L’interrogazione alla presidente del Consiglio dei ministri Giorgia Meloni sul salario minimo, illustrata da Elly Schlein nella seduta della Camera dei deputati del 15 marzo 2023, costituisce un esempio indovinato di comunicazione strategica, funzionale al conseguimento di precisi obiettivi.
L’intervento offre lo spunto per un’analisi nell’ottica della antica arte della persuasione, più esattamente del logos, lo strumento retorico di ordine razionale, che, secondo Olivier Reboul, è caratterizzato dalla “attitudine a convincere grazie alla sua apparenza di logicità e al fascino del suo stile” e “concerne l’argomentazione propriamente detta” (1). È composto perciò da ogni argomento, nel senso di prova portata a favore di una tesi, ragionamento fatto a sostegno di un’opinione.
Com’era facile prevedere, in considerazione della loro collocazione in due aree politiche opposte, l’intervento della neoeletta segretaria del Partito democratico rivela un certo spirito polemico. Esso si attua con l’accusa d’incoerenza (particolarmente grave per chi amministra uno Stato), basata sull’incompatibilità, che, per Chaïm Perelman e Lucie Olbrechts-Tyteca, “assomiglia ad una contraddizione, in quanto consiste in due asserzioni tra le quali bisogna scegliere, a meno di rinunciare ad entrambe” (2).
Ecco i passaggi, là dove la leader dei Dem ricorre alla tecnica argomentativa in questione (il secondo è ricavato dalla replica alla risposta della premier):
“Il Partito Democratico ha presentato una proposta sul salario minimo e tutte le altre opposizioni hanno presentato proposte o mozioni in questa direzione, ma le avete respinte tutte. A me interessa sapere cosa volete fare su questo e mi stupisce che non vediate il nesso tra la crisi della natalità, di cui spesso parlate, e la precarietà in cui versano moltissime donne in questo Paese”,
“Credo che precarietà e lavoro povero abbiano bisogno di risposte immediatamente. Lei ha detto che questo tema è centrale anche per il suo Governo, ma dice di ‘no’ a un salario minimo e rinvia a soluzioni incerte, che risulteranno tardive e inadeguate. Penso che ‘lavoro’ e ‘povero’ non debbano più stare nella stessa frase. Penso che si debbano limitare i contratti a termine. Non le può sfuggire, tra l’altro, la contraddizione del partito che guida, che, in Italia, dice ‘no’ al salario minimo, ma, in Unione europea, ha votato a favore della direttiva che ne propone l’introduzione in tutti i Paesi europei”.
Nel discorso si contano inoltre due occorrenze del caso invalidante (o exemplum in contrarium), “che – nella definizione dei due autori precedentemente menzionati – impedisce una generalizzazione indebita dimostrandone l’incompatibilità con quello e che indica dunque quale sia la sola direzione ammessa per la generalizzazione” (3):
“Ma lei, qualche tempo fa, ha definito il salario minimo uno specchietto per le allodole. Vada a dirlo a chi percepisce una paga da fame”,
“Non si nasconda dietro un dito, Presidente, perché, se fosse bastata la contrattazione collettiva, non avremmo quel 12 per cento di persone, che sono lavoratori e lavoratrici poveri, tra coloro che lavorano, che sono 3 punti sotto gli altri Paesi europei. Non ce li avremmo, perché lei dovrebbe sapere che, in questo Paese, dal 2012 al 2021, abbiamo quasi raddoppiato i contratti collettivi, che sono arrivati ad essere 992. E lei sa bene che di quei contratti solo pochi sono firmati dalle organizzazioni sindacali più rappresentative: 25 degli ultimi 441, che sono aumentati negli ultimi anni”.
Poi Elly Schlein ha aggiunto:
“La nostra proposta vuole rafforzare quella contrattazione collettiva e approvare quella legge sulla rappresentanza, ma, accanto, vuole anche fissare una soglia sotto la quale, laddove non arriva la contrattazione, ci sia una risposta per coloro che vedono calpestata la propria dignità mentre lavorano”.
