Nella definizione di Pierre Fontanier, “consiste nel tornare su ciò che si è appena detto, o per rafforzarlo, o per addolcirlo, o anche per ritrattarlo del tutto, a seconda che si voglia affettare di trovarlo, o che in effetti lo si trovi troppo debole o troppo forte, troppo poco sensato, o troppo poco conveniente” (1).
Rientra tra le tecniche, sia di attenuazione (“addolcire”), sia d’insistenza (“rafforzare”). Con le prime il destinatario della comunicazione, per Chaïm Perelman e Lucie Olbrechts-Tyteca, “preso da fiducia per quest’eccesso di moderazione nelle conclusioni, va spontaneamente più in là di quanto avrebbe fatto se l’autore avesse voluto condurvelo per forza”. Pertanto “dànno un’impressione favorevole di ponderatezza, di sincerità e concorrono a distogliere dall’idea che l’argomentazione sia un espediente, un artificio” (2).
Le seconde, invece, vengono utilizzate dall’emittente del messaggio per attirare o ravvivare l’attenzione del ricevente e per sottolineare il concetto che si vuole enunciare.
In un’opera attribuita a Cornificio si legge: “‘Non sarebbe quindi preferibile, dirà qualcuno, fermarsi sulle parole migliori e meglio scelte già dall’inizio, specialmente quando si scrive?’. Vi sono dei casi, in cui non è preferibile, se il cambiamento della parola servirà a mostrare che la cosa è di tal fatta, che, espressa con una parola comune, sembra detta troppo fiaccamente e, ricorrendo a una parola più scelta, il fatto prende rilievo. Se si fosse giunti direttamente a quella parola, non ci saremmo accorti del rilievo della parola, né della cosa” (3).
Bettino Craxi impiegò un simile procedimento durante un Congresso del Partito Socialista Italiano (Torino, 2 aprile 1978), associandolo al luogo comune dell’innovazione nella tradizione al fine di accordare tra loro due principi opposti, ma di pari rilevanza: “Il lavoro del Partito deve continuare con coerenza portando avanti il processo di rinnovamento: anzi, come anch’io preferisco dire, del rinnovamento nella continuità” (4).
Le seguenti occorrenze si riferiscono alle elezioni politiche del 21 aprile 1996 e si devono a Walter Veltroni e a Silvio Berlusconi:
“Allora [per le votazioni del 27 marzo 1994] sì che fu compiuta una lampante, quanto efficace, operazione di furbizia. Diciamo meglio: un trucco. Il Cavaliere dispose le sue schiere di Forza Italia alleandosi al Nord con i leghisti di Bossi e al Sud con i postfascisti di Fini. Poco male se i due si lanciarono insulti e minacce per tutta la campagna elettorale. E se spergiurarono che mai avrebbero governato insieme. Si sedettero poi assieme al governo. E finì presto come doveva finire”.
“Non ho guadagnato una lira dal mio ingresso in politica; anzi, ho messo i miei interessi personali a disposizione del Paese”.
Più recentemente dell’epanortòsi si sono avvalsi Mario Draghi (nell’allocuzione al Senato del 17 febbraio 2021, dopo la formazione del suo governo), Sergio Mattarella (nel messaggio del 3 febbraio 2022, dinanzi al Parlamento, in occasione del giuramento dopo la rielezione alla Presidenza della Repubblica), e Volodymyr Zelensky (nell’intervento a distanza, il 22 marzo 2022, davanti alla Camera dei Deputati del Parlamento italiano):
“Oggi noi abbiamo, come accadde ai governi dell’immediato Dopoguerra, la possibilità, o meglio la responsabilità, di avviare una Nuova Ricostruzione”.
“Tanti, troppi giovani sono sovente costretti in lavori precari e malpagati, quando non confinati in periferie esistenziali”.
“Abbiamo bisogno di altre sanzioni, di altre pressioni affinché la Russia non cerchi le riserve militari o i guerrieri in Libia o in Siria ma cerchi la pace, affinché una sola persona cerchi la pace”
Il presidente ucraino adopera una duplice correzione per evidenziare la distinzione tra “le riserve militari o i guerrieri in Libia o in Siria” e “la pace” e tra la popolazione russa e l’autocrate di Mosca. La prima si attua mediante i correlativi non…, ma… (vedremo in occorrenze successive che è consentita l’omissione della congiunzione). In sostanza si privilegia un’idea in confronto a una diversa. Emerge dunque la gerarchia di valori, che Chaïm Perelman e Lucie Olbrechts-Tyteca classificano tra gli oggetti di accordo dell’uditorio, ossia “quanto si ritiene ammesso da parte degli ascoltatori” (5).
