Brutta china o pendio scivoloso (slippery slope)

È una fallacia, costituita da “un ragionamento concatenato che, seguendo una falsa logica, fa apparire come inevitabile il verificarsi di conseguenze disastrose”: è la definizione che si legge in un articolo di Flavia Trupia (“Processo all’opinione pubblica”, in Huffington Post, 1 marzo 2018). L’autrice ha suggerito pure un caso ricavato dalla propaganda di Matteo Salvini: “Non possiamo accogliere tutta l’Africa in Italia, PRIMA GLI ITALIANI!”. E ha commentato: “Esasperazioni da social media: è improbabile che politiche di accoglienza diverse da quelle che ha in mente il leader della Lega portino l’intera popolazione africana nel nostro paese”.

È possibile però ricorrere allo stesso argomento ingannevole con un tono umoristico, allo scopo di ridicolizzare l’avversario.

Nella competizione per le elezioni politiche del 21 aprile 1996, Massimo D’Alema rilevò: “Il Polo è impegnato in una rincorsa senza principi e senza obblighi di fare i conti: taglia una tassa, poi un’altra, poi detassa i Bot, vedrete che una settimana prima del voto lanceranno la proposta di rimborso agli evasori” (Corriere della Sera, 22 marzo 1996, p. 2).

Inoltre, nella trasmissione tivù della Rai Linea Tre, dopo aver sostenuto che “chi aspira a governare non può delegittimare sistematicamente la magistratura”, così polemizzò con Silvio Berlusconi: “Se si diffonde la convinzione che le sentenze siano complotti, quando un vigile fischia, il cittadino penserà che sia un attentato alla sua libertà” (Corriere della Sera, 13 aprile 1996, p. 3).

Riguardo alle accuse, mosse al fondatore di Forza Italia, di non portare avanti i valori cattolici con le sue reti televisive, ecco come Gianfranco Fini punzecchiò Romano Prodi: “Se la campagna elettorale durasse ancora qualche giorno, gli sentiremmo dire che bisogna mettere le mutande alle figure della Cappella Sistina” (Corriere della Sera, 18 aprile 1996, p. 3).

L’intenzione di porre in ridicolo un antagonista emerge chiaramente in un estratto dall’autobiografia di Bill Clinton: “[Il repubblicano Newt] Gingrich rimproverava i democratici e i loro valori ‘permissivi’ per aver creato un clima morale tale da incoraggiare una tormentata signora del South Carolina, Susan Smith, ad annegare i suoi due figli nell’ottobre 1994. Quando risultò che l’instabilità mentale della Smith era da ricondursi agli abusi sessuali cui era stata sottoposta da bambina dal patrigno ultraconservatore, membro del consiglio della sezione locale della Christian Coalition, Gingrich non fece una piega. Tutti i peccati, anche quelli commessi dai conservatori, erano causati dal relativismo morale che i democratici avevano imposto all’America sin dagli anni Sessanta. Mi aspettavo che, prima o poi, spiegasse come la decadenza morale dei democratici avesse corrotto le amministrazioni Nixon e Reagan provocando gli scandali del Watergate e dell’affare Iran-Contra. Sono sicuro che avrebbe trovato il modo. Quando era in forma, era difficile fermarlo” (My Life, Mondadori, 2004, p. 685).

La brutta china presenta una certa affinità con l’argomento di direzione, che – ci ricordano  Chaïm Perelman e Lucie Olbrechts-Tyteca – “consiste, essenzialmente, nel mettere in guardia contro l’uso del procedimento a tappe: se cedete questa volta dovrete cedere un po’ di più la volta prossima, e Dio sa quando vi fermerete” (Trattato dell’argomentazione. La nuova retorica, Einaudi, 2013, p. 306).

In un romanzo di uno scrittore anonimo si riporta un dibattito fra alcuni candidati democratici alle primarie per la presidenza degli Stati Uniti d’America. Uno di loro s’ispira a un simile tipo di argomentazione:

“‘La realtà è che non possiamo permetterci il lusso di essere tanto solidali quanto vorremmo. La realtà è che abbiamo speso fin troppo per troppo tempo. La realtà è che, se vogliamo lasciare un mondo migliore ai nostri nipoti, noi, popolo americano, dovremo affrontare qualche esperienza dolorosa. Bisognerà fare qualche sacrificio’”.

“‘Larry, tu scherzi, spero…’, disse una voce nota”.

“‘Come dice, governatore Stanton?’”.

“‘Dico, […] dovunque si vada, in questo stato si incontra gente che di recente ha avuto esperienze personali dolorose. Non so se lassù a Dartmouth t’è giunta voce, ma qui nel New Hampshire c’è la recessione. La gente soffre. Perde il posto di lavoro, perde la casa. Sarebbe questa la gente che deve imparare a sacrificarsi? Secondo te, a che cos’altro dovrebbe rinunciare?’” (Colori primari, Garzanti, 1996, p. 201).

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