Il brano contiene l’argomento pragmatico, che, secondo i due studiosi ritenuti tra i fondatori della nuova retorica, “permette di valutare un atto o un evento in funzione delle sue conseguenze favorevoli o sfavorevoli. Questo argomento ha una funzione talmente essenziale nell’argomentazione, che certuni hanno voluto vedervi lo schema unico della logica dei giudizi di valore: per apprezzare un evento bisogna partire dai suoi effetti” (4).
Nella risposta della premier colpisce un’affermazione:
“Chi ha governato fino a ora ha reso purtroppo più poveri i lavoratori italiani”.
La segretaria dem ha ribattuto:
“Il Partito Democratico, nella scorsa legislatura, ha provato ad approvare il salario minimo, ma i suoi alleati, che le siedono affianco, erano contrari e il Governo è caduto prima del tempo. Ma le vorrei anche ricordare che lei, oggi, è al Governo, ci sono io all’opposizione, e non è più il tempo di dare le responsabilità ad altri, è tempo di dare le risposte alle italiane e agli italiani. Adesso spetta a voi dare queste risposte”.
La leader dei Dem accusa Meloni di avere un atteggiamento evasivo, in modo da avanzare dubbi sulla sua credibilità e metterla perciò in cattiva luce. Avviene attraverso la tecnica argomentativa incentrata sul rapporto tra il discorso e la persona. Dobbiamo riportare ancora un’osservazione di Perelman e Olbrechts-Tyteca: “Per molti, il discorso è la manifestazione per eccellenza della persona […] Che egli lo voglia o no, […] l’oratore rischia di venir considerato dall’uditore, in stretta connessione col suo discorso” (5).
Nella sua replica, l’interrogante ha manifestato nuovamente la sua combattività, riferendosi all’argomento di direzione. Secondo gli autori or ora menzionati, “consiste, essenzialmente, nel mettere in guardia contro l’uso del procedimento a tappe: se cedete questa volta dovrete cedere un po’ di più la volta prossima, e Dio sa quando vi fermerete” (6).
Ecco il relativo passaggio, in cui si mira a raggiungere il vasto pubblico, composto dai lettori dei giornali, radioascoltatori, telespettatori ecc., affinché stia sull’avviso:
“È vero, lei è in carica da soli 5 mesi, ma state già andando in direzione opposta e sbagliata. Avete allargato il ricorso ai voucher, che sono una delle forme più precarie di lavoro. Avete dato l’intenzione di estendere i contratti a termine, anziché limitarli, come hanno fatto in Spagna. Lo vada un po’ a spiegare al 62 per cento di lavoratori e lavoratrici sotto i 24 anni, che conoscono solo quel tipo di contratti e non possono costruirsi un futuro”.
L’ultimo concetto è ribadito subito dopo:
“Siete una destra ossessionata dall’immigrazione, ma non vede l’emigrazione di tanti giovani, che sono costretti, dai salari così bassi e dai contratti così precari, a costruirsi un futuro altrove”.
In entrambi i casi, si utilizza l’eziologia. Per Armando Plebe e Pietro Emanuele, “si tratta del dirigere la propria argomentazione nella direzione dell’attribuire uno o più fatti accaduti alle cause che si ritiene opportuno evidenziare in luogo di altre possibili cause degli stessi effetti” (7).
A giudizio di Elly Schlein, evitare le partenze è più importante che impedire gli arrivi. È chiaro l’impiego della “gerarchia dei valori”, che i due studiosi, ai quali si deve il Trattato dell’argomentazione, classificano tra gli oggetti di accordo con l’uditorio, ossia “quanto si ritiene ammesso da parte degli ascoltatori” (8).
La capa dem ha completato il suo intervento, indugiando su temi che per lei valgono di più e, viceversa, di meno (e sempre in polemica con la premier e con la sua coalizione):
“Avete colpito e quasi cancellato Opzione donna. Queste sono le vostre risposte, perché i vostri veri punti di emergenza sono altri. Signor Presidente, io la capisco. Sono i rave, i condoni, la guerra alle ONG e, da ieri, colpire ideologicamente i diritti delle figlie e dei figli delle famiglie omogenitoriali, che hanno diritti come tutte le bambine e tutti i bambini che fanno parte della nostra comunità”.
