Indugio (o commoratio)

È una figura retorica di enumerazione costituita dalla ripetizione di una stessa idea, di un medesimo concetto, in forme linguistiche diverse. Bice Mortara Garavelli distingue fra parafrasi interpretativa (o interpretatio) e ritocco (o expolitio). La prima “consiste nell’accostare a un enunciato un altro equivalente, col risultato di chiarire e arricchire il pensiero già espresso” (Manuale di retorica, Bompiani, 1991, p. 238).

Essa è funzionale alla spiegazione di un termine tecnico. Così la usò Silvio Berlusconi riguardo al concetto di “sussidiarietà”: “Che cosa vuol dire? Che lo Stato deve intervenire soltanto quando è necessario il suo sussidio, il suo aiuto ai cittadini – perché questi cittadini, da soli, non ce la fanno (…) Il che significa (…) che tutte le volte che i cittadini, da soli o attraverso le loro organizzazioni (…) riescono a raggiungere quei beni e quei servizi che ritengono a loro utili (…) lo Stato si deve astenere dall’intervenire” (Riportato in Giorgio Fedel, “Parola mia. La retorica di Silvio Berlusconi”, in Il Mulino, n° 3, 2003, pp. 472-473).

La seguente occorrenza si deve a Walter Veltroni: “Smettiamola con il ‘benaltrismo’ della politica. Quando si pone un problema, c’è sempre uno che ti dice ‘ma no: il problema è un altro’” (Riportato in Riccardo Gualdo, M. Vittoria Dell’Anna, La faconda Repubblica. La lingua della politica in Italia (1992-2004), Manni, 2004, p. 142).

Anche Emma Bonino, quando impiega una parola specifica, se indispensabile, ne spiega il significato (“la famosa devolution, cioè il passaggio di funzioni dallo Stato alle Regioni”).

In tal modo l’emittente del messaggio dimostra di possedere uno stile di comunicazione attento alle esigenze del ricevente. Il ritocco invece è una strategia di rafforzamento, che si attua con “un ritornare sullo stesso tema, o sul nucleo di questo, aggiungendo informazioni complementari e variando l’espressione” (Bice Mortara Garavelli, ibidem). Ecco alcuni esempi classici:

“Cotesti occhi tuoi sono formati alla impudenza, il volto all’audacia, la lingua agli spergiuri, le mani alle rapine, il ventre all’ingordigia… i piedi alla fuga: dunque sei tutto malvagità” (Giambattista Vico).

“Fino a quando abuserai, o Catilina, della nostra pazienza? Per quanto tempo ancora codesta tua follia si prenderà gioco di noi? Fin dove si spingerà questa tua sfrenata insolenza?” (Cicerone, attacco della prima catilinaria).

Nel discorso politico dei nostri tempi, al ritocco fece ricorso Silvio Berlusconi: “Gli avversari sono divisi, al tappeto, alla disperazione, allo sbando”, “Il loro credo è il centralismo, il dirigismo, lo statalismo”, “Ma bisogna entrare dentro questa opportunità, ed essere capaci di goderne, di sfruttarla, di utilizzarla”, “Oggi in Italia c’è troppo Stato, troppe leggi, troppi divieti, troppe regole, troppa burocrazia, troppi controlli” (Riportato in Giorgio Fedel, op. cit., pp. 467-468).

Così lo utilizzò Romano Prodi, in occasione delle elezioni del 1996, paragonandosi implicitamente a Silvio Berlusconi: “Un vero leader deve essere serio, mica fare spettacolo. Io sono ruspante, genuino. Non faccio le mossette, i sorrisini. Non mi metto a gridare come un matto. Non mi lascio tingere la faccia con il cerone, perché non sono un personaggio finto, tipo Beautiful” (Riportato in Corriere della Sera, 11 aprile 1996, p. 4).

Durante la stessa campagna elettorale, in un confronto diretto con Romano Prodi nel programma Linea Tre, trasmesso dalla Rai il 12 aprile, Silvio Berlusconi lo impiegò in un modo che si potrebbe definire autolesionistico: infatti rafforzò un’accusa che veniva mossa contro di lui. Ecco la trascrizione della parte del dialogo in cui ciò avvenne:

Prodi: “In cambio di frequentazioni ha avuto frequenze”

Berlusconi: “Assurdo. Che significa, che andavo a merenda con Forlani o a cena con Craxi e avevo frequenze…”

Prodi: “Sì, è così”

(Riportato in Roberto Grandi, Prodi. Una campagna lunga un anno, Lupetti/Piero Manni, 1996 , p. 95).

Come si vede, rispetto alla parola, piuttosto generica, “frequentazioni”, usata da Prodi per attaccarlo, Berlusconi disse qualcosa di più (“andavo a merenda con Forlani o a cena con Craxi”), con cui specificò l’attribuzione della colpa, creando inoltre un effetto di realtà.

Con il seguente intervento Romano Prodi si muoveva fra parafrasi interpretativa e ritocco: “Replicando a Berlusconi, davanti alla platea dei commercianti milanesi, mi sono posto nella posizione diametralmente opposta alla sua. Ho detto, davanti ad una platea che si aspettava un atteggiamento particolare, che il mio intento era quello di usare di fronte a loro le medesime parole che avrei detto a tutti i 57 milioni di italiani. Cosa volevo dire? Che è da irresponsabili girare per l’Italia facendo promesse grandi e diverse di fronte ad ogni platea, sapendo che queste promesse non hanno alcuna possibilità di essere mantenute tutte insieme. Sapendo, addirittura, che queste promesse sono tra di loro in contraddizione. Non si possono promettere detassazioni a tutti e su tutto. Non si può al Sud promettere sicurezza per ogni posto di lavoro pubblico e al Nord bollare come ‘improduttivi’ sette dipendenti pubblici su dieci” (Riportato in La Repubblica, 28 marzo 1996, pp. 1-2).

Voce a cura di Giorgio Matza