Se pensi alla ricetta di un discorso populista, quali ingredienti ci metti dentro? I non meglio identificati “poteri forti” e il generico nemico delle “multinazionali”? Sì, ci stanno bene. “Le élite”? Perfetto. Anche quelle vanno benissimo. Ma non basta: bisogna aggiungere i “burocrati e i banchieri europei”.
Se poi vuoi veramente esagerare, mettici anche la Madonna e il bacio al rosario. È troppo? Sì, lo è. Ma chi ha mai detto che il populismo non debba andare sopra le righe? Questi sono gli ingredienti del discorso della vittoria di Matteo Salvini, pronunciato la notte tra il 26 e il 27 maggio 2019, dopo i risultati delle elezioni europee che hanno visto la Lega trionfare con il 34 per cento dei voti. Guarda il video integrale.
Un capolavoro del populismo costruito a tavolino dove tutti gli ingredienti che funzionano sono stati buttati nel pentolone.
“Io non ho affidato al cuore immacolato di Maria un voto o il successo di un partito ma il futuro e il destino di un Paese e di un continente” è l’esordio del discorso pronunciato, mostrando la piccola croce del rosario.
Poi si arriva alla palingenesi, al rinnovamento: il voto “è il segno di un’Europa che cambia”. E qui arriva il quadruplo salto mortale pop: “Un’Europa serva dei poteri forti, delle élite, della finanza, delle multinazionali”. E, di conseguenza, anche una nazione serva. La citazione è dotta e ha la forza della familiarità, ma è stravolta nel senso: Ahi serva Italia, di dolore ostello, scriveva Dante Alighieri nella Divina Commedia.
L’altra componente populista è l’eterna e appassionante relazione vittima-carnefice che, a tratti, prende la potenza narrativa di Davide contro Golia: “Abbiamo vinto contro tutto e tutti”. Una campagna con “attacchi quotidiani e vergognosi”, “una battaglia ad armi impari”.
La rassicurazione degli alleati di governo non manca. Ma Salvini usa la fatidica parola “serenamente”: “gli alleati di governo per me sono amici con cui si continua a lavorare serenamente”. Si vedono nubi all’orizzonte: il ricordo va al letale Enrico #staisereno.
Dopo un ulteriore passaggio sul tema dell’Europa che va cambiata, arriva il topos del ritorno al lavoro: “io domani sarò in ufficio al Ministero dell’Interno”, “domani mattina siamo in ufficio”, “torno in ufficio”. E tre.
Salvini, con il suo solito tono pacato, gesticola con il piccolo crocifisso in mano come se, durante un pranzo, agitasse la forchetta con la quale sta mangiando. Al desco del populismo.