La forza argomentativa di citare ciò che è già accaduto come strategia nella comunicazione politica
“‘Quando il governo si è reso conto che il fumo è nocivo per la salute è intervenuto. Quando è stato chiaro che le cinture di sicurezza salvano vite umane il governo ha obbligato l’industria dell’auto ad adottarle. Quando si è visto che i farmaci oppioidi creano dipendenza la politica è intervenuta. Vi supplico di farlo anche ora davanti ai danni sociali provocati da Facebook’”. Per il giornalista Massimo Gaggi, “è il momento più potente della testimonianza resa il 13 aprile al Senato di Washington da Frances Haugen, la ex product manager della società di Mark Zuckerberg che, lasciata l’azienda, ha deciso di denunciare i suoi comportamenti nocivi”, utilizzando “documenti interni che dimostrano la consapevolezza da parte del gigante dei social media dei danni che provoca ai suoi utenti (soprattutto i più giovani)” (1).
L’affermazione della dirigente dimissionaria risulta incisiva per almeno due motivi. Sul piano dell’oratoria colpisce l’attenzione mediante il ritmo ternario dovuto all’anafora, originata dall’iterazione della congiunzione “quando” all’inizio di frasi successive. Riguardo alla strategia argomentativa, ci si avvale del meccanismo analogico, ancor più efficace grazie all’associazione con il “precedente”. Nella classificazione di Chaïm Perelman e Lucie Olbrechts-Tyteca, costituisce una “base dell’argomentazione”, un “oggetto di accordo” dell’uditorio, giacché si fonda su “quanto si ritiene ammesso da parte degli ascoltatori”. In effetti “si può presumere, fino a prova contraria, che l’atteggiamento precedentemente adottato – opinione espressa, condotta prescelta – continuerà in avvenire, sia per il desiderio di coerenza, sia per forza di abitudine”. Inoltre “la ripetizione di una stessa condotta non dev’essere giustificata, contrariamente a quanto succede per la deviazione e per il cambiamento” (2).
A tale tecnica retorica si ricorre spesso nel dibattito politico, perseguendo i più diversi obiettivi. Lo attestano numerose occorrenze. A proposito del decreto, voluto dall’allora premier Silvio Berlusconi, con il quale si annullava la custodia cautelare per una serie di reati, perfino a discapito della pubblica amministrazione (concussione, corruzione, peculato, finanziamento illecito ai partiti ecc.), Mario Segni osservò aspramente: “Solo un governo guidato da un uomo che andò ad abbracciare Craxi, la sera in cui il Parlamento negò l’autorizzazione a procedere, poteva fare questo” (La Repubblica, 16 luglio 1994, p. 6).
In occasione delle elezioni politiche del 21 aprile 1996, i due candidati alla Presidenza del Consiglio, per avvalorare la loro aspirazione, si riferirono alle competenze rivelate anteriormente in altre attività.
Silvio Berlusconi:
“Mi sono messo nell’edilizia e ho avuto successo; mi sono messo nelle televisioni e ho avuto successo; ho fatto l’imprenditore e ho costruito il secondo gruppo industriale italiano” (Gente, 18 aprile 1996, p. 7)
“[Sono] riuscito, partendo da zero, a costruire il secondo gruppo privato italiano, a creare nuove aziende e migliaia di nuovi posti di lavoro, a dare a tutti gli italiani un servizio in più costringendo anche la Rai a migliorarsi” (Famiglia Cristiana, 24 aprile 1996, p. 27).
Romano Prodi:
“Nell’ultimo anno della mia presidenza dell’Iri ho realizzato o impostato quasi tutte le privatizzazioni che sono state fatte in Italia” (Roberto Bertinetti, Roberto Weber, “Parole in cerca di consenso. Un confronto fra Prodi e Berlusconi”, in Il Mulino, n° 5, 1995, p. 890)
“Ho gestito un’organizzazione complessa: 550 mila dipendenti, sono passato da 3000 miliardi di passivo a 1800 di attivo, ho gestito la privatizzazione di 34 aziende, una ristrutturazione basata sull’accordo e senza un giorno di sciopero. Ho fatto il 70 per cento delle privatizzazioni” (Linea Tre, Rai 3, puntata del 12 aprile 1996, in Corriere della Sera, 13 aprile 1996, p. 3).
Nel corso del programma televisivo, “tutto lo scontro – ha rilevato Roberto Grandi – si era mantenuto sul piano del ‘fare’: ciò che uno aveva fatto in passato avrebbe dovuto/potuto fornire agli elettori elementi di giudizio per ipotizzare come si sarebbe comportato in futuro” (3).
