Umberto Saba, A mia moglie, 1911

La poesia A mia moglie di Umberto Saba comprende sei strofe di diversa lunghezza, composte specialmente da versi settenari ed endecasillabi variamente rimati: il sistema di versificazione è dunque caratteristico della canzone libera o leopardiana. L’autore suscitò un certo scandalo, giacché la donna amata viene paragonata ad animali (rappresentati nelle loro azioni quotidiane) e non a creature superiori, angeliche, celesti, al contrario della tradizione poetica (si pensi alla corrente letteraria del “dolce stil novo”).

Un simile scalpore, però, non è totalmente plausibile, visto che contemporaneamente si afferma la superiorità della femmina rispetto al maschio per la sua prerogativa di favorire il contatto con la divinità. Ciò è sostenuto nella prima stanza:

“Tu sei come una giovane, / una bianca pollastra”, “È migliore del maschio. / È come sono tutte / le femmine di tutti / i sereni animali / che avvicinano a Dio. / Così se l’occhio, se il giudizio mio / non m’inganna, fra queste hai le tue uguali, / e in nessun’altra donna” (vv. 1-2, 10-17).

E viene ribadito nell’ultima:

“E così nella pecchia / ti ritrovo, ed in tutte / le femmine di tutti / i sereni animali / che avvicinano a Dio; / e in nessun’altra donna” (vv. 82-87).

È evidente il ritornello, ossia la ripetizione di un gruppo di versi. Sulla base della loro collocazione in principio e nella conclusione, da cui deriva una struttura circolare, costituisce un’occorrenza dell’epanadiplosi.

Si delinea quindi l’ordine che, nell’ottica dell’oratoria, viene denominato omerico o nestorico. È “chiamato così perché Nestore [il re di Pilo compartecipe nella spedizione a Troia] aveva posto al centro delle sue truppe quelle meno sicure: secondo tale ordine bisogna incominciare e finire con gli argomenti più forti” (Chaïm Perelman. Lucie Olbrechts-Tyteca, Trattato dell’argomentazione. La nuova retorica, Einaudi, 2013, p. 537). Nello specifico, nelle due posizioni strategiche si sviluppa il motivo conduttore della preminenza della femmina sul maschio.

Un ulteriore tema, che si può ritenere fondamentale, è dato dal contrasto, tipico degli esseri viventi, tra la serenità e il dolore, però attenuabile con l’affetto, con l’amore. Si svolge chiaramente nel seguente passo:

“Tu sei come una gravida / giovenca; / libera ancora e senza / gravezza, anzi festosa” […] “Se l’incontri e muggire / l’odi, tanto è quel suono / lamentoso, che l’erba / strappi, per farle un dono. / È così che il mio dono / t’offro quando sei triste” (vv. 25-26 e 32-37).

L’autore definisce l’opera “infantile”, in quanto “se un bambino potesse sposare e scrivere una poesia, scriverebbe questa” e “religiosa”, perché “scritta come altri reciterebbe una preghiera” (Storia e Cronistoria del Canzoniere, p. 57). Del resto l’assimilazione della donna ad animali è contenuta già nelle Sacre Scritture, più precisamente nel “Cantico dei Cantici”.

La similitudine appare fin dall’inizio di ogni strofa:

“Tu sei come una giovane, / una bianca pollastra” (vv. 1-2)

“Tu sei come una gravida / giovenca” (vv. 25-26)

“Tu sei come una lunga /cagna” (vv. 38-39)

“Tu sei come la pavida / coniglia” (vv. 53-54)

“Tu sei come la rondine” (v. 69)

“Tu sei come la provvida / formica” (vv. 77-78).

È palese anche il ricorso all’apostrofe (il poeta si rivolge alla moglie) e all’anafora (“Tu sei come…”), la quale è il motivo centrale, il “procedimento […] che funge da principio organizzatore del testo” (Olivier Reboul, Introduzione alla retorica, Il Mulino, 1996, p. 197). Ne deriva una struttura parallelistica, un elemento distintivo – a conferma di uno dei due caratteri attribuiti da Umberto Saba alla sua lirica – dell’antica lauda religiosa (basta citare il “Cantico delle Creature” di Francesco d’Assisi con la ripetizione della formula di ringraziamento “Laudato si’, mi’ Signore”).

