Enallage della persona e delle persone

L’enallage della persona consiste nel sostituire la seconda singolare alla prima o alla terza o alla costruzione impersonale del verbo. Ciò avviene in alcuni testi poetici di Giacomo Leopardi:

“Or la squilla dà segno / Della festa che viene; / Ed a quel suon diresti / Che il cor si riconforta” (Il sabato del villaggio, vv. 20-23)

Odi il martel picchiare, odi la sega / Del legnaiolo, che veglia / Nella chiusa bottega alla lucerna” (ibidem, vv. 33-35)

“E, dalla via corrente, odi lontano / Tintinnio di sonagli; […]” (La quiete dopo la tempesta, vv. 22-23)

L’enallage delle persone si ha quando si ricorre al “noi” non in funzione di plurale di maestà (così chiamato perché adottato negli atti e nei discorsi ufficiali dei sovrani, dei papi e di altri personaggi eminenti), ma, al contrario, quale plurale di modestia; cioè non per escludere, bensì per includere, per comprendere la seconda e eventualmente pure la terza persona, sia singolari sia plurali.

Nella comunicazione politica il suo impiego permette all’emittente di evitare di rivolgersi al ricevente con delle esortazioni o, addirittura, degli ordini dati in maniera troppo diretta. Infatti, come ha osservato Donna R. Miller, “quello del predicatore (che rischia di trasformarsi in castigatore) è un tratto del leader da mostrare con cautela” (“Visioni polifoniche: la (ri)costruzione linguistica del paradigma consensuale nella propaganda elettorale statunitense”, in Quaderni Costituzionali, anno XVI, n° 3, dicembre 1996, p. 359), allo scopo di ottenere il maggior consenso possibile.

Tale procedimento stilistico risulta molto efficace, in particolare quando emerge la necessità di mobilitare tutta una comunità, perché permette di creare un soggetto collettivo. Lo utilizzò Winston Churchill nel discorso tenuto alla Camera dei Comuni, il 4 giugno 1940, nel momento in cui sembrava prossima l’occupazione della Gran Bretagna da parte dei nazisti: “Combatteremo in Francia, combatteremo sui mari e sugli oceani, combatteremo con fiducia crescente e con crescente forza nel cielo, difenderemo la nostra isola, a qualunque costo, combatteremo sulle spiagge, combatteremo sui campi d’aviazione, combatteremo nei campi, e nelle strade, e combatteremo nelle colline; non ci arrenderemo mai”.

In quella drammatica circostanza, una scelta del tutto opposta si fece paradossalmente nella propaganda del MOI (Ministry of Information) con uno slogan incentrato sulla contrapposizione tra un “voi” e un “noi”: “Your courage, your cheerfulness, your resolution will bring us victory”.

L’enallage delle persone è alla base della frase “Yes, we can”, che costituì uno dei motivi conduttori della campagna di Barack Obama per le presidenziali del 2008. Ecco qualche passo di suoi interventi:

“Insieme cominceremo a scrivere il prossimo, grande capitolo della storia americana, con tre parole che risuoneranno da costa a costa, da mare a mare: Yes, we can!

“Quando ci troveremo di fronte al cinismo e al dubbio, a quelli che ci dicono che non ce la possiamo fare, noi risponderemo con quel credo immortale che riassume lo spirito stesso del nostro popolo: Yes, we can!

“Questa notte […] penso all’angoscia e alla speranza, alla lotta e al progresso, ai momenti in cui ci dicevano che non potevamo farcela e alle persone che, al contrario, hanno tirato avanti facendo appello proprio a quella professione di fede americana che si fonda su questa convinzione. Yes, we can!”.

Probabilmente a questo slogan si sono richiamati i fondatori di Podemos, il partito spagnolo di orientamento socialista democratico, nato nel 2014.

In Italia, in occasione delle elezioni politiche del 1996, in due dichiarazioni, a breve distanza l’una dall’altra, Massimo D’Alema espresse, in forme linguistiche diverse, lo stesso concetto fortemente polemico nei confronti di Gianfranco Fini e dei suoi colleghi di partito:

“Quando vedo i suoi saltare i banchi in Parlamento per picchiare chi non la pensa come loro, l’impressione non è propria quella di un gruppo democratico, come i conservatori inglesi, ma di squadristi del MSI” (La Repubblica, 25 marzo 1996, p. 3)

“Quando in Parlamento vediamo i deputati di AN saltare sui banchi e strappare i microfoni non abbiamo certo l’impressione di osservare i conservatori inglesi” (La Repubblica, 29 marzo 1996, p. 6).

Con il “noi”, inclusivo dell’“io” e del “voi”, si attua una strategia della complicità, in quanto si trasforma il destinatario in una specie di co-enunciatore. Pertanto l’enunciazione si rivela maggiormente persuasiva grazie alla presenza dell’enallage delle persone.

Quest’ultima, così come quella della persona, è classificata da Chaïm Perelman e Lucie Olbrechts-Tyteca tra le figure della comunione, “con le quali l’oratore si sforza di far partecipare attivamente l’uditorio alla sua esposizione, prendendolo a parte di essa, sollecitando il suo concorso” (Trattato dell’argomentazione. La nuova retorica, Einaudi, 2013, p. 193).

Voce a cura di Giorgio Matza.