Per il grande pubblicitario francese Jacques Séguéla, “bisogna sentirsi e agire da vincenti” (4). Sembra che il leader dell’Ulivo avesse in mente una regola simile, quando disse: “Già una volta gli abbiamo fatto ammainare le bandierine a quel signore [Silvio Berlusconi], domenica non le alzerà neppure…” (La Repubblica, 15 aprile 1996, p. 4).
Apriamo una parentesi su una strategia comunicativa, derivante dallo storytelling, che induce a considerare una campagna elettorale una successione di alterne vicende. È bene notare la data della dichiarazione di Prodi (mancava solo una settimana al voto), mentre la rappresentazione di un competitor avviato da subito al successo è controproducente. Basti pensare a un episodio della corsa alla designazione democratica per le presidenziali del 2008 in America. Ecco la cronaca di un quotidiano italiano: “Alla fine Bill Clinton non ce l’ha fatta più ed è esploso […] ‘Sarà un miracolo se Hillary vincerà in Iowa’, ha tuonato l’ex presidente degli Stati Uniti durante un’intervista a Charlie Rose della Pbs (il canale televisivo pubblico), caduta come una doccia fredda sull’America alla vigilia delle primarie del prossimo 3 gennaio. Una gaffe? […] Soltanto i neofiti l’hanno interpretata in quel modo. ‘Clinton è il politico più navigato ed esperto della sua generazione e non parla mai a vanvera’, concordano gli analisti, secondo cui quella frase è stata studiata a tavolino per cancellare l’aureola da ‘predestinata alla vittoria’ conferita fin dall’inizio a Hillary dai suoi esperti. ‘Bill vuole rendere la sua candidatura vulnerabile, cioè più umana’, teorizzano gli opinionisti. Con l’avvicinarsi del voto in Iowa e la perdita dello schiacciante vantaggio iniziale nei sondaggi, Bill Clinton è stato costretto, insomma, ad uscire allo scoperto per sottrarre Hillary dall’influenza nefasta dei suoi guru […] a partire da Mark Penn, […] che sin dall’inizio ha deciso di vendere all’America l’immagine dell’ex First Lady come ‘invincibile’ e ‘inevitabile prescelta alla nomination’. Così facendo le avrebbe alienato gran parte dell’elettorato americano che, proprio come nei film hollywoodiani, ama tifare per l’‘underdog’, il concorrente svantaggiato e sfavorito” (5).
In effetti, dopo la sconfitta del 3 gennaio in Iowa, lo staff di Hillary Clinton riconobbe la necessità di ricorrere “a una narrativa politica che accrediti proprio la figura dell’underdog, il candidato che parte da dietro e vince, molto amata dall’immaginario americano” (6).
È preferibile quindi ricalcare la struttura narrativa analizzata da Guido Ferraro, in base alla quale “l’eroe destinato al trionfo finale viene presentato all’inizio come più debole dell’antagonista”. In determinate situazioni essa “esaspera l’iniziale inferiorità dell’eroe fino a simularne una sconfitta certa e definitiva: ci si mostra l’eroe battuto dal suo antagonista, messo per sempre fuori gioco […] Poi, invece, ‘imprevedibilmente’ […] l’eroe risuscita, ricompare” (7).
In qualche maniera, in un simile schema, nella competizione del 1996, rientra un momento che ebbe per protagonista il candidato del centrosinistra alla Presidenza del Consiglio. Lo ha raccontato Roberto Grandi: “Il 4 marzo fu giorno di protesta e di serrata per i commercianti torinesi. L’assemblea al cinema Lux si trasformò presto in un rodeo il cui vincitore fu Gianfranco Fini che, unico tra gli oratori, riuscì a domare la platea, peraltro a lui molto vicina. Prodi tentò per cinque lunghi minuti di farsi sentire, poi, subissato di fischi, raccolse i suoi foglietti e se ne andò” (8).
