell’Associazione Italiana Società Concessionarie Autostrade e Trafori a pedaggio (Aiscat), i cui interessi sono stati tutelati da Giuseppe Conte nella sua qualità di avvocato.
Contemporaneamente il procedimento utilizzato rientra fra le tecniche d’attenuazione, con le quali si produce un’impressione di prudenza.
Anche i seguenti passi contengono una comparazione:
“Ma come, non sa la storia del ‘suocero’ di Giuseppe Conte (per carità: innocente fino a sentenza), inquisito per non aver versato al Comune due milioni di tasse di soggiorno di un grande albergo romano? Su di lui un pezzetto qua, uno là… Per mezza giornata. Se fosse stato mio suocero?”.
“Io non avrei mai e poi mai fatto ciò che hanno fatto Luigi Di Maio o Alessandro Di Battista. Non avrei mai costretto mio padre a quelle forche caudine…”.
Nel secondo brano si rimanda all’umiliazione del video postato su Facebook, in cui Antonio Di Maio, riguardo agli illeciti da lui compiuti, sosteneva: “Luigi non ha la minima colpa, non era a conoscenza di nulla”, per permettere al figlio di concludere piuttosto sbrigativamente: “Mio padre ci ha messo la faccia, ora possiamo finirla qui” (Riportato in Corriere della Sera, 4 dicembre 2018, p. 10).
Il paragone per contrasto, lo abbiamo visto, viene adoperato in funzione polemica per accreditare sé stessi e per mettere in cattiva luce gli avversari. Pertanto, sebbene sia un elemento del logos, interagisce con gli strumenti retorici di ordine affettivo dell’ethos e del pathos. Con il pathos l’emittente del messaggio mira a originare vari sentimenti nel ricevente al fine di coinvolgerlo maggiormente nel discorso. Cicerone nelle Partitiones oratoriae sosteneva: “Ci sono due tipi di argomentazione: uno tende direttamente a convincere, l’altro vuol arrivare allo scopo indirettamente, suscitando emozioni” (8). L’ethos è “il carattere che deve assumere l’oratore per accattivarsi l’attenzione e guadagnarsi la fiducia dell’uditorio”, giacché “quali che siano i suoi argomenti logici, essi non hanno alcun potere senza questa fiducia” (9).
In diverse parti dell’intervista Renzi propone una sua identità, rappresentando aspetti della sua personalità e del suo modo di vivere:
“Si rende conto che stiamo parlando solo del passato? Io voglio parlare del futuro”
“Dov’è che a Roma si risolvono i problemi? A cena. Tant’è che Dagospia parla di ‘attovagliati’. Ecco, io non mi son mai ‘attovagliato’”
“In mille giorni non sono mai uscito la sera a cena. O tre volte forse, con mia moglie. Mi mostri una sola foto mia in un salotto romano. Vita mondana zero. Non dico che mi facesse paura ma ho sempre visto Roma come una città più grande di me. Capace di mangiarsi i sassi. E anche me”.
Nell’ultimo estratto si ricorre a un’efficace strategia d’immagine: l’emittente del messaggio dà di sé l’idea di common man per favorire un’identificazione con un ricevente ben preciso, costituito dalla maggioranza della popolazione. Inoltre dimostra un’enorme sicurezza, in quanto lancia una sfida, sapendo di vincerla (“Mi mostri una sola foto mia in un salotto romano”).
Nel primo rivela una propensione per l’avvenire. Rispetta quindi una delle dieci regole della comunicazione politica proposte da Jacques Séguéla, il quale veramente si riferisce alle campagne elettorali: “Si vota per il futuro e mai per il passato” (10).
Probabilmente così l’ex premier ha voluto compensare un precedente ripiegamento nel tempo già trascorso ed evitare l’accusa di autocelebrazione, giacché, a proposito dell’azione del suo governo, aveva ricordato: “Quattordici trimestri di crescita, un milione e 200mila posti di lavoro sanzionati dall’Istat, il Jobs Act… I dati dicono che noi europei passiamo in quegli anni da 160 a 164 milioni di occupati. Di questi quattro milioni in più, 1,2 sono italiani”.
È evidente l’uso in positivo dell’argomento pragmatico, ossia “quello – citiamo ancora una volta Perelman e Olbrechts-Tyteca – che permette di valutare un atto o un evento in funzione delle sue conseguenze favorevoli o sfavorevoli”. Esso “ha una funzione talmente essenziale nell’argomentazione, che certuni hanno voluto vedervi lo schema unico della logica dei giudizi di valore: per apprezzare un evento bisogna partire dai suoi effetti” (11).
Riguardo a un’altra forma di ragionamento, come ha rilevato Olivier Reboul, “secondo Aristotele, ci sono solo due tipi, e due soltanto, di strutture argomentative: l’esempio, che va dal particolare al generale, dal fatto alla regola, ed è dunque un’induzione; e l’entimema, che va dal generale al particolare, e che è dunque una deduzione” (12).
