Accumulazione

Consiste nella successione di parole o gruppi di parole o frasi allo scopo di rendere più efficace la descrizione, la narrazione, l’argomentazione, giacché si favorisce la percezione dei singoli elementi elencati (persone, oggetti, azioni, avvenimenti, situazioni). Possiamo dunque considerarla come una figura della presenza, ossia una di quelle che, come hanno rilevato Chaïm Perelman e Lucie Olbrechts-Tyteca, “hanno per effetto di rendere attuale alla coscienza l’oggetto del discorso” (Trattato dell’argomentazione. La nuova retorica, Einaudi, 2013, p. 189).

A essa si ricorre non solo in letteratura (vari esempi sono riportati nei manuali di retorica), ma pure nella comunicazione persuasiva. In un annuncio pubblicitario, realizzato nel 1976 da Annamaria Testa per Ciocorì, sembra di sentire (e vedere) una mamma un po’ troppo assillante con il suo bambino: “Non toglierti il golfino che sei sudato, dì buongiorno alla signora Cecilia, corri subito a lavarti le mani, non metterti le dita nel naso, non fare rumore che il papà è stanco, li hai già fatti i compiti?, non mangiarti le unghie, non attraversare la strada, possibile che non sai stare fermo un minuto?, stai attento a non sporcarti, non stare così vicino al televisore, tieni i gomiti giù dalla tavola, chi ti ha insegnato a dire le parolacce?, non bere l’aranciata gelata, piantala di masticare la cicca americana, non giocare con le barchette nella vasca da bagno, perché sei sempre lì a leggere fumetti?”.

Si potrebbe pensare che l’autrice si sia ispirata a un principio enunciato da David Abbott: “Usate la vita per animare i testi”. A questo geniale creativo inglese si deve una lista ancora più lunga in un’inserzione sotto forma di missiva di un figlio al padre per accompagnare un regalo:

Perché ti conosco da una vita”. “Perché una bici Rudge rossa una volta fece di me il bambino più felice del quartiere”. “Perché mi hai lasciato giocare a cricket sul prato”. “Perché ballavi in cucina con una tovaglia da tè intorno alla vita”. “Perché il tuo libretto di assegni era sempre in ballo a causa mia”. “Perché casa nostra era sempre piena di libri e risate”. “Per tutti i sabati mattina persi a guardare un ragazzotto che giocava a rugby”. “Perché non hai mai preteso troppo da me e non mi hai lasciato andar via con troppo poco”. “Per tutte le notti passate a lavorare alla tua scrivania mentre io me ne stavo a letto a dormire”. “Per non avermi mai messo in imbarazzo raccontando storie sulle api e le cicogne”. “Perché so che porti nel portafoglio un ritaglio di giornale ingiallito che parla della mia borsa di studio”. “Perché mi hai sempre fatto lucidare i tacchi delle scarpe con la stessa cura riservata alla tomaia”. “Perché ti sei ricordato del mio compleanno 38 volte su 38”. “Perché ancora mi abbracci quando ci vediamo”. “Perché compri ancora dei fiori a mia madre”. “Perché hai più capelli bianchi della media e so chi ha dato una mano a farteli venire”. “Perché sei un nonno fantastico”. “Perché hai fatto sentire mia moglie come una di famiglia”. “Perché sei voluto andare al McDonald’s l’ultima volta che ti ho invitato a pranzo”. “Perché c’eri sempre quando ho avuto bisogno di te”. “Perché mi hai sempre lasciato fare i miei errori senza dire mai ‘te l’avevo detto’”. “Perché fai ancora finta che gli occhiali ti servano solo per leggere”. “Perché non ti dico ‘grazie’ tutte le volte che dovrei”. “Perché è la festa del papà”. “Perché se Chivas Regal non te lo meriti tu, chi lo meriterebbe?” (Pasquale Barbella, “David Abbott’s list”, in Bill magazine, n. 13, giugno 2015 e in qualche sito web).

