Il monologo di Marco Antonio nella tragedia di Shakespeare viene considerato un esempio di ordine crescente nella ideazione della scaletta del discorso. Al funerale di Cesare, Marco Antonio pronuncia il discorso “Amici, romani, cittadini,
datemi ascolto”. L’obiettivo dell’oratore è condurre gradualmente il suo uditorio contro i cospiratori Bruto e Cassio, responsabili della morte di Cesare. Il
percorso è intervallato, in modo ritmico, dall’espressione apparentemente elogiativa “Bruto è uomo d’onore”: “Il nobile Bruto vi ha detto che Cesare era
ambizioso. Se così è stato, fu certo una colpa grave e in modo grave Cesare ne
ha risposto. Qui, avendone avuto licenza da Bruto e dagli altri – poiché Bruto è
un uomo d’onore e così sono tutti gli altri, tutti uomini d’onore – son io venuto
a parlare ai funerali di Cesare. Egli era mio amico, era fedele ed era giusto verso
di me: ma Bruto dice che era ambizioso, e Bruto è un uomo d’onore”.
Solo alla fine del discorso, Antonio scopre la carta vincente, il colpo di scena: Cesare ha lasciato un testamento in favore del suo popolo: “Ma qui c’è una pergamena con il sigillo di Cesare: l’ho trovata nel suo studio. È il suo testamento. […] Non posso leggervelo: non è opportuno che voi conosciate quanto Cesare vi amava. Voi non siete fatti di legno o di pietra: siete uomini. Ed essendo, come siete, uomini, l’udire il testamento di Cesare v’incendierebbe d’una tale passione che tutti diverreste pazzi. È bene che voi non sappiate di essere i suoi eredi; perché, se lo sapeste, che cosa non ne uscirebbe?”.

Shakespeare, William, Giulio Cesare, Monologo di Marco Antonio, 1599 circa