Alla disposizione simmetrica di parole collegate tra loro sintatticamente o semanticamente, propria del parallelismo, si oppone quella incrociata del chiasmo nei versi 70-71, dove si parla della rondine: “Torna in primavera. / Ma in autunno riparte” (predicato verbale + complemento di tempo / complemento di tempo + predicato verbale). Possiamo considerarlo un tipo di iconismo sintattico, funzionale a rimarcare il divario tra due eventi, che si verificano in stagioni differenti.

Nelle composizioni in versi si creano effetti musicali grazie a ciascuna figura fonica, massimamente alla rima.

Incidentalmente, si noti che in quella baciata tra “Dio” e “mio” (vv. 14-15) l’unione di sostantivo e aggettivo ha un significato compiuto: è un’invocazione. Un senso logico emerge pure nella quasi rima tra “pollastra” e “raspa” (vv. 2 e 5).

Ecco nuovi casi di rima imperfetta (cambia solo un fonema):

“giovenca”, “senza” (vv. 26 e 27)

“scopre”, “soffre” (vv. 50 e 51)

“orecchi”, “radicchi” (vv. 57 e 59).

In quella ricca – continuiamo a limitarci alle forme particolari – la perfetta identità di suono si estende a uno o più fonemi che precedono la vocale accentata:

“animali”, “mali” (vv. 13 e 21): in aggiunta è una rima ad eco (chiamata così per il fenomeno acustico che sembra provocare)

“partorire”, “soffrire” (vv. 67 e 68)

“campagna”, “accompagna” (vv. 79 e 81).

Quella identica è determinata dalla semplice ripetizione di un vocabolo: “dono” (vv. 35 e 36), “rondine” (vv. 69 e 73). Nella quinta strofa viene ripresa “primavera”, ma nel verso 70 è da interpretare letteralmente, mentre nel verso 76 costituisce una metafora, con cui si vuole indicare la giovinezza. Dal duplice uso, però con un’accezione diversa, prima letterale e poi figurata, della stessa espressione deriva la diàfora.

“Primavera” è in relazione rimica con “era” (v.75), impiegata al posto di “ero”: “[…] a me, che mi sentiva ed era / vecchio, annunciavi un’altra primavera” (vv. 75-76). Al pari di “sentiva” è un esempio di metaplasmo per sostituzione, in quanto si sostituisce un fonema.

Invece della rima è possibile utilizzare l’assonanza: “cibo” e “nido” (vv. 63 e 66).

Tra “voci” e “dolcissime” (vv. 20 e 21) c’è un’analoga sonorità, ossia la paronomasia, spesso per inclusione, dal momento che tutti i fonemi di un termine sono compresi all’interno di un altro, che di conseguenza lo contiene. A parte i rimanti “animali”, “mali” (vv. 13 e 21), “campagna”, “accompagna” (vv. 79 e 81) e i quasi rimanti “pollastra”, “raspa” (vv. 2 e 5), abbiamo: “volge”, “ove” (v. 30) e “nido”, “rondine” (vv. 66 e 69). Si registrano inoltre occorrenze del paragramma*:

“vento”, “lento” (vv. 3 e 6)

sull’erba”, “superba” (vv. 8 e 9)

l’erba”, “farle” (vv. 34 e 35)

“tanta”, “santa” (vv. 39 e 42)

“tenti”, “denti” (vv. 48 e 49).

Osserviamo per inciso che è una sinestesia (la peculiare costruzione linguistica prodotta dall’unione di sfere sensoriali dissimili) il sintagma nominale “voci dolcissime” nei versi 20 e 21 (udito + gusto). Nei versi 30-31 troviamo “rosa tenero (vista + tatto).

Anche con l’enjambement si produce una certa musicalità, dovuta alla lettura punteggiata dalle pause istintive alla fine dei versi e dalle riprese istantanee, giacché ci si rende conto che il metro non coincide con la sintassi e il discorso non è concluso. È frequente la separazione tra aggettivo e sostantivo o tra sostantivo e aggettivo, preceduti e seguiti di volta in volta dal soggetto, dal predicato verbale, da un complemento:

“triste / musica” (vv. 23-24)

“gravida / giovenca” (vv. 25-26)

“rosa / tenero” (vv. 30-31)

“lunga / cagna” (vv. 38-39)

“tanta / dolcezza” (vv. 39-40)

“pavida / coniglia” (vv. 53-54)

“angusta / gabbia” (vv. 54-55)

“provvida / formica” (vv. 77-78)

e, al contrario,

“suono / lamentoso” (vv. 33-34)

“fervore / indomabile” (vv. 43-44)

“denti / candidissimi” (vv. 49-50)

“orecchi / alti” (vv. 57-58).

