È l’anticipazione di un argomento, solitamente per confutarlo. Secondo Pierre Fontanier, “consiste nel prevenire o nel ripetere in anticipo un’obiezione che si potrebbe subire, o che potrebbe dar l’occasione di aggiungere nuove ragioni a quelle già allegate” (Les figures du discours, 1991, citato in Olivier Reboul, Introduzione alla retorica, Il Mulino, 1996, p. 169).
Nell’ottavo capitolo del romanzo I Promessi Sposi, Tonio, davanti a don Abbondio per pagare un suo debito, esordisce così: “Dirà il signor curato, che son venuto tardi”.
Nella sua prima corsa alla Casa Bianca, George W. Bush, per neutralizzare i probabili attacchi per la giovanile irresponsabilità, sosteneva: “Quando ero giovane ed irresponsabile, ero giovane ed irresponsabile”.
Ancora oggi, a distanza di venticinque anni, si ricorda una famosa pubblicità, realizzata dall’agenzia Young & Rubicam di Londra per la Pirelli. Nella foto si vede il testimonial Carl Lewis in posizione di partenza per una gara. Un particolare attira l’attenzione: l’atleta statunitense indossa scarpe femminili con tacchi a spillo. Lo slogan (ciò che a noi maggiormente interessa) era stato inventato dal copywriter, allora ventiduenne, Ewan Paterson: “La potenza è nulla senza il controllo”. In qualche modo sembra fondato sulla volontà di bloccare un eventuale rilievo, riguardo alla sempre più elevata velocità (e pericolosità) delle automobili, garantendo sicurezza per mezzo degli pneumatici reclamizzati.
Tale procedimento, per Chaïm Perelman e Lucie Olbrechts-Tyteca, ha una funzione argomentativa: “Se per esempio l’oratore introduce nel suo periodo delle obiezioni, per rispondervi egli stesso, siamo in presenza di una figura, la prolessi, che sarà solo una finzione. Le obiezioni possono essere evidentemente immaginarie, ma può essere importante mostrare che si erano intraviste delle obiezioni possibili e se ne era tenuto conto” (Trattato dell’argomentazione. La nuova retorica, Einaudi, 2013, pp. 183-184).
Nelle elezioni del 2008, lo impiegò Barack Obama:
“Mi presento a voi oggi per annunciare la mia candidatura come presidente degli Stati Uniti. Riconosco che c’è una certa presunzione, una certa audacia in questo annuncio. So di non aver dedicato molto tempo a imparare le abitudini di Washington, ma ci sono stato abbastanza per capire che devono cambiare” (La promessa americana. Discorsi per la presidenza, Donzelli, 2008, p. 5).
“So che c’è chi non crede che possiamo fare tutte queste cose. Capisco questo scetticismo. Dopo tutto, ogni quattro anni, candidati di entrambe le parti fanno promesse simili, e non mi aspetto che quest’anno sarà diverso […] Ecco perché questa campagna non può essere incentrata solo su di me. Deve essere incentrata su di noi, deve essere incentrata su quel che possiamo fare insieme. Questa campagna dev’essere l’occasione, il veicolo, delle vostre speranze e dei vostri sogni” (Ivi, pp. 10-11).
“So che c’è chi liquida queste convinzioni come belle parole. So che si dice che il nostro insistere su qualcosa di più ampio, più costruttivo e più onesto nella vita pubblica non è che un cavallo di Troia per arrivare a tasse più alte e all’abbandono dei valori tradizionali. Ed è ovvio. Perché se non hai nessuna idea fresca, non puoi che ricorrere alle tattiche stantie buone solo a spaventare gli elettori. Se non hai un obiettivo a cui puntare, puoi solo dipingere il tuo avversario come qualcuno da cui la gente farebbe meglio a scappare” (ivi, pp. 179-180).
Il passo seguente costituisce l’inizio di un editoriale pubblicato da un quotidiano italiano: “Non nutriamo alcun pregiudizio verso l’onorevole Silvio Berlusconi, cui anzi talvolta accordiamo l’istintiva simpatia che merita chiunque svolga compiti enormemente superiori alle proprie possibilità” (Guido Rampoldi, “Quando il Cavaliere aprì a Milosevic”, la Repubblica, 27 febbraio 2004, p. 1).
Nel suo intervento al congresso del Partito conservatore di Brighton, nell’ottobre del 1980, Margaret Thatcher utilizzò un tipo di oratoria, che potremmo definire ingannevole. In pratica si avvalse di elementi della prolessi e della preterizione in maniera capziosa.
Relativamente alla prolessi, a sostegno della tesi, formulata così da Mark Thompson: “la disoccupazione non è grave come dicono i nostri avversari”, finse di opporsi a ragioni, che invece condivideva, attribuendole a suoi ipotetici interlocutori: “Ora potete tentare di ammorbidire in decine di modi questa cifra. Potete puntualizzare, ed è abbastanza legittimo, che due milioni oggi non significa quello che significava negli anni trenta, che la percentuale di disoccupati è molto inferiore rispetto a quei tempi. Potete aggiungere che oggi ci sono molte più donne sposate che lavorano. Potete sottolineare che, data l’elevata natalità degli anni sessanta, c’è un numero insolitamente alto di giovani usciti da scuola che quest’anno cercano lavoro e altrettanto varrà nei prossimi. Potete segnalare che circa un quarto di milione di persone trova lavoro ogni mese uscendo dalle liste di disoccupazione. E potete ricordare che ci sono già quasi 25 milioni di persone occupate rispetto agli appena 18 milioni circa degli anni trenta. Potete puntualizzare anche che il Partito laburista trascura comodamente il dettaglio che, dei due milioni di disoccupati che ci imputano, quasi un milione e mezzo ci è stato lasciato dal loro governo. Detto tutto questo, rimane il fatto che oggi il livello di disoccupazione nel nostro paese è una tragedia umanitaria”.
