L’opera Alla sera è un sonetto, un componimento poetico formato da quattordici versi endecasillabi, riuniti in quattro strofe, le prime due di quattro (quartine) e le ultime due di tre (terzine) e con rima alternata, secondo lo schema ABAB ABAB CDC DCD.
Il motivo centrale* è la figura retorica* dell’apostrofe, dal momento che l’autore non si indirizza al lettore (il destinatario reale, convenzionale), ma alla sera (un destinatario diverso), la quale essendo una cosa diviene oggetto di personificazione. Di essa si contano due ulteriori occorrenze riguardo al tempo e allo spirito: “e intanto fugge / questo reo tempo” (vv. 10-11) e “dorme / quello spirto guerrier ch’entro mi rugge” (vv. 13-14).
Il tema fondamentale è costituito dalla somiglianza fra la sera e la morte, giacché tutte e due apportano serenità e viene sviluppato evidentemente con la similitudine: “della fatal quiete / tu sei l’immago” (vv. 1-2). Al contrario del primo termine di paragone, il secondo non è designato direttamente, ma con la circonlocuzione, classificata da Chaïm Perelman e Lucie Olbrechts-Tyteca fra le figure della scelta, perché “l’effetto o uno degli effetti […] è quello di imporre o suggerire una scelta”. L’obiettivo dunque è di “dar rilievo ad alcuni aspetti di una realtà che rischierebbero di rimanere oscuri” (Trattato dell’argomentazione. La nuova retorica, Einaudi, 2013, p. 187): nello specifico abbiamo “fatal quïete” (v. 1), ossia “pace voluta dal destino” e “nulla eterno” (v. 10). Nel secondo caso la fine della vita è vista quindi come “annullamento di ogni cosa per sempre”. Emerge una concezione ateistica. Ne consegue la possibilità di formulare una tesi con un semplice giro di parole.
La metonimia del sesto verso rientra invece fra le figure della presenza, che “hanno per effetto di rendere attuale alla coscienza l’oggetto del discorso” (Chaïm Perelman e Lucie Olbrechts-Tyteca, op. cit., p. 189). L’immagine evocata è più viva grazie alla concretezza delle “tenebre”; mentre risulterebbe più debole, se si parlasse astrattamente di notti.
“Torme”, che si trova alla fine dell’undicesimo verso, è il perfetto anagramma di “morte”. Mediante questo fenomeno, di cui si è occupato Jean Starobinski (Le parole sotto le parole. Gli anagrammi di Ferdinand de Saussure, il melangolo edizioni, 1982), il poeta, consciamente o inconsciamente, fa percepire un termine al lettore subliminalmente, cioè al di sotto del livello della sua coscienza, vale a dire senza che egli se ne renda conto. La parola tematica che non viene mai riportata, è inclusa parzialmente in “corteggian” (v. 3), “orme” (v. 9), “eterno” (v. 10), “reo tempo” (v. 11), “mentre” (v. 13). Inoltre risuona per mezzo del paragramma* in “dorme” (v. 13) e in “entro” (v. 14). Con le consonanti /m/ e /t/ di “morte” le consonanti /n/ e /d/, rispettivamente in “entro” e in “dorme”, hanno una certa affinità, in quanto si differenziano per un solo tratto distintivo: /m/ è una labiale e /n/ è un’alveolare; /t/ è sorda e /d/ è sonora.
Anche la parola chiave “sera” si nasconde in parte all’interno di altre: “forse” (v. 1), “sereni” (v. 4), “aere” (v. 5), “universo” (v. 6), “sempre (v. 7), “secrete” (v.7), “pensier” (v. 9).
Riguardo alla sintassi, si contano varie occorrenze dell’anastrofe. Ecco la struttura regolare delle frasi interessate: “O sera, tu vieni sì cara a me, forse perché sei l’immago della fatal quïete” (vv. 1-3); “E quando le nubi estive liete e i zeffiri sereni ti corteggian e quando meni tenebre inquïete e lunghe all’universo dall’aere nevoso, scendi sempre invocata e tieni soavemente le vie secrete del mio cor” (vv. 3-8); “Mi fai vagar co’ miei pensier su l’orme che vanno al nulla eterno e intanto questo tempo reo fugge e le torme delle cure, onde egli si strugge meco, van con lui” (vv. 9-12); “Quello spirto guerrier, ch’entro mi rugge, dorme” (vv. 13-14).
Tale procedimento è molto frequente in poesia, visto che risponde a esigenze particolari: si utilizza precisamente per motivi metrici e ritmici, ovvero per risolvere problemi relativi alla misura dei versi e ai loro accenti e alla rima. Riguardo al metro, permette di ricorrere alla sinalefe. A proposito di un simile artificio, osserviamo che nel quarto verso davanti a “zeffiri” s’impiega l’articolo “i” e non, come sarebbe più corretto, l’articolo “gli”. La licenza poetica è giustificata dalla necessità di diminuire il numero delle sillabe (nella fattispecie da quattordici grammaticali a undici metriche): “le nubi estive e i zeffiri sereni”.
Una riduzione si può ottenere ugualmente con la sineresi, della quale si registrano i seguenti esempi: “vie del mio cor soavemente tieni” (v. 8) e “questo reo tempo, e van con lui le torme” (v. 11). All’opposto abbiamo la dieresi, in “quïete” (v. 1) e “inquïete” (v. 5), con cui si passa da dieci sillabe grammaticali a undici metriche.
Le espressioni “immago” (immagine) nel secondo verso, “aere” (cielo) nel quinto verso e “torme delle cure” (grandi quantità di affanni) nei versi 11-12 sono – non c’è bisogno di dirlo – rare e perciò preziose e appunto poetiche. Svolgono una funzione d’insistenza, utile per attirare l’attenzione e per rafforzare l’idea che si vuole trasmettere. Per raggiungere lo stesso obiettivo vengono in aiuto i diversi tipi di metaplasmo, come l’apocope (“fatal” nel primo verso, “corteggian” nel terzo, “vagar” e “pensier” nel nono, “van” nell’undicesimo, “guerrier” nel quattordicesimo) e la sincope (“spirto” nel quattordicesimo verso). Nel vocabolo “cor” (v. 8) si riscontra la presenza di entrambe.
Nell’analisi degli aspetti formali della poesia non possiamo tralasciare di trattare dell’enjambement. Ecco alcuni casi nel sonetto Alla Sera: “inquïete / tenebre” (aggettivo-sostantivo) nei vv. 5-6, “secrete / vie” (aggettivo-sostantivo) nei vv. 7-8, “fugge / questo reo tempo” (predicato verbale-soggetto) nel vv. 10-11, “torme / delle cure” (sostantivo-complemento di specificazione) nei vv. 11-12, “dorme / quello spirto guerrier” (predicato verbale-soggetto) nel vv. 13-14.
Bibliografia
Gianfranca Lavezzi, Breve dizionario di retorica e stilistica, Carocci, 2004.
Angelo Marchese, Dizionario di retorica e di stilistica, Oscar Studi Mondadori, 1978.
Bice Mortara Garavelli, Manuale di retorica, Bompiani, 1988.
Federico Roncoroni, Testo e contesto, Arnoldo Mondadori Editore, 1985.