Un bacio come caso invalidante

Talvolta è possibile compiere delle azioni, che svolgono una funzione argomentativa e quindi persuasiva. Dopo, in riferimento a esse, si elaborano i messaggi verbali. Ne è prova una vicenda, avvenuta ventisette anni fa e di cui si è riparlato recentemente, in seguito alla scomparsa del suo protagonista maschile.

Il primo dicembre del 1991, alla fiera campionaria di Cagliari, durante un congresso, un uomo e una giovane si baciarono sulle labbra, pur non essendo legati sentimentalmente. Lui era l’immunologo Fernando Aiuti, impegnato nella lotta contro la sindrome da immunodeficienza acquisita; lei, Rosaria Iardino, allora venticinquenne, era sieropositiva da otto anni. La donna, oggi cinquantaduenne, ha raccontato: “Stavamo commentando un articolo uscito sul Mattino, in cui si sosteneva che l’Aids si trasmetteva con un bacio. Eravamo sconfortati: nonostante le ricerche scientifiche, i convegni, gli speech, non riuscivamo a convincere nessuno, sembrava tutto inutile… […] E quindi con Fernando ci guardammo e ci dicemmo: l’unica cosa che potrebbe convincere le persone è vederlo davvero, un bacio. Scherzavamo, all’inizio. Ma subito ci siamo resi conto che poteva essere una buona idea. E così, l’indomani, abbiamo chiamato un fotografo e lo abbiamo fatto. Ma non è un bacio alla francese, eh! […] Pensavamo che saremmo finiti su qualche giornale, sì. Ma mai che con quel bacio avremmo ottenuto la risonanza internazionale che poi invece c’è stata” (1).

Aiuti e Iardino riconobbero la superiorità di ciò che si vede direttamente su ciò che si ascolta o si legge. Per contrastare un pregiudizio ormai radicato puntarono sulla maggiore efficacia delle immagini rispetto alle parole. Meglio di tanti discorsi, il gesto portava alla conclusione voluta attraverso un ragionamento: se il pericolo di contagio fosse reale, come potrebbe un medico, per giunta uno specialista in malattie infettive, baciare sulle labbra una persona affetta da sindrome da immunodeficienza acquisita?

In qualche modo, nella loro azione s’ispirarono, consapevolmente o istintivamente, al caso invalidante o exemplum in contrarium (ne abbiamo parlato in un precedente articolo) (2), un argomento, “che – nella definizione di Chaïm Perelman e Lucie Olbrechts-Tyteca – impedisce una generalizzazione indebita dimostrandone l’incompatibilità con quello e che indica dunque quale sia la sola direzione ammessa per la generalizzazione” (3).

NOTE

(1) ALESSANDRA CORICA, “Rosaria Iardino: ‘Quel gesto / fu una vera rivoluzione / nel ’91 eravamo appestati”, in la Repubblica, 10 gennaio 2019, p. 19.

(2) “Il caso invalidante in pubblicità”, pubblicato l’8 ottobre 2018.

(3) CHAΪM PERELMAN, LUCIE OLBRECHTS-TYTECA, Trattato dell’argomentazione. La nuova retorica, Einaudi, 2013, p. 386.