Un analogo quadro famigliare, con il medesimo procedimento stilistico, si ritrova in un passo ricavato da una lettera di Matteo Renzi a Beppe Grillo, nell’ambito di una polemica provocata da un’inchiesta giudiziaria, nella quale era coinvolto il genitore dell’ex segretario del Partito democratico:

“È semplicemente mio padre, mio babbo. Mi ha tolto le rotelline dalla bicicletta, mi ha iscritto agli scout, mi ha accompagnato trepidante a fare l’arbitro di calcio, mi ha educato alla passione per la politica nel nome di Zaccagnini, mi ha riportato a casa qualche sabato sera dalla città, mi ha insegnato l’amore per i cinque pastori tedeschi che abbiamo avuto, mi ha abbracciato quando con Agnese gli abbiamo detto che sarebbe stato di nuovo nonno, mi ha pianto sulla spalla quando insieme abbiamo accompagnato le ultime ore di vita di nonno Adone, mi ha invitato a restare fedele ai miei ideali quando la vita mi ha chiamato a responsabilità pubbliche” (in Il blog di Matteo Renzi).

L’accumulazione si arricchisce grazie all’unione con l’anafora, la ripresa di una o più parole all’inizio di enunciati, o di loro segmenti, successivi. Essa ricorre chiaramente negli estratti di Abbott e di Renzi (nel secondo perfino in coppie correlate). Con l’epifora invece l’iterazione è alla fine. Gli esempi che seguono sono desunti dai discorsi di Martin Luther King al Lincoln Memorial di Washington, il 28 agosto 1963 (durante una marcia nonviolenta per i diritti civili dei neri d’America) e del presidente sudafricano Nelson Mandela all’Assemblea generale delle Nazioni Unite, nel settembre del 1998:

“Con questa fede saremo in grado di lavorare insieme, pregare insieme, lottare insieme, andare in prigione insieme, resistere per la libertà insieme

“Continuerò a credere che nel mio Paese e nella mia regione, nel mio continente e nel mondo, sia nata una generazione di governanti che non permetteranno che le persone siano private della loro libertà, come è accaduto a noi; che siano trasformate in rifugiati, come è accaduto a noi; che siano condannate a essere affamati, come è accaduto a noi; che siano privati della loro dignità di uomini, come è accaduto a noi”.

Attraverso la combinazione delle due peculiari forme espressive, si attua la simploche. La utilizzò John F. Kennedy nella memorabile allocuzione che pronunciò a Berlino, il 26 giugno 1963: “Ci sono molte persone al mondo che non capiscono, o che dicono di non capire, quale sia la grande differenza tra il mondo libero e il mondo comunista. Che vengano a Berlino. Ce ne sono alcune che dicono che il comunismo è l’onda del progresso. Che vengano a Berlino. Ce ne sono alcune che dicono, in Europa come altrove, che possiamo lavorare con i comunisti. Che vengano a Berlino. E ce ne sono anche certe che dicono che, sì, il comunismo è un sistema malvagio, ma permette progressi economici. Che vengano a Berlino”.

Per Perelman e Olbrechts-Tyteca, “tra le figure che hanno l’effetto di aumentare il sentimento di presenza, le più semplici si connettono con la ripetizione, che […] può pure accentuare la suddivisione di un avvenimento complesso in episodi dettagliati” (op. cit., pp. 189-190).

Ecco come Edward Kennedy, intervenendo alla Convention nazionale democratica del 1980, a New York, rappresentò la sofferenza della gente comune per mezzo di casi particolari: “Ho ascoltato Kenny Dubois, un soffiatore di vetri di Charleston, West Virginia, con dieci figli da mantenere, ma che ha perso il lavoro dopo trentacinque anni di attività, tre anni prima di poter chiedere la pensione. Ho ascoltato la famiglia Trachta, agricoltori dell’Iowa, che si chiede se potrà passare ai propri figli il benessere raggiunto e la loro terra. Ho ascoltato una nonna di East Oakland, che non ha più un telefono per chiamare i suoi nipoti perché, per pagare l’affitto del suo piccolo appartamento, ha dovuto rinunciarci. Ho ascoltato giovani disoccupati, studenti senza la possibilità di andare all’università e famiglie senza la possibilità di acquistare la casa. Ho visto le aziende chiuse e le catene di montaggio ferme di Anderson, Indiana, e di South Gate, California. Ho visto tanti – troppi – disoccupati alla ricerca disperata di un lavoro. Ho visto tante – troppe – famiglie di lavoratori nello sforzo disperato di proteggere il valore degli stipendi contro le devastazioni dell’inflazione” (Riportato in Mario Rodriguez, Una parola vale più di mille immagini, in sito web).