La divisione può riguardare il soggetto e il predicato verbale:

“se il giudizio mio / non m’inganna” (vv. 15-16)

“le gallinelle / mettono” (vv. 19-20)

oppure il complemento oggetto o un complemento indiretto e il predicato verbale:

“il collo / volge” (vv. 29-30)

“l’erba / strappi” (vv. 34-35)

“il mio dono / t’offro” (vv. 36-37)

“dei tuoi mali / ti quereli” (vv. 21-22)

“per via / segue” (vv. 47-48)

oppure il predicato verbale e il complemento oggetto o un complemento indiretto:

“assonna / le gallinelle” (vv. 18-19)

“soffre / di gelosia” (vv. 51-52)

o ancora il predicativo del soggetto e il verbo copulativo o, viceversa, il verbo copulativo e il predicativo del soggetto:

“una santa / sembra” (vv. 42-43)

“era / vecchio” (vv. 75- 76).

È possibile che l’enjambement – lo dimostrano vari esempi appena elencati – coincida con l’anastrofe. L’inversione dell’ordine normale delle parti della proposizione, al di là della funzione enfatica, mirante a mettere in risalto qualche parola (e il concetto enunciato), contribuisce alla soluzione di problemi metrici e ritmici, cioè attinenti alla misura dei versi e ai loro accenti e alla rima: “mali” (v. 21), “santa” (v. 42), “via” (v. 47) si devono dislocare alla fine del verso, perché in relazione con “animali” (v. 13) e “uguali” (v. 16), “tanta” (v. 39), “gelosia” (v. 52).

Ecco ulteriori occorrenze del procedimento stilistico incentrato sul mutamento nella disposizione dei vocaboli:

“il collo china” (v. 4)

“in terra raspa” (v. 5)

“in autunno riparte” (v. 71)

“tu questo hai della rondine” (v. 73).

L’ultimo caso è associato alla prolessi, la figura retorica di carattere sintattico costituita dall’anticipazione, solitamente per mezzo di un pronome (“questo”), di uno o più termini o di un’intera frase (nello specifico, “le movenze leggere”, nel verso 74). Così l’emittente del messaggio attira o ravviva l’attenzione del ricevente e rafforza un pensiero.

Allo scopo di evidenziare un’idea, si rivela efficace perfino la dittologia sinonimica, ossia l’accostamento di due sinonimi o quasi sinonimi, come

nel verso 9 (“pettoruta e superba”)

nel verso 15 (“l’occhio”, “il giudizio”)

nel verso 46 (“Dio e Signore”)

nei versi 57-58 (“gli orecchi / alti […] e fermi”).

Chaïm Perelman e Lucie Olbrechts-Tyteca classificano la domanda retorica tra le figure della comunione, “con le quali l’oratore si sforza di far partecipare attivamente l’uditorio alla sua esposizione, prendendolo a parte di essa, sollecitando il suo concorso” (Trattato dell’argomentazione. La nuova retorica, Einaudi, 2013, p. 193).

Nell’opera A mia moglie, l’autore l’ha impiegata in riferimento alla “pavida coniglia” e alla propria consorte, nei versi 63-68: “Chi potrebbe quel cibo / ritoglierle? chi il pelo / che si strappa di dosso, / per aggiungerlo al nido / dove poi partorire? / Chi mai farti soffrire?”.

Per Pierre Fontanier, “l’interrogazione consiste nell’assumere il costrutto interrogativo, non per segnalare un dubbio o provocare una risposta, ma al contrario per indicare la più alta persuasione e mettere in guardia coloro a cui si parla dal tentare di negare o persino di rispondere”. Inoltre “è atta a esprimere la meraviglia, il dispetto, l’indignazione, la paura, il dolore, tutti gli altri moti dell’animo e viene utilizzata per deliberare, per provare, per descrivere, per accusare, per biasimare, per incitare, per incoraggiare, per dissuadere, in definitiva per gli scopi più diversi” (Les figures du discours, 1991, pp. 368-370, citato in Olivier Reboul, Introduzione alla retorica, Il Mulino, 1996, p. 172). Possiamo pertanto considerarla pure una figura del pathos, ovvero dello strumento affettivo usato per suscitare emozioni.