Per le elezioni politiche del 13 e 14 aprile 2008, quasi fossero coscienti del funzionamento del meccanismo della narrazione di cui stiamo trattando, alcuni esponenti o simpatizzanti apparvero assai prudenti, riguardo a un’affermazione del partito berlusconiano. Antonio Socci (“scrittore cattolico, intellettuale di area centrodestra”) manifestò “una preoccupazione forte, crescente… nata dalla consapevolezza che la partita elettorale è dura e la vittoria tutt’altro che sicura”. E padre Gianni Baget Bozzo (“uno dei maggiori consiglieri di Silvio Berlusconi”) disse: “Silvio sa che la battaglia politica, stavolta, sarà durissima e dall’esito tutt’altro che scontato”, in quanto “andare da solo, per offrire una seria prospettiva di governo, comporta molte difficoltà…”. Per Beatrice Lorenzin (“coordinatrice dei giovani di FI”), “fossimo andati a votare con il vecchio caravanserraglio della grande coalizione, avremmo vinto a mani basse. Io dico che saremmo stati al 60%. Una roba, mi trema la voce a dirlo, bulgara”. Invece “Berlusconi ha scelto di andare da solo e questo, purtroppo, ha un prezzo”. Dunque, “io potrei dirle che sbaraglieremo Veltroni, ma non è così. Questa sarà una campagna elettorale delicata, piena di sorprese. Io, perciò, suggerisco di farci trovare pronti”. Marcello Veneziani (“scrittore e intellettuale di destra”) osservò: “Eviterei marche trionfalistiche. Eviterei di considerare Berlusconi già premier”. Per Paolo Guzzanti (“pronto a ricandidarsi al Senato”), “purtroppo, questa campagna elettorale è tutt’altro che scontata. Me l’aspetto in salita. La scelta di Berlusconi, solo alla guida d’un partito, è politicamente nobile ma elettoralmente pericolosa”. Di conseguenza, “tra noi, non ho sentito dire a nessuno che stravinceremo” (9).
Torniamo alla strategia retorica, oggetto del nostro articolo. Nei casi riportati l’emittente del messaggio si riferisce a esperienze piuttosto recenti (il fondatore di Forza Italia alla sua attività imprenditoriale; il promotore dell’Ulivo alla sua opera a capo di una holding finanziaria per l’intervento pubblico nell’industria).
A un’iniziativa non particolarmente lontana nel tempo si richiamò Barack Obama in un suo libro: “I problemi del fondo fiduciario per la previdenza sociale sono reali, ma gestibili: nel 1983, Ronald Reagan e Tip O’Neill, Speaker della Camera, si incontrarono per affrontare un problema analogo e diedero vita a un piano bipartisan che offrì stabilità al sistema per i successivi sessant’anni. Non c’è motivo per cui oggi non si possa fare lo stesso” (10).
Tuttavia è possibile trovare un “precedente” perfino nella Bibbia. Lo si evince dall’autobiografia di Bill Clinton: “Mentre i repubblicani intensificavano i loro attacchi contro di me [chiedevano l’impeachment per la vicenda Monica Lewinsky], i miei sostenitori cominciavano a rialzare la testa”. Nello specifico, “Bernice King, figlia di Martin Luther […] disse che anche i grandi leader a volte si macchiano di gravi peccati e raccontò la storia di re David, che aveva fatto qualcosa di molto peggio rispetto a me: aveva organizzato la morte in battaglia del marito di Betsabea, soldato a lui devoto, per poterla sposare e poi aveva dovuto far ammenda per il suo peccato ed era stato punito. Non si capiva dove volesse andare a parare fino a quando non concluse il suo discorso così: ‘Sì, David commise un peccato terribile e Dio lo punì. Ma David rimase re’” (11).
Jacques Séguéla invece s’ispirò addirittura alla mitologia. Nel 1990, nella competizione per l’elezione del sindaco della capitale della Grecia, alla candidata del Partito socialista, l’attrice Melina Mercouri, della quale era consulente, propose “un’immagine inattesa e fantasiosa”, precisando: “Farà scalpore e chiuderà il becco a tutti coloro che ti rimproverano di non essere un uomo […] Tutti s’aspettano di vedere la tua immagine sui muri della città. Giocando di contropiede, noi non esibiremo Melina, ma la dea fondatrice di Atene, Atena. Ciò per ricordare a quei macho che la loro città è stata creata da una donna” (12).
Nelle ultime due occorrenze si delinea il cosiddetto argomento a fortiori, ossia “quello che mira a provare che la tesi in questione ha delle ragioni ancor più forti, per essere ammessa come valida, di un’altra che già è stata ammessa come valida” o la “argomentazione che convalida una proposizione in base al fatto che abbia ragioni ancor più numerose e valide di altra già tenuta per valida” (13). Quindi, se “David rimase re”, a maggior ragione Clinton può restare presidente; se Atene “è stata creata da una donna”, a maggior ragione può essere amministrata da una persona di sesso femminile.