Ecco in proposito due estratti dall’elocuzione rispettivamente di Tony Blair e di Silvio Berlusconi:
“Una cosa mi è chiara: la sterilità dell’opposizione. Non ho aderito al Partito laburista per protestare, ma per governare e ne farò un partito di governo”.
“Non i cittadini nelle mani dello Stato, ma lo Stato nelle mani dei cittadini, non i cittadini al servizio dello Stato, ma lo Stato al servizio dei cittadini”.
L’affermazione del fondatore di Forza Italia costituisce un esempio di slogan piuttosto incisivo, perché si basa sul modello del chiasmo complicato (o antimetatesi o antimetabole), risultante dalla permutazione dell’ordine dei medesimi termini per produrre un capovolgimento di senso. Sebbene vagamente, richiama un passaggio del memorabile discorso d’insediamento alla presidenza degli Stati Uniti d’America, tenuto da John F. Kennedy a Washington, il 20 gennaio 1961:
“Americani, non chiedetevi cosa il vostro Paese può fare per voi, chiedetevi cosa voi potete fare per il vostro Paese” (6).
È però indiscutibile il contrasto per il significato. I concetti sono identici, ma la loro scala è invertita, giacché il particolare deve prevalere sul generale per l’uomo politico e imprenditore italiano e il generale sul particolare per l’allora presidente americano.
Per gli autori del Trattato dell’argomentazione, “accanto a gerarchie concrete, come quella che esprime la superiorità degli uomini sugli animali, esistono gerarchie astratte, come quella che esprime la superiorità del giusto sull’utile” (7).
Alla seconda s’ispirò JFK, ricorrendo pure allo strumento persuasivo di natura affettiva dell’ethos, cioè “il carattere che deve assumere l’oratore per accattivarsi l’attenzione e guadagnarsi la fiducia dell’uditorio” (8). Nello specifico, il parlante si presentava in qualità di persona incline non all’opportunismo, ma all’equità:
“A quanti, nelle baracche e nei villaggi di mezzo mondo, si battono per spezzare le catene della miseria, promettiamo che faremo di tutto per aiutarli ad aiutarsi da soli, per tutto il tempo che occorrerà; e non perché potrebbero farlo i comunisti, non perché puntiamo ai loro voti, ma perché è giusto che sia così” (9).
Tale forma di epanortòsi è frequentissima nella comunicazione politica americana. Lo dimostrano i casi che si riportano di seguito.
Martin Luther King: “Forse è vero che la legge non può convincere un uomo ad accettarmi, ma può impedirgli di linciarmi e penso che anche questo abbia una sua importanza”.
Al Gore: “Non ho passato l’ultimo quarto di secolo in cerca di ricchezza personale. Ho passato l’ultimo quarto di secolo combattendo per gli uomini e le donne che lavorano, della classe media negli Stati Uniti d’America”.
Bill Clinton:
“La nostra Amministrazione ha fatto tutto quanto poteva […] per condividere le nostre aspirazioni e i nostri valori non in astratto ma in modi concreti che diano vantaggi immediati al popolo americano” (Freedom House di Washington, 6 ottobre 1995).
“È per questo che siamo qui a Cleveland. Non per salvare il Partito democratico ma gli Stati Uniti d’America”.
“Ma vi chiedo anche di continuare a essere americani, di pensare non solo a ricevere ma anche a dare, non solo ad attribuire colpe ma anche ad assumervi responsabilità, a preoccuparvi non solo di voi stessi ma anche degli altri”.
“Dissi che il popolo americano non voleva ‘la coabitazione tra il presidente di un partito e il Congresso di un altro… destinata ad alimentare una politica fatta di deplorevoli battibecchi su questioni futili e di estrema faziosità’, voleva invece che i politici lavorassero insieme alla realizzazione della ‘missione dell’America’”> (10).
Barack Obama:
“Ciò che ci ha impedito di far fronte a queste sfide non è la mancanza di politiche valide e di programmi adeguati. A impedircelo è stato il fallimento della leadership, il basso profilo della nostra politica, la facilità con cui ci lasciamo sviare dalle meschinità e dalle volgarità, la cronica tendenza a svicolare di fronte alle decisioni importanti, a preferire risultati politici modesti piuttosto che rimboccarsi le maniche e costruire un consenso adeguato per aggredire i problemi seri”
“Ecco perché oggi io mi candido. Non tanto per ricoprire una carica, ma per unirmi a voi e trasformare una nazione”.
“Non mi sono candidato alla presidenza per soddisfare un’ambizione coltivata da tempo, o perché credevo che in qualche modo mi fosse dovuto. Ho deciso di candidarmi per quello che Martin Luther King definiva ‘la feroce urgenza dell’adesso’. Perché siamo a un passaggio cruciale della nostra storia”.