Nel materiale pubblicitario diffuso da Forza Italia, durante la campagna per le elezioni politiche del 1994, talvolta si notava l’associazione, oltre che con l’anafora, con l’isocòlo, ossia la perfetta simmetria fra due o più membri di un costrutto o di una proposizione o di un periodo per il numero di parole, per la struttura sintattica e dunque per il ritmo:

“Per scegliere fra sviluppo e recessione, fra benessere e miseria, fra libertà e asservimento, fra verità e menzogna”

“Scende in campo l’Italia che lavora contro quella che chiacchiera, l’Italia che produce contro quella che spreca, l’Italia che risparmia contro quella che ruba, l’Italia della gente contro quella dei vecchi partiti”

“Più lavoro per i giovani, più solidarietà per i deboli, più amore per gli anziani, più rispetto per l’ambiente”.

I primi due estratti contengono inoltre l’antitesi, derivante dall’accostamento di termini di senso opposto.

Uno stratagemma consiste nell’unire dati diversi allo scopo di trasferire la fondatezza da uno a un altro, magari per delegittimare l’avversario, come nelle seguenti occorrenze, ricavate dalla campagna elettorale israeliana rispettivamente del 1996 e del 1999:

“Non c’è sicurezza. Non c’è pace. Non c’è ragione per votare Peres”

“Netanyahu è impantanato: nell’economia, nel processo di pace, nel fango del Libano”.

Ronald Reagan si servì dell’accumulazione, in maniera ugualmente astuta, per sostenere la legittimità del coinvolgimento del suo Paese nella guerra del Vietnam. Nel suo primo discorso da presidente degli Stati Uniti, mentre in televisione si vedeva il cimitero monumentale di Arlington, dove riposano i soldati che morirono per l’America, disse: “Le loro vite si spensero in luoghi chiamati Belleau Wood, Argonne, Omaha Beach, Salerno e […] Guadalcanal, Tarawa, Pork Chop Hill, Chosin e in centinaia di risaie e giungle di un posto chiamato Vietnam”.

Come hanno osservato Anthony R. Pratkanis e Elliot Aronson, “includendo i caduti della guerra del Vietnam in una sequenza di simboli e immagini che esemplificavano il meglio dell’eroismo americano, Reagan aveva trasformato con una sola vivida immagine la guerra del Vietnam in una missione giusta e onorevole” (Psicologia delle comunicazioni di massa. Usi e abusi della persuasione, Il Mulino, 1996, pp. 147-148).

Durante l’emergenza sanitaria, provocata dal coronavirus, un analogo espediente persuasivo, basato su un passaggio di valore tra vari elementi, ha utilizzato Matteo Salvini, quando ha affermato: “Ora le priorità sono il lavoro, l’economia, la scuola, la difesa dei confini” (Corriere della Sera, 6 settembre 2020, p. 8), In realtà, in quel momento, l’ultimo punto (il problema dei migranti, cioè il suo cavallo di battaglia) forse non presentava la stessa gravità.

Sulla figura retorica di cui stiamo parlando è incentrato un gioco (così potremmo definirlo). A esso è ricorso l’attore Guglielmo Scilla per dichiarare pubblicamente su YouTube, in modo piuttosto originale, la propria omosessualità: “Le cose che mi piacciono sono le ciliegie, il sushi, i libri, il rumore della pioggia, il c…o, Londra, l’indie, le stelle, i murales e gli indovinelli. Le cose che non mi piacciono invece sono il caldo, le scale, la febbre, i formaggi stagionati, la f..a, Charizard [un Pokémon], lo spam, il calcio, le ingiustizie e i marsupi”.

Al di là dell’enumerazione, Flavia Trupia ha individuato la presenza della sprezzatura, ossia “l’arte di fare cose difficili senza mostrare la fatica. ‘Usar in ogni cosa una certa sprezzatura, che nasconda l’arte e dimostri ciò che si fa e dice venir fatto senza fatica e quasi senza pensarvi’ (Castiglione)” (Quando scopri che a tuo figlio piacciono i marsupi, pubblicato nel nostro sito il 4 ottobre 2017).