di Giorgio Matza
Matteo Renzi ha rilasciato un’intervista ad un quotidiano italiano (1), dopo lo strappo dell’Italia al vertice europeo di Bratislava del 16 settembre, in polemica con il cosiddetto “asse franco-tedesco”, ossia con il presidente François Hollande e soprattutto con la cancelliera Angela Merkel. Nelle risposte ha fatto ricorso, come ogni uomo politico che si rispetti, agli elementi della retorica.
Parliamo innanzi tutto dell’ethos, lo strumento di persuasione di ordine affettivo costituito dal carattere assunto dall’emittente del messaggio, cioè dall’impressione che vuole suscitare, funzionale ai suoi obiettivi. Infatti egli cerca di attirare così l’attenzione del ricevente (nella fattispecie rappresentato ovviamente da tutto il pubblico dei lettori e non solo dalla giornalista), di ispirare in lui un senso di affidamento e di ottenerne il consenso. A tal fine propone una propria identità, rappresentando aspetti della propria personalità, della propria vita (2).
Il premier italiano ha punteggiato il colloquio con le seguenti affermazioni:
<Ma io non faccio la bella statuina, aderendo a decisioni che non decidono nulla […] Fare conferenze stampa in cui non si dice nulla non è il sogno della mia vita>
<A Bratislava […] io speravo di rispondere alla crisi provocata dalla Brexit, non solo di farmi un giro in barca>
<Io non sto zitto per quieto vivere> (dopo aver osservato: <Nessuno chiede ai tedeschi di esportare di meno, ma hanno l’obbligo di investire di più e stiamo parlando di decine di miliardi che aiuterebbero l’intera Eurozona. Ho fatto notare questa contraddizione in modo privato prima e pubblico poi>)
<Voglio risultati concreti, non parate scenografiche> (dopo aver ricordato: <Tra l’altro due mesi dopo l’anniversario dei trattati ci sarà il G7 a Taormina. Iniziano dunque otto mesi decisivi per la nostra politica estera e per la credibilità delle nostre istituzioni>)
Come suggeriscono alcuni termini, la sua intenzione era evidentemente quella di trasmettere un’idea di dinamismo, in contrasto con l’immobilismo che implicitamente attribuisce alle persone con cui sta polemizzando.
In certi casi Renzi ha associato l’ethos alla gerarchia di valori, la quale, secondo Chaim Perelman e Lucie Olbrechts-Tyteca, determina la necessità di scegliere fra valori incompatibili o la maggiore intensità di adesione ad uno piuttosto che ad un altro (3). Ciò è chiaro nel secondo e nel quarto estratto.
Una simile preferibilità viene unita dal presidente del Consiglio pure ad un argomento (nel senso di prova portata a favore di una tesi, ragionamento fatto a sostegno di un’opinione): quello che consiste nella reciproca trasposizione di valore tra i fini perseguiti e i mezzi adoperati per raggiungerli (4). Ecco i passi relativi:
<Bratislava doveva essere la svolta, e invece è stata l’ennesima riunione finita a discutere le virgole di un documento che dice tutto e non dice nulla>
<Per rilanciare dobbiamo cambiare la direzione dell’Europa, non cambiare il palazzo del summit>
<Li ho portati [Hollande e Merkel] a Ventotene per costruire un percorso, non per vedere il panorama o mangiare il pesce>
Attraverso queste dichiarazioni si esprime, con una certa ironia, la divergenza fra quello che è rilevante e quello che è irrilevante.
Nella comunicazione politica il rapporto fra il mezzo e il fine si usa per giustificare le proprie scelte, presentandole come adatte alla soluzione dei problemi. Con tutta probabilità è l’obiettivo del capo del Governo, quando sostiene: <Per il momento gli avversari sono Salvini e Di Maio. L’uno insulta la memoria di quel galantuomo che è stato Carlo Azeglio Ciampi. L’altro paragona la Repubblica italiana a una dittatura sudamericana e perde di credibilità ogni volta che apre bocca […] E se l’alternativa sono Salvini e Di Maio noi dobbiamo lavorare con ancora più senso di responsabilità. Perché qui è in ballo la credibilità internazionale dell’Italia, e non è poco>
Siamo così passati ad un altro fattore della retorica, il logos, lo strumento di persuasione di ordine razionale che si differenzia quindi dall’ethos e dal pathos, con cui ha tuttavia una complementarità. Come ha ricordato Olivier Reboul, è caratterizzato dalla <attitudine a convincere grazie alla sua apparenza di logicità e al fascino del suo stile> e <concerne l’argomentazione propriamente detta del discorso>. È costituito conseguentemente da ogni argomento (5), anche quello del paragone, fondato su un confronto fra due elementi, per valutarli l’uno in connessione all’altro, sulla base di una relazione di uguaglianza o differenza (6). La seconda emerge frequentemente nel discorso politico, che ha spesso un intento polemico.
