Pascoli, Giovanni, X agosto, 1891

È un’opera costituita da sei quartine di versi decasillabi e novenari con rima alternata. Tra “perdono” (v. 14) e “dono” (v. 16) c’è una rima a eco e una rima ricca. Inoltre dà l’opportunità di soffermarsi sull’isomorfismo: le due parole non si somigliano solo per il suono, ma si equivalgono morfologicamente (sono di genere maschile e di numero singolare), sintatticamente (svolgono la funzione di sostantivo) e semanticamente (appartengono al medesimo campo di significato della generosità). L’unione di termini collegati fonologicamente può addirittura produrre un senso logico, come “tanto” nel primo verso e “pianto” nel terzo verso, “immortale” nel verso 22 e “Male” nel verso 24 (ovviamente è preferibile la successione “Male immortale”).

Nel terzo verso il paragramma è associato all’omoteleuto (“arde” e “cade”) e nel verso 12 l’allitterazione non ha la sua ragione in sé, ma serve all’armonia imitativa e quindi all’iconismo fonosimbolico: si riproduce, infatti, proprio il cinguettio degli uccellini: “pigola”, “più”, “piano”.

Al pari di ogni figura fonica, una musicalità crea l’enjambement. Eccone qualcuno: “tanto / di stelle” nei vv.1-2 (soggetto + complemento di specificazione), “tende / quel verme” nei vv. 9-10 e “addita / le bambole” nei vv. 19-20 e “inondi / quest’atomo” nei vv. 23-24 (predicato verbale + complemento oggetto), “mondi / sereni” nei vv. 21-22 ( sostantivo + aggettivo).

Allo scopo di collocare un certo vocabolo alla fine di un verso, per rispettare lo schema rimico, talvolta si deve ricorrere all’anastrofe. È palese già nella prima strofa: “San Lorenzo, io lo so perché tanto / di stelle per l’aria tranquilla / arde e cade, perché si gran pianto / nel concavo cielo sfavilla” e non “San Lorenzo, io lo so perché tanto di stelle arde e cade per l’aria tranquilla, perché si gran pianto sfavilla nel concavo cielo”. Troviamo nel verso 7: “Ella aveva nel becco un insetto” (e nel verso 5 “tetto”), nel verso 15: “E restò negli aperti occhi un grido” (e nel verso 13 “nido”), nel verso 23: “Oh! D’un pianto di stelle lo inondi” (e nel verso 21 “mondi”).

L’uso della figura retorica di cui stiamo parlando risponde pure a un’esigenza concernente il metro, cioè la misura dei versi, giacché permette di attuare la sinalefe. Grazie a essa le dodici sillabe grammaticali del verso 5 diventano dieci sillabe metriche: “Ritornava una rondine al tetto”. Senza che sia necessario modificare la sequenza lessicale, una riduzione si registra ugualmente, per limitarci agli esempi più evidenti, nel verso 18 (“lo aspettano, aspettano in vano”), nel verso 19 (“egli immobile, attonito, addita”) e nel verso 22 (“sereni, infinito, immortale”).

Il motivo centrale, il “procedimento retorico […] che funge da principio organizzatore del testo” (Olivier Reboul, Introduzione alla retorica, Il Mulino, 1996, p. 197), è il movimento circolare, dovuto all’epanadiplosi. In sostanza, sia nella prima, sia nell’ultima strofa, attraverso l’immagine dello sciame meteorico, con l’impiego di “pianto” (v. 3), con riferimento a “stelle” (v. 2) e di “pianto di stelle” (v. 23), si esprime l’idea del dolore a causa della cattiveria dominante sulla terra.

Il nostro pianeta è indicato nell’ultimo verso (e dunque in una posizione strategica per colpire l’attenzione del lettore) con il sintagma “atomo opaco del Male”, ossia con una circonlocuzione. Essa viene classificata da Chaïm Perelman e Lucie Olbrechts-Tyteca tra le figure della scelta, perché “l’effetto o uno degli effetti […] è quello di imporre o suggerire una scelta”. L’obiettivo di conseguenza è di “dar rilievo ad alcuni aspetti di una realtà che rischierebbero di rimanere oscuri” (Trattato dell’argomentazione. La nuova retorica, Einaudi, 2013, p. 187).

La riflessione sulla malvagità umana è il tema fondamentale. Il poeta lo sviluppa nelle strofe II, III, IV e V, raccontando l’omicidio del padre (avvenuta il 10 agosto 1867), che è in rapporto di analogia con l’uccisione di una rondine. Nel verso 9 il volatile, con una similitudine implicita, con un’efficace rappresentazione comprendente un emblema della sofferenza, è paragonato a Cristo: “Ora è là, come in croce”.

