Apostrofe (figura retorica): definizione, significato ed esempi
/a·pò·stro·fe/
Definizione
L’apostrofe la figura retorica con cui l’emittente del messaggio si rivolge direttamente a un ricevente diverso da quello reale, convenzionale, ma per attuare una migliore comunicazione con quest’ultimo. Il discorso dunque è orientato sulla “seconda persona”, talvolta introdotta con l’interiezione usata come rafforzativo del vocativo (“o”). Quando si ricorre all’imperativo, si realizza la funzione persuasiva (oconativa) della lingua, ossia quella che ha lo scopo di convincere qualcuno di qualcosa: più
precisamente, ad assumere un determinato atteggiamento emotivo o intellettuale o morale; oppure acompiere o no una certa azione. Il destinatario apparente può essere naturale o soprannaturale, presenteo assente, vivo o morto, concreto o astratto, animato o inanimato e perciò talvolta viene personificato.
Etimologia
Dal latino. apostrŏpha, apostrŏphe, greco ἀποστροϕή, der. di ἀποστρέϕω «volgere altrove».
Apostrofe: esempi
In letteratura, per citare solo un esempio, associata alla personificazione, si trova nell’orazionefunebre di Antonio, nella tragedia scespiriana Giulio Cesare:
“O giudizio, ti sei rifugiato presso bestie brute e gli uomini hanno perso la ragione” (vv. 104-105)
“Giudicate voi, oh dèi, quanto caramente Cesare l’amava” (v. 179)
“Male sei scatenato, prendi la strada che vuoi” (vv. 253-254)
(William Shakespeare, “Giulio Cesare”, in Opere scelte, Edizione Euroclub Italia (su
licenza di Garzanti Editore), 1994, atto III, scena II, pp. 331-345).
Diversi esempi di apostrofe possono essere trovati nella Divina Commedia di Dante:
“Godi, Fiorenza, poi che se’ sì grande che per mare e per terra batti l’ali, e per lo ‘nferno tuo nome si spande!”
(Dante Alighieri, La Divina Commedia, Inferno, Canto XXVI)
“Ahi serva Italia, di dolore ostello, nave sanza nocchiere in gran tempesta, non donna di provincie, ma bordello!”
(Dante Alighieri, La Divina Commedia, Purgatorio, Canto VI)
Un altro esempio è nella poesia A Silvia di Leopardi:
“O natura, o natura,
perché non rendi poi
quel che prometti allor? perché di tanto
inganni i figli tuoi?”
(G. Leopardi, A Silvia, vv.36-39)
Nella comunicazione politica vi fece ricorso Bill Clinton, quando, come ricorda nella sua autobiografia, in polemica con George Bush sostenne: “Il presidente in carica dice che la disoccupazione tende sempre ad aumentare prima della ripresa, ma la disoccupazione deve aumentare di una sola persona perché possa esserci una vera ripresa. E, signor presidente, quella persona è lei” (Bill Cliton, My Life, Mondadori, 2004, p. 446).
In Italia la utilizzò il dirigente del PCI Lucio Libertini, in televisione, il 22 ottobre del 1980, allafine di un grave conflitto del lavoro nella grande fabbrica automobilistica torinese. Infatti, dapprima si rivolse “ai lavoratori della Fiat e a tutti gli italiani”, tra l’altro con la narrazione della seguente piccola storia: “In una fredda serata dello sciopero, dinanzi alla porta 16 di Mirafiori, […] una giovane operaia mi ha detto: ‘Perché tanti vogliono offenderci e sporcarci, non si può con i nostri soldi comprare un solo minuto alla televisione per dire che noi, operai, ci sacrifichiamo per la nostra famiglia, il lavoro e la libertà di tutti?’”. E poi, inaspettatamente, scelse come destinatario privilegiato del suo messaggio la stessa protagonista del racconto, proseguendo così: “Vorrei, cara compagna che forse mi ascolti, dirlo qui con la tua esile voce di immigrata meridionale” (Riportato in Paolo Mancini, “Strategie del discorso politico”, in Problemi dell’informazione, n° 2, 1981).
Nella classificazione di Chaïm Perelman e Lucie Olbrechts-Tyteca (Trattato dell’argomentazione. La nuova retorica, Einaudi, 2013), svolge la funzione argomentativa di figura della comunione, perché favorisce comunque l’unione dell’oratore con il suo uditorio (probabilmente, il secondo tende a identificarsi con il primo). È parimenti una figura del pathos, lo strumento retorico di ordine affettivo con il quale si tende a provocare vari sentimenti. Infatti, a giudizio di Pierre Fontanier, per il suo carattere di diversione del discorso, costituisce “l’espressione di un’emozione viva o profonda, come lo slancio spontaneo di un’anima fortemente commossa” (Les figures du discours, 1991, riportato in Olivier Reboul, Introduzione alla retorica, Il Mulino, 1996, p. 165).
Questa voce è stata elaborata dal socio Giorgio Matza.