Nella sua intervista il nostro primo ministro lo persegue, dapprima cogliendo la diversità dell’Europa rispetto agli Stati Uniti: <E bisogna riconoscere che l’austerity europea ha fallito mentre la politica americana di investimenti ha portato l’amministrazione Obama al record di posti di lavoro>.
Successivamente il contrasto si delinea all’interno dell’Unione:
<La legge di Stabilità italiana […] per il terzo anno consecutivo vedrà scendere le tasse. Sono altri che dovranno giustificarsi per il mancato rispetto delle regole. La Spagna ha un deficit doppio del nostro. La Francia non rispetta nemmeno Maastricht con il deficit ancora sopra il 3%. La Germania viola la regola del surplus commerciale: dovrebbe essere al 6% e invece sfiora il 9%>
<Sull’immigrazione per il momento l’Europa ha parlato tanto e fatto poco. Noi abbiamo fatto gli hotspot, il fotosegnalamento, i salvataggi, la lotta agli scafisti. Loro hanno messo un paio di navi nel Mediterraneo che scaricano i migranti in Sicilia: utile per fare le interviste, non per risolvere i problemi […] Vanno gestiti i rimpatri che per il momento fa l’Italia mentre l’Europa fa i convegni>.
La particolare efficacia del contenuto dell’ultimo estratto deriva dall’opposizione fra parole e fatti. Ancora una volta Renzi mette in risalto il proprio dinamismo contro l’immobilismo degli altri.
Un’altra forma di ragionamento risulta dalla trasposizione di valore dalla causa verso l’effetto, ossia, come ha scritto Olivier Reboul, dal <mostrare il valore dell’effetto a partire da quello della causa>. Paolo Facchi ha parlato di “appello per riconduzione alla causa”, che <consiste nel presentare una tesi come la conseguenza di una causa che l’uditorio approva o disapprova>. Secondo Armando Plebe e Pietro Emanuele, <nell’antichità una delle strategie retoriche più apprezzate era la cosiddetta “evidenziazione delle cause” o “eziologia”: in greco aitiologhìa, in latino ratiocinatio. Si tratta del dirigere la propria argomentazione nella direzione dell’attribuire uno o più fatti accaduti alle cause che si ritiene opportuno evidenziare in luogo di altre possibili cause degli stessi effetti> (7).
Nella parte iniziale dell’intervista la giornalista ha rilevato: <Nessuno si aspettava però un attacco italiano così duro>.
E il premier nella risposta ha utilizzato il rapporto di causa ed effetto: <Ho parlato duro quando nel documento presentato non ho trovato una riga su Africa e immigrazione, né una riga su crescita e Europa sociale>
La stessa tecnica argomentativa ha due occorrenze nel seguente passo: <Quando si diraderà la nebbia dell’ideologia parleremo di merito e gli indecisi sceglieranno il Sì perché è l’unico modo per cambiare questo Paese. Altrimenti si resta nella palude delle bicamerali di troppi anni fa. E l’Italia torna all’instabilità>.
La direzione è un argomento, con il quale si presenta un procedimento a tappe negativamente, come una china scivolosa e quindi si mette in guardia contro un pericolo. Infatti si considerano le varie fasi del cammino come un cedimento verso uno scopo indesiderato o perfino temuto e si denuncia la difficoltà, se non l’impossibilità, di fermarsi, una volta che ci si è avviati verso di esso.