Il piano temporale, sul quale si svolge l’azione, cambia, mediante il flashback, dal presente (“Io lo so perché tanto di stelle per l’aria tranquilla arde e cade”) al passato (“Ritornava una rondine al tetto: l’uccisero”, “Anche un uomo tornava al suo nido: l’uccisero”).

Riguardo alla circolarità dell’opera, c’è perfino l’iterazione dell’apostrofe e della personificazione all’inizio e alla fine: ci si rivolge rispettivamente alla notte di San Lorenzo e al cielo, quasi fossero esseri umani.

Nel verso 18 si rileva un’occorrenza dell’anadiplosi: “Lo aspettano, aspettano in vano”. A proposito della peculiare costruzione, è interessante un’osservazione di Perelman e Olbrechts-Tyteca: “In questo caso il risultato della ripetizione non è soltanto quello di raddoppiare l’effetto di presenza per mezzo della ripetizione, la seconda enunciazione del termine sembra caricata di valore e la prima, per reazione, sembra riferirsi esclusivamente a un fatto” (op. cit., p. 190).

Nella parte centrale (vv. 5-20), si distingue chiaramente il parallelismo, la corrispondenza tra vari versi per il contenuto semantico ed emotivo o per la struttura sintattica o per la ripresa delle stesse parole: “Ritornava una rondine al tetto: / l’uccisero: cadde tra spini” (vv. 5-6) e “Anche un uomo tornava al suo nido: / l’uccisero: disse: Perdono” (vv. 13-14); “ella aveva nel becco un insetto” (v. 7) e “portava due bambole in dono” (v. 16); “Ora è là, come in croce, che tende / quel verme a quel cielo lontano” (vv. 9-10) e “egli immobile, attonito, addita / le bambole al cielo lontano” (vv. 19-20); “e il suo nido è nell’ombra, che attende, / che pigola sempre più piano” (vv. 11-12) e “Ora là, nella casa romita, / lo aspettano, aspettano in vano” (vv. 17-18).

In poesia è frequente il ricorso alle figure retoriche, incentrate sul rimpiazzo di un elemento linguistico con un altro. Nel verso 3 abbiamo la metafora “pianto” per “pioggia di stelle cadenti”; nel verso 5 la sineddoche “tetto” per “nido” (il tutto per la parte); nel verso 11 la metonimia “nido” per “uccellini” (il contenente per il contenuto). Nel verso 13 ritroviamo “nido”, ma nel significato metaforico di “casa”: è un esempio di diàfora.

Parola chiave nella produzione letteraria di Giovanni Pascoli, si nasconde all’interno di “rONDIne” nel verso 5, “rONDInini” nel verso 8, “mONDI” nel verso 21, “inONDI” nel verso 23,  “IN DOno” nel verso16.

Di tale fenomeno si è occupato Jean Starobinski (Le parole sotto le parole. Gli anagrammi di Ferdinand de Saussure, il melangolo edizioni, 1982). Sulla base di esso, l’autore, consciamente o incon­sciamente, fa percepire un vocabolo al lettore subliminalmente, al di sotto del livello della sua coscienza, vale a dire senza che egli se ne renda conto.

Un’ultima annotazione concerne la sinestesia del verso 15: “E restò negli aperti occhi un grido”, pur non essendoci in realtà un’unione, ma un semplice accostamento tra “occhi” (vista) e “grido” (udito).

Testo della poesia X agosto di Giovanni Pascoli

San Lorenzo, io lo so perché tanto
di stelle per l’aria tranquilla arde e cade,
perché sì gran pianto
nel concavo cielo sfavilla.

Ritornava una rondine al tetto:
l’uccisero: cadde tra spini:
ella aveva nel becco un insetto:
la cena de’ suoi rondinini.

Ora è là, come in croce, che tende
quel verme a quel cielo lontano;
e il suo nido è nell’ombra, che attende,
che pigola sempre più piano.

Anche un uomo tornava al suo nido:
l’uccisero: disse: Perdono;
e restò negli aperti occhi un grido:
portava due bambole in dono…

Ora là, nella casa romita,
lo aspettano, aspettano in vano:
egli immobile, attonito, addita
le bambole al cielo lontano.

E tu, Cielo, dall’alto dei mondi
sereni, infinito, immortale,
oh! d’un pianto di stelle lo inondi
quest’atomo opaco del Male!

Bibliografia

Gianfranca Lavezzi, Breve dizionario di retorica e stilistica, Carocci, 2004.

Angelo Marchese, Dizionario di retorica e di stilistica, Oscar Studi Mondadori, 1978.

Bice Mortara Garavelli, Manuale di retorica, Bompiani, 1988.

Federico Roncoroni, Testo e contesto, Arnoldo Mondadori Editore, 1985.

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