A prescindere dalla comune struttura metrica, che distingue la canzone libera, si può istituire un parallelo tra Giacomo Leopardi e Umberto Saba riguardo a una caratteristica formale: il ricorso sia alla lingua letteraria, sia alla lingua quotidiana.

Basti ricordare, nella produzione poetica leopardiana, “odo augelli far festa, e la gallina” (La quiete dopo la tempesta, v. 2); “il limitare di gioventù salivi” (A Silvia, vv. 5-6); “ornare ella si appresta / dimani, al dì di festa, il petto e il crine” e “e intanto riede alla sua parca mensa, / fischiando il zappatore” (Il sabato del villaggio, vv. 6-7 e vv. 28-29).

La stessa particolarità si coglie nei versi 22-24 del testo oggetto della nostra analisi: “ti quereli e non SAI / che la tua voce ha la soave e triste / musica dei POLLAI” (da notare la peculiare risalto che acquista l’ultima parola, la più corrente, in quanto rimante e collocata alla fine della strofa).

Dall’unione tra i due registri linguistici traggono origine anche sintagmi nominali: “angusta / gabbia” (vv. 54-55), “provvida / formica” (vv. 77-78).

 

Testo di A mia moglie di Umberto Saba

Tu sei come una giovane
una bianca pollastra.
Le si arruffano al vento
le piume, il collo china
per bere, e in terra raspa;
ma, nell’andare, ha il lento
tuo passo di regina,
ed incede sull’erba
pettoruta e superba.
È migliore del maschio.
È come sono tutte
le femmine di tutti
i sereni animali
che avvicinano a Dio.
Così se l’occhio, se il giudizio mio
non m’inganna, fra queste hai le tue uguali,
e in nessun’altra donna.
Quando la sera assonna
le gallinelle,
mettono voci che ricordan quelle,
dolcissime, onde a volte dei tuoi mali
ti quereli, e non sai
che la tua voce ha la soave e triste
musica dei pollai.
Tu sei come una gravida
giovenca;
libera ancora e senza
gravezza, anzi festosa;
che, se la lisci, il collo
volge, ove tinge un rosa
tenero la tua carne.
Se l’incontri e muggire
l’odi, tanto è quel suono
lamentoso, che l’erba
strappi, per farle un dono.
È così che il mio dono
t’offro quando sei triste.
Tu sei come una lunga
cagna, che sempre tanta
dolcezza ha negli occhi,
e ferocia nel cuore.
Ai tuoi piedi una santa
sembra, che d’un fervore
indomabile arda,
e così ti riguarda
come il suo Dio e Signore.
Quando in casa o per via
segue, a chi solo tenti
avvicinarsi, i denti
candidissimi scopre.
Ed il suo amore soffre
di gelosia.
Tu sei come la pavida
coniglia. Entro l’angusta
gabbia ritta al vederti
s’alza,
e verso te gli orecchi
alti protende e fermi;
che la crusca e i radicchi
tu le porti, di cui
priva in sé si rannicchia,
cerca gli angoli bui.
Chi potrebbe quel cibo
ritoglierle? chi il pelo
che si strappa di dosso,
per aggiungerlo al nido
dove poi partorire?
Chi mai farti soffrire?
Tu sei come la rondine
che torna in primavera.
Ma in autunno riparte;
e tu non hai quest’arte.
Tu questo hai della rondine:
le movenze leggere;
questo che a me, che mi sentiva ed era
vecchio, annunciavi un’altra primavera.
Tu sei come la provvida
formica. Di lei, quando
escono alla campagna,
parla al bimbo la nonna
che l’accompagna.
E così nella pecchia
ti ritrovo, ed in tutte
le femmine di tutti
i sereni animali
che avvicinano a Dio;
e in nessun’altra donna.

 

Bibliografia

Gianfranca Lavezzi, Breve dizionario di retorica e stilistica, Carocci, 2004.

Angelo Marchese, Dizionario di retorica e di stilistica, Oscar Studi Mondadori, 1978.

Bice Mortara Garavelli, Manuale di retorica, Bompiani, 1988.

Lorenzo Renzi, Come leggere la poesia, Il Mulino, 1985 (Capitolo terzo: Lettura di “A mia moglie” di Saba).

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