Tutto ciò si ritrova nella considerazione del presidente del Consiglio, che di seguito si riporta: <Non so a cosa si riferisca la cancelliera Merkel quando parla di spirito di Bratislava. Se continua così più che lo spirito di Bratislava discuteremo del fantasma dell’Europa> (8).
Per mezzo del caso invalidante (o exemplum in contrarium) si impedisce una generalizzazione indebita, dimostrandone l’incompatibilità con un avvenimento, un’azione, una situazione e si indica dunque la sola direzione ammessa per quella dovuta (9). Pure ad una simile forma di ragionamento si rifà il capo del Governo: <Con me il giochino “L’Italia pensi a fare le riforme” non funziona più. Noi le riforme le abbiamo fatte, le regole sono rispettate, gli impegni sull’immigrazione ci costano in termini di consenso ma sono doverosi>.
In tal modo è possibile ottenere il cosiddetto “effetto defusing (disinnesco)”, ossia disattivare un tratto d’immagine svantaggioso.
Al quesito relativo al referendum sulla riforma costituzionale: <Se vince il No si dimette, come aveva annunciato nel dicembre dello scorso anno?>, Renzi ha risposto: <Per mesi mi avete detto di non personalizzare. Ho seguito il vostro suggerimento e non parlo più di me>. E poi ha continuato: <Questo non è un referendum sul mio futuro, ma sul futuro dell’Italia>. È ricorso rispettivamente al rimbecco e all’inclusione della parte nel tutto. Con il primo, appunto, si rimbecca, cioè si impiega come precedente quanto sostenuto o riconosciuto o accettato dall’interlocutore addirittura contro di lui.
La seconda costituisce invece l’argomento che consiste proprio nel constatare l’inclusione della parte nel tutto. Nella fattispecie, come il più delle volte, si considera tale relazione sotto l’aspetto quantitativo, ovvero si riconosce la maggiore importanza del tutto rispetto alla parte, giacché questa è compresa in quello. Ci si basa, in altri termini, sulla superiorità del generale sul particolare e quindi dell’oggettivo, che è comune a ognuno, sul soggettivo (10).
Con un intento chiaramente polemico si può accusare qualcuno d’incoerenza. Perciò ci si richiama alla prova d’incompatibilità, con cui si rileva una inconciliabilità fra <due asserzioni tra le quali bisogna scegliere, a meno di rinunciare ad entrambe>, ossia si mostra qualcosa di simile alla contraddizione, anche se si riferisce <a circostanze contingenti, siano queste costituite dalle leggi di natura, da avvenimenti particolari, da decisioni umane> (11).
Sembra che da essa abbia preso spunto il primo ministro, ponendosi delle domande, con una frecciatina lanciata agli avversari: <Vogliono tornare ai collegi uninominali? Vogliono eliminare le preferenze? Vogliono il turno unico e non il ballottaggio? Devono tirare giù le carte loro. Noi ci siamo. Ma le opposizioni hanno qualche proposta o sanno solo dire no?>.
Precedentemente, dopo aver ricordato che <la sfida sarà marzo 2017, quando a Roma festeggeremo i 60 anni dell’Ue>, si era chiesto: <Come ci presentiamo davanti ai concittadini di tutto il Continente? Spiegando che l’Europa dei padri fondatori è diventato un noioso club di regole finanziarie e algoritmi tecnici? O restituendo un’anima alla visione europea?>.
Siamo in presenza dell’interrogativa retorica, che non presuppone una reale mancanza di informazione, ma per mezzo di essa l’emittente del messaggio richiede enfaticamente al ricevente un assenso o un diniego o comunque una risposta già implicita e dunque l’esclusione di tutte le altre discordanti da questa. In altri termini esprime un giudizio, seppure in maniera larvata, sfumata, ossia senza assumersene la responsabilità e senza imporlo. Comunque, sforzandosi di coinvolgere il destinatario nel discorso, cerca pure di modificarne l’atteggiamento, di orientarlo nella direzione voluta e, quindi, di ottenerne l’adesione, il consenso. Dal punto di vista della linguistica pragmatica, si configura come un atto linguistico indiretto: infatti presenta uno scopo apparente (quello di interrogare) e uno reale (quello di affermare), cioè la forma di un enunciato e il valore di un altro (12). Per Pierre Fontanier, <l’interrogazione è atta a esprimere la meraviglia, il dispetto, l’indignazione, la paura, il dolore, tutti gli altri moti dell’animo> (13).