In qualche modo sull’unione delle due tecniche argomentative (e su un tono umoristico, prodotto da previsioni che non si sono avverate) è incentrato lo spot “Manifesto”, ideato dall’agenzia Wunderman Thompson per WindTre. Nel testo si ripercorrono alcune tappe di fondamentale importanza nella storia dell’umanità. Opinioni espresse in quelle occasioni furono completamente smentite dagli avvenimenti: “Prevedo la vittoria entro l’ora di pranzo” (Napoleone Bonaparte, Waterloo, 1815), “La lampadina è un evidente fallimento” (Henry Morton, presidente Institute of Technology, 1880), “Il cavallo resterà. L’auto è passeggera” (H. Rackham, avvocato industria auto, 1903). Alla fine del telecomunicato si riporta un’asserzione di un certo Andrea non meglio identificato, il quale rivela la sua sicumera con la mimica facciale: “La rete WindTre non prende”. Una simile affermazione, però, è in contrasto con quanto sostenuto dall’azienda: “WindTre è la rete mobile più veloce d’Italia”. Allo spettatore tocca il compito di esplicitare la conclusione: se hanno sbagliato personaggi autorevoli, tanto più ci possiamo aspettare un errore da una persona sconosciuta, priva di qualsiasi titolo.
Pure chi svolge una funzione istituzionale ricorre al “precedente” con vari intendimenti: per esempio, confortare chi deve compiere un sacrificio, reso necessario da una situazione straordinaria. Nell’allocuzione televisiva del 5 aprile 2020, la domenica delle Palme, nel pieno dell’emergenza sanitaria originata dal SARS-CoV-2, la regina Elisabetta, riferendosi a un conflitto armato che coinvolse il suo regno, ha incoraggiato ad accettare l’“autoisolamento” e specialmente l’allontanamento dai genitori: “Mi ricorda la prima trasmissione che ho realizzato, nel 1940, aiutata da mia sorella. Da bambini, abbiamo parlato da qui a Windsor con i bambini che erano stati evacuati dalle loro case per la loro sicurezza. Oggi, ancora una volta, molti sentiranno un doloroso senso di separazione dai loro cari. Ma ora, come allora, sappiamo, nel profondo, che è la cosa giusta da fare” (in Forbes.it: “Coronavirus, la Regina Elisabetta parla alla nazione in tv. Ecco il testo del discorso”).
Nel messaggio trasmesso in televisione il 31 dicembre 2020, il Capo dello Stato Sergio Mattarella ha esortato all’unione in un periodo difficile a causa della pandemia: “La sfida che è dinanzi a quanti rivestono ruoli dirigenziali nei vari ambiti, e davanti a tutti noi, richiama l’unità morale e civile degli italiani. Non si tratta di annullare le diversità di idee, di ruoli, di interessi ma di realizzare quella convergenza di fondo che ha permesso al nostro Paese di superare momenti storici di grande, talvolta drammatica, difficoltà” (quirinale.it).
Nell’intervento del 17 febbraio 2021 al Senato, dopo la costituzione del suo governo, Mario Draghi invitava alla partecipazione per “una Nuova Ricostruzione”: “Oggi noi abbiamo, come accadde ai governi dell’immediato Dopoguerra, la possibilità, o meglio la responsabilità, di avviare una Nuova Ricostruzione. L’Italia si risollevò dal disastro della Seconda Guerra Mondiale con orgoglio e determinazione e mise le basi del miracolo economico grazie a investimenti e lavoro. Ma soprattutto grazie alla convinzione che il futuro delle generazioni successive sarebbe stato migliore per tutti. Nella fiducia reciproca, nella fratellanza nazionale, nel perseguimento di un riscatto civico e morale. A quella Ricostruzione collaborarono forze politiche ideologicamente lontane se non contrapposte. Sono certo che anche a questa Nuova Ricostruzione nessuno farà mancare, nella distinzione di ruoli e identità, il proprio apporto” (governo.it).