La fine del brano, dedicata alle famiglie omogenitoriali, contiene la metalepsi, una figura retorica funzionali a potenziare il messaggio e a rendere dunque più efficace la comunicazione. Il grammatico francese Pierre Fontanier (1765 – 1844) ne ha dato una precisa definizione: “Consiste nel sostituire l’espressione indiretta all’espressione diretta, cioè, nel fare intendere una cosa per un’altra, che la precede, la segue o l’accompagna, ne costituisce un’aggiunta, una circostanza qualunque, o infine vi si ricollega o vi si rapporta in modo da richiamarla subito alla mente” (9).
Nello specifico, la leader dei Dem giudica negativamente la circolare trasmessa ai sindaci italiani dal ministero dell’Interno per bloccare la trascrizione dei certificati di nascita della prole di coppie del medesimo sesso. Lo fa però, rinunciando a una simile formulazione neutra, con una maggiore incisività, giacché rimarca i risultati dannosi.
Grazie al procedimento stilistico in questione, i membri del governo e i deputati e, ancor più, gli utenti dei mass media, che hanno assicurato la copertura della seduta parlamentare, percepiscono un’immagine di persona che affronta i problemi con risolutezza e parla chiaramente: è un esempio di un peculiare strumento dell’eloquenza. Ne discussero fin dall’antichità i più insigni cultori dell’arte della persuasione, Aristotele, Cicerone, Quintiliano. “Ciò che gli antichi chiamavano ethos oratorio – lo ricordano Perelman e Olbrechts-Tyteca – si riassume nell’impressione che l’oratore dà di se stesso per mezzo di ciò che dice” (10).
Riportiamo un ulteriore passaggio dell’interrogazione della segretaria del Partito democratico:
“Occorre fissare, per legge, un salario minimo, perché, sotto una certa soglia, non si può nemmeno chiamare lavoro, è sfruttamento”.
Esso offre lo spunto per rilevare la presenza di una correzione del tipo “non… ma…” (la congiunzione rimane sottintesa). Possiamo considerarla una variante dell’epanortòsi, che “consiste – nella spiegazione di Pierre Fontanier – nel tornare su ciò che si è appena detto, o per rafforzarlo, o per addolcirlo, o anche per ritrattarlo del tutto, a seconda che si voglia affettare di trovarlo, o che in effetti lo si trovi troppo debole o troppo forte, troppo poco sensato, o troppo poco conveniente” (11).
Un retore latino del I secolo a. C., al quale è stata attribuita la Rhetorica ad Herennium, ha osservato: “‘Non sarebbe quindi preferibile, dirà qualcuno, fermarsi sulle parole migliori e meglio scelte già dall’inizio, specialmente quando si scrive?’. Vi sono dei casi, in cui non è preferibile, se il cambiamento della parola servirà a mostrare che la cosa è di tal fatta, che, espressa con una parola comune, sembra detta troppo fiaccamente e, ricorrendo a una parola più scelta, il fatto prende rilievo. Se si fosse giunti direttamente a quella parola, non ci saremmo accorti del rilievo della parola, né della cosa” (12).
Note
(1) Olivier Reboul, Introduzione alla retorica, Il Mulino, 1996, pp. 36, 70.
(2) Chaïm Perelman, Lucie Olbrechts-Tyteca, Trattato dell’argomentazione. La nuova retorica, Einaudi, 2013, p. 212.
(3) Chaïm Perelman, Lucie Olbrechts-Tyteca, op. cit., p. 386.
(4) Chaïm Perelman, Lucie Olbrechts-Tyteca, op. cit., p. 288.
(5) Chaïm Perelman, Lucie Olbrechts-Tyteca, op. cit., p. 344.
(6) Chaïm Perelman, Lucie Olbrechts-Tyteca, op. cit., p. 306.
(7) Armando Plebe, Pietro Emanuele, Manuale di retorica, Universale Laterza, 1988, pp.
(8) Chaïm Perelman, Lucie Olbrechts-Tyteca, op. cit., p. 71.
(9) Pierre Fontanier, Les figures du discours, 1991, pp. 127-128, in Olivier Reboul, op.cit., pp. 150-151.
(10) Chaïm Perelman, Lucie Olbrechts-Tyteca, op. cit., p. 346.
(11) Pierre Fontanier, op. cit., pp. 408-409, in Olivier Reboul, op. cit., p. 167.
(12) Cornificio, Retorica ad Erennio, IV, 26, 36.