Possiamo considerarla quindi come una figura retorica del pathos, lo strumento di persuasione di ordine affettivo, che caratterizza tutta l’intervista, incentrata, come si è visto, su uno spirito combattivo soprattutto nei confronti dell’“asse franco-tedesco”. L’ambasciatore Sergio Romano ha osservato che <a Bratislava […] il presidente del Consiglio ha preferito giocare la carta un po’ vittimista dell’interesse nazionale. Posso comprenderne le ragioni. Come altri uomini di governo in Europa, anche Renzi deve guardarsi le spalle da un pugno di demagoghi che cercano di conquistare una effimera popolarità facendo della Ue la causa di tutti i nostri mali> (14).
Trattando del dramma dell’immigrazione, il premier, a proposito della costruzione di <una nuova sede per il Consiglio europeo che costa qualche miliardo>, ha annunciato: <Proporrò di mettere davanti alla sede il barcone che l’Italia ha recuperato dal fondo del mare e che adesso è ad Augusta. Almeno tutte le volte che c’è una riunione anziché guardare solo i divani nuovi, si guarderà l’immagine di quel barcone e dello scandalo di una migrazione>.
Matteo Renzi ha suggerito un’azione ispirata alla figura retorica del simbolo, con cui si utilizza un oggetto per simboleggiare una sua qualità dominante (15). Infatti il barcone rappresenterebbe i viaggi della speranza e la morte che spesso vi pone fine tragicamente.
NOTE
(1) MARIA TERESA MELI, <“L’austerity europea è un fallimento / Sono gli altri a violare le regole”>, in Corriere della Sera, 18 settembre 2016, pp. 2-3.
(2) OLIVIER REBOUL, Introduzione alla retorica, Il Mulino, 1996.
(3) CHAIM PERELMAN, LUCIE OLBRECHTS-TYTECA, Trattato dell’argomentazione. La nuova retorica, Einaudi, 1989, pp. 85-88.
(4) CHAIM PERELMAN, LUCIE OLBRECHTS-TYTECA, op. cit., p. 288.
(5) OLIVIER REBOUL, op. cit., pp. 36, 70.
(6) CHAIM PERELMAN, LUCIE OLBRECHTS-TYTECA, op. cit., p. 255.
(7) CHAIM PERELMAN, LUCIE OLBRECHTS-TYTECA, op. cit., pp. 275-276, 281; OLIVIER REBOUL, op. cit., p. 211; PAOLO FACCHI (a cura di), La propaganda politica in Italia, Il Mulino, 1960, pp. 39-40; ARMANDO PLEBE, PIETRO EMANUELE, Manuale di retorica, Universale Laterza, 1988, pp. 123-124.
(8) CHAIM PERELMAN, LUCIE OLBRECHTS-TYTECA, op. cit., pp. 298-300.
(9) CHAIM PERELMAN, LUCIE OLBRECHTS-TYTECA, op. cit., p. 375.
(10) CHAIM PERELMAN, LUCIE OLBRECHTS-TYTECA, op. cit., pp. 114 e 243-244.
(11) CHAIM PERELMAN, LUCIE OLBRECHTS-TYTECA, op. cit., pp. 206-207.
(12) ANGELO MARCHESE, Dizionario di retorica e di stilistica, Mondadori, 1978, p. 126; BICE MORTARA GARAVELLI, Manuale di retorica, Bompiani, 1991, pp. 134 e 270-271; FRANCESCA CABASINO, Malraux e de Gaulle. Enunciazione e argomentazione nel discorso memorialistico, Bulzoni, 1983, pp. 67-76.
(13) PIERRE FONTANIER, Les figures du discours, 1991, pp. 368-370. Citato in OLIVIER REBOUL, Introduzione alla retorica, Il Mulino, 1996, p. 172.
(14) SERGIO ROMANO, <L’Europa di Matteo Renzi / La svolta di Bratislava>, in Corriere della Sera, 22 settembre 2016, p. 53.
(15) ANGELO MARCHESE, op. cit, pp. 248-250.