L’ex segretario del Partito democratico ha utilizzato la prima per ribadire il concetto dell’appartenenza dell’attuale presidente del Consiglio alla classe dirigente:
“Lui è l’establishment. Non a caso diventa professore, messo in cattedra da Alpa, sul cui concorso i dubbi sono enormi… È sempre stato dentro le cose”
“Sta nei salotti romani, nel sistema della giustizia amministrativa, negli studi che difendono l’Aiscat [Associazione Italiana Società Concessionarie Autostrade e Trafori a pedaggio] e i finanzieri che scalano le banche…”.
Infine dobbiamo parlare dell’eziologia, cioè l’“evidenziazione delle cause”. Per Armando Plebe e Pietro Emanuele, “si tratta del dirigere la propria argomentazione nella direzione dell’attribuire uno o più fatti accaduti alle cause che si ritiene opportuno evidenziare in luogo di altre possibili cause degli stessi effetti” (13). Si attua perciò un ragionamento fondato sulla relazione di causa ed effetto, consistente, come ha rilevato Olivier Reboul, nel “mostrare il valore dell’effetto a partire da quello della causa, o l’inverso” (14).
Con un’allusione (se n’è trattato sopra), Renzi indica la vera ragione (dal suo punto di vista) dei problemi giudiziari del genitore Tiziano: “Senta: mio padre fino a 63 anni ha preso solo multe per eccesso di velocità, non poche peraltro. Dopodiché, improvvisamente, viene pedinato quattro anni come un camorrista. E che gli trovano? Dopo dieci indagini va a processo per una fattura da 20.000 euro”. […] “Ma alla fine cosa resterà, di tutte queste indagini a tappeto? La dicitura di una fattura che forse non andava bene?”.
Più precisamente, dice una cosa (“Mio padre fino a 63 anni ha preso solo multe per eccesso di velocità […] Dopodiché, improvvisamente, viene pedinato quattro anni come un camorrista”) per farne intendere una più profonda e nascosta, che non vuole dichiarare apertamente e quindi sottintende, ma comunque evoca e che si potrebbe esprimere chiaramente così: “Viene inquisito in conseguenza della mia nomina alla guida del governo. Attraverso di lui vogliono colpire me”.
Mediante la figura retorica impiegata, l’emittente coinvolge il ricevente, richiedendo la sua cooperazione nell’interpretazione del messaggio.
Nell’intervista l’ex premier ha inoltre ricordato: “Per quattro anni hanno passato al setaccio tutta la mia vita. Le amicizie. La famiglia. I parenti. I mutui. Tutto. Mi hanno intercettato”.
Ma qual è il motivo di una simile ostinazione? Ecco la spiegazione: “Ci sono carte del Csm in cui il pm Lucia Musti racconta di quando arriva nel suo ufficio il colonnello Scafarto e le dice: ‘Vogliamo le prove per arrivare a Renzi, dobbiamo arrestare Renzi’”.
NOTE
(1) Gian Antonio Stella, “Io ero il barbaro, Conte è l’uomo dei salotti”, in 7-Corriere della Sera, 14 febbraio 2019, pp. 16-23.
(2) Cfr. in proposito gli articoli “Strumenti retorici in un’intervista di Matteo Renzi”, “Strumenti retorici nella risposta di Matteo Renzi ad un attacco di Beppe Grillo” e “Strategie retoriche in un’intervista di Matteo Renzi”, pubblicati nel nostro sito il 29 settembre 2016, il 17 maggio 2017 e il 23 febbraio 2018.
(3) Olivier Reboul, Introduzione alla retorica, Il Mulino, 1996, pp. 36, 70.
(4) Chaïm Perelman e Lucie Olbrechts-Tyteca, Trattato dell’argomentazione. La nuova retorica, Einaudi, 2013.
(5) Chaïm Perelman e Lucie Olbrechts-Tyteca, op. cit., p. 262.
(6) Chaïm Perelman e Lucie Olbrechts-Tyteca, op. cit., p. 212.
(7) Chaïm Perelman e Lucie Olbrechts-Tyteca, op. cit., p. 192.
(8) M. Tullio Cicerone, Partitiones oratoriae, paragrafo 46. Riportato in Chaïm Perelman e Lucie Olbrechts-Tyteca, op. cit., p. 536.
(9) Olivier Reboul, op. cit., pp. 21 e 69.
(10) Intervento di Jacques Séguéla al convegno della società di consulenza Running su Il marketing politico dopo la campagna 2001, Roma, 15 giugno 2001 (in sito web).
(11) Chaïm Perelman e Lucie Olbrechts-Tyteca, op. cit., p. 288.
(12) Olivier Reboul, op. cit., p. 193
(13) Armando Plebe e Pietro Emanuele, Manuale di retorica, Universale Laterza, 1988, pp. 123-124.
(14) Olivier Reboul, op. cit., p. 211.