“Il nostro spirito americano – quella promessa americana – […] ci porta a fissare lo sguardo non verso ciò che si vede, ma verso ciò che non si vede, verso quel posto migliore che sta dietro l’angolo” (11).
“La vera forza della nostra nazione non nasce dalla potenza delle nostre armi o dalla portata della nostra ricchezza, ma dal potere inesauribile dei nostri ideali: democrazia, libertà, opportunità, speranza incondizionata” (12).
Matteo Renzi usò l’epanortòsi, riguardo alla sconfitta nel referendum costituzionale del 4 dicembre 2016, in maniera particolarmente efficace, associandola al climax. Nella relazione all’assemblea nazionale del Partito democratico, il 18 dicembre, a Roma, sostenne:
“Non abbiamo perso. Abbiamo straperso” (è evidente la gradazione ascendente nella sequenza di “perso” e “straperso”).
Come già nella conferenza stampa del 5 dicembre, accettò lo smacco con grande eleganza, ricorrendo allo strumento retorico dell’ethos, in quanto proponeva un’immagine di persona leale, al contrario di certi politici che vanno sempre alla ricerca di giustificazioni per i loro insuccessi elettorali.
Si trovano esempi di correzione perfino in un genere assolutamente diverso di comunicazione, qual è la poesia; più precisamente in un testo poetico di Gabriele D’Annunzio:
“[…] non bianca / ma quasi fatta virente, / par da scorza tu esca” (La pioggia nel pineto, vv. 99-101)
e in uno di Eugenio Montale:
“Non il grillo ma il gatto / del focolare / or ti consiglia […]” (A Liuba che parte, vv. 1-3).
Concludiamo con un capolavoro della letteratura. Nella prima sequenza del capitolo VIII del romanzo I Promessi Sposi, dedicata al matrimonio per sorpresa, si parla dello scambio dei ruoli dei personaggi:
“Renzo, che strepitava di notte in casa altrui, che vi s’era introdotto di soppiatto, e teneva il padrone stesso assediato in una stanza, ha tutta l’apparenza d’un oppressore; eppure, alla fin de’ fatti, era l’oppresso. Don Abbondio, sorpreso, messo in fuga, spaventato, mentre attendeva tranquillamente a’ fatti suoi, parrebbe la vittima; eppure, in realtà, era lui che faceva un sopruso. Così va spesso il mondo… Voglio dire, così andava nel secolo decimo settimo…”.
Possiamo considerare quella contenuta nel commento finale una falsa ritrattazione, giacché il narratore dà l’impressione di pensare pessimisticamente che in verità la situazione non sia cambiata e forse non cambierà mai.
Note
(1) Pierre Fontanier, Les figures du discours, 1991, pp. 408-409, in Olivier Reboul, Introduzione alla retorica, Il Mulino, 1996, p. 167. Nell’avvertenza alla fine della prefazione al suo saggio, Reboul constata che “al primo approccio, la retorica scoraggia per il suo vocabolario”. E ironicamente puntualizza: “Importa dunque sapere che l’epanortòsi non è una malattia della pelle”, ma “è una correzione retorica, che produce un effetto di sincerità”. Formule funzionali alla modifica possono essere: “o piuttosto”, “a dire il vero”, “anzi”, “per meglio dire”, “ma che dico?” ecc.
(2) Chaïm Perelman, Lucie Olbrechts-Tyteca, Trattato dell’argomentazione. La nuova retorica, Einaudi, 2013, p. 503.
(3) Retorica ad Erennio, IV, 26, 36.
(4) Gli argomenti, nel senso di ragionamenti a favore di una tesi, vengono definiti luoghi comuni, quando se ne fa un uso frequente, che risponde a opinioni diffuse. “Luogo” è la traduzione del greco tópos. Il plurale tópoi indicava originariamente le sedi, dove sono conservati. Essi ancora oggi sono presenti nella memoria collettiva.
(5) Chaïm Perelman, Lucie Olbrechts-Tyteca, op. cit., p. 71.
(6) John F. Kennedy, La nuova frontiera. Scritti e discorsi (1958-1963), Donzelli Editore, 2009, p. 62.
(7) Chaïm Perelman, Lucie Olbrechts-Tyteca, op. cit., p. 87.
(8) Olivier Reboul, op. cit., p. 21.
(9) John F. Kennedy, op. cit., p. 59.
(10) Bill Clinton, My Life, Mondadori, 2004, pp. 390, 475, 798.
(11) Barack Obama, La promessa americana. Discorsi per la presidenza, Donzelli, 2008, pp. 6-7, 11-12, 121, 181.
(12) Luciano Clerico, Barack Obama. Come e perché l’America ha scelto un nero alla Casa Bianca, Edizioni Dedalo, 2008, pp. 262-263.