Riguardo alla preterizione, come ha osservato Thompson, “il primo ministro riesce a enumerare tutti i motivi per cui ritiene che i dati sulla disoccupazione siano in realtà meno negativi di quanto sembrano, senza dirlo realmente”.
(La fine del dibattito pubblico. Come la retorica sta distruggendo la lingua della democrazia, Feltrinelli, 2017, p. 72).
In un filmato pubblicitario televisivo si offriva con un tono umoristico la soluzione di un problema prima ancora che venisse posto. Così ne ha riassunto il contenuto Mark Tungate: “Lo spot mostrava un uomo che offriva un bicchiere di Aspro Clear a una donna, presumibilmente sua moglie, accanto a lui nel letto. ‘Ma… non ho mal di testa’, diceva la donna. ‘Benissimo’, replicava l’uomo, sorridendo in modo lascivo” (Storia della pubblicità. Gli uomini e le idee che hanno cambiato il mondo, Franco Angeli, 2010, p. 283).
Con un po’ di senno, forse è possibile considerare come una variante del procedimento che stiamo prendendo in esame le “accuse rovesciabili”, le quali sono, secondo Marina Sbisà, “affermazioni che ascrivono agli avversari qualche caratteristica negativa, che però da un altro punto di vista potrebbe essere ascritta anche alla parte che avanza le accuse in questione”. E così, nella campagna elettorale del 1994, “le destre hanno sostenuto che le sinistre non erano affidabili perché divise […]; che le sinistre non potevano rappresentare il ‘nuovo’ perché avevano troppi legami con il passato […]; o persino che, se avessero vinto le sinistre, non ci sarebbe stata più libertà d’informazione perché oltre alla Rai si sarebbero prese anche le reti private”. L’autrice giudica “un’inquietante strategia persuasiva” quella consistente nell’“anticipare, rivolgendole agli avversari, delle critiche cui lo schieramento berlusconiano avrebbe potuto essere esposto” (“Politica e racconto: il caso delle elezioni italiane del 1994”, in Polis, X, 2, agosto 1996, pp. 206 e 207).
Il termine “prolessi” si usa anche per indicare una figura retorica di carattere sintattico, che consiste nell’anticipare, solitamente per mezzo di un pronome, una o più parole o un’intera frase. Numerose occorrenze si rilevano in poesia. Eccone qualcuna:
“Tu questo hai della rondine: / le movenze leggere” (Umberto Saba, A mia moglie, vv. 73-74)
“Codesto solo oggi possiamo dirti, / ciò che non siamo, ciò che non vogliamo” (Eugenio Montale, Non chiederci la parola, vv. 11-12).
S’impiega pure nel discorso politico. Per le elezioni del 21 aprile 1996, in polemica con Gianfranco Fini, Massimo D’Alema affermò: “Quanto alla sua destra democratica, dico solo questo: quando vedo i suoi saltare i banchi in Parlamento per picchiare chi non la pensa come loro, l’impressione non è propria quella di un gruppo democratico, come i conservatori inglesi, ma di squadristi del MSI” (La Repubblica, 25 marzo 1996, p. 3).
Un altro caso si deve a Barack Obama: “Io questo so, Houston: se mai qualcosa di buono è avvenuto nella storia di questa nazione è stato perché da qualche parte qualcuno credeva nella propria speranza” (Riportato in Luciano Clerico, Barack Obama. Come e perché l’America ha scelto un nero alla Casa Bianca, Edizioni Dedalo, 2008, p. 137).
Può coincidere con un ragionamento meta-testuale, come risulta chiaro in tali estratti dalla elocuzione rispettivamente di Bill Clinton e di Al Gore:
“Stasera, nel modo più semplice possibile, voglio dirvi chi sono, in cosa credo e dove voglio portare l’America” (1992)
“Vorrei dirvi qualcosa su di me” (2000).
Una simile forma espressiva svolge la funzione di tecnica dell’insistenza, in quanto se ne avvale l’emittente del messaggio per attirare o ravvivare l’attenzione del ricevente e per rafforzare un concetto.
Nell’analisi del testo narrativo con il vocabolo “prolessi” (ma possiamo sostituirlo con l’espressione inglese di origine cinematografica “flashforward”) si designa il procedimento con cui si anticipa un evento posteriore al punto della storia in cui ci si trova. Per esempio, nel terzo capitolo del romanzo I Promessi Sposi, nella parte in cui si riproduce il colloquio fra Renzo e Azzecca-garbugli, leggiamo:
“Mi scusi, signor dottore. Vorrei sapere se, a minacciare un curato, perché non faccia un matrimonio, c’è penale”.
– Ho capito, – disse tra sé il dottore, che in verità non aveva capito. – Ho capito –
Infatti, andando avanti nella lettura, scopriamo un colossale equivoco: l’avvocato scambia per l’autore del reato il giovane e onesto lavoratore che ne è vittima. Ed ecco la reazione di quest’ultimo, quando se ne rende conto: “Oh! Signor dottore, come l’ha intesa? L’è proprio tutta al rovescio. Io non ho minacciato nessuno; io non fo di queste cose, io: e domandi pure a tutto il mio comune, che sentirà che non ho mai avuto che fare con la giustizia. La bricconeria l’hanno fatta a me; e vengo da lei per sapere come ho da fare per ottener giustizia”.