A Chicago, Illinois, tra il 4 e il 5 novembre 2008, dopo la conquista della presidenza, Barack Obama puntava a dimostrare che il cambiamento è qualcosa che accade realmente: “Questa notte io penso, tra le tante, a una storia in particolare. È quella di una donna che è andata a votare ad Atlanta […] Ann Nixon Cooper ha 106 anni […] Questa notte penso a tutto quello che ha visto nel corso del secolo trascorso in America: penso all’angoscia e alla speranza, alla lotta e al progresso, ai momenti in cui ci dicevano che non potevamo farcela e alle persone che, al contrario, hanno tirato avanti facendo appello proprio a quella professione di fede americana che si fonda su questa convinzione. Yes, we can! In un’epoca in cui la voce delle donne veniva messa a tacere e le loro speranze venivano ignorate, Ann Nixon Cooper ha visto le donne battersi per i propri diritti, per far sentire la propria voce e ottenere il voto. Yes, we can! Quando c’era solo disperazione e tutto il Paese era attraversato dalla depressione, ha visto una nazione sconfiggere la sua stessa paura grazie al New Deal, nuovi posti di lavoro e un nuovo sentimento per un obiettivo comune. Yes, we can! Quando sganciavano bombe sui nostri porti e la tirannia minacciava il mondo, Ann Nixon Cooper è stata lì a testimoniare come un’intera generazione sia stata capace di ergersi a difesa della sua grandezza e salvare la democrazia. Yes, we can! […] Lei, attraverso i momenti migliori e le ore più cupe dei suoi 106 anni vissuti in America, sa che l’America può cambiare. Yes, we can!” (in Luciano Clerico, Barack Obama. Come e perché l’America ha scelto un nero alla Casa Bianca, Edizioni Dedalo, 2008, pp. 263-264).
In alcune circostanze, specialmente in polemica con gli avversari, si capovolge il ragionamento, constatando che un dato fenomeno non si è mai verificato in precedenza. Lo fece Winston Churchill in un dibattito parlamentare nel 1939: “Non esiste nella nostra storia un esempio di Governo che, avendo richiesto al Parlamento e al popolo necessari provvedimenti di difesa, abbia ricevuto un diniego” (in Chaïm Perelman e Lucie Olbrechts-Tyteca, Trattato dell’argomentazione. La nuova retorica, Einaudi, 1989, p. 515).
Alcide De Gasperi, al congresso provinciale della Democrazia Cristiana di Trento, il 20 luglio 1947, rilevò: “Una riforma che assicura la perfetta giustizia non esiste al mondo: non esiste un sistema che ridistribuisce la proprietà e il reddito della proprietà, in modo tale che sia assolutamente eguale per tutti” (in Paola Desideri, Teoria e prassi del discorso politico, Bulzoni, 1984, p. 29).
In occasione delle elezioni politiche del 1996, Walter Veltroni e Romano Prodi affermarono rispettivamente:
“Io credo che la gente oggi abbia chiaro che se vince il Polo vince Fini. E chiedo: che Italia moderna è quella guidata dalla destra estrema? Quale Paese europeo è governato dalla destra estrema?” (La Repubblica, 15 febbraio 1996, p. 5).
“La questione del conflitto di interessi rimane irrisolta. Non esiste Paese al mondo in cui il controllo massiccio dei mezzi di informazione coincida con incarichi di governo. Solo in Italia c’è questo Far West dove è possibile ogni sorta di scorribande” (Corriere della Sera, 28 marzo 1996, p. 2).
Da notare l’uso della domanda retorica da parte di Veltroni, mentre Prodi ricorre a due metafore appartenenti al campo semantico dell’illegalità (“Far West” e “scorribande”), con cui si esprime ovviamente un giudizio negativo.
Note
(1) Corriere della Sera, 6 ottobre 2021, p. 23.
(2) Chaïm Perelman e Lucie Olbrechts-Tyteca, Trattato dell’argomentazione. La nuova retorica, Einaudi, 1989, pp. 71, 114-115 e 395.
(3) Roberto Grandi, Prodi. Una campagna lunga un anno, Lupetti, 1996, p. 104.
(4) Intervento al convegno su Il marketing politico dopo la campagna 2001, Roma, 15 giugno 2001, in sito web.
(5) Alessandra Farkas, “Bill ai guru di Hillary: ‘Incapaci. Ci penso io’”, in Corriere della Sera, 17 dicembre 2007.
(6) Corriere della Sera, 9 gennaio 2008, p. 9.
(7) Guido Ferraro, Strategie comunicative e codici di massa, Loescher, 1981, pp. 222-223.
(8) Roberto Grandi, op. cit., p. 62.
(9) Corriere della Sera, 15 febbraio 2008, p. 11.
(10) Barack Obama, L’audacia della speranza. Il sogno americano per un mondo nuovo, Rizzoli, 2007, p. 188.
(11) Bill Clinton, My Life, Mondadori, 2004, pp. 874 e 875-876.
(12) Jacques Séguéla, Eltsin lava più bianco. Un mago della pubblicità al servizio degli uomini politici,Sonzogno, 1992, p. 35.
(13) Aldo Duro, Vocabolario della lingua italiana, Istituto della Enciclopedia Italiana, fondata da Giovanni Treccani, 1986 e Nicola Zingarelli, Vocabolario della lingua italiana, Zanichelli, 2016.