Una forma di ethos: anche i politici hanno famiglia

Quando i politici raccontano fatti privati per assumere il carattere dei common men

Non passò certo inosservata l’assenza di Matteo Salvini al Quirinale per salutare la fine del 2018 (con replica nel 2019) con il Capo dello Stato. Rispetto a quello istituzionale, l’allora ministro dell’Interno privilegiò un impegno famigliare. Infatti così si giustificò in un social per una condotta, che a molti era sembrata uno sgarbo al Presidente della Repubblica: “Leggere i giornali è uno spasso. ‘Salvini ieri non era ad ascoltare prima Conte e poi Mattarella, chissà perché, sarà stato un segnale politico, chissà dov’era…’. Ero alla recita di Natale di mia figlia, coi suoi compagni di prima elementare: molto semplice, molto bravi tutti i bimbi e le maestre, non l’avrei persa per nulla al mondo. Due ore senza politica, si può??” (1).

Non fu la prima volta (e non sarà l’ultima) che un uomo politico si riferisse alla sua famiglia: nella fattispecie, chi ancora non lo sapeva, apprese che l’ex vicepremier aveva una bambina di sei anni. Si “mise in scena” dunque in qualità di common man e ricorse perciò a uno strumento retorico di ordine affettivo, l’ethos, ossia “il carattere che deve assumere l’oratore per accattivarsi l’attenzione e guadagnarsi la fiducia dell’uditorio”. In effetti “quali che siano i suoi argomenti logici, essi non hanno alcun potere senza questa fiducia” (2), che è possibile considerare quindi come una condizione preliminare per la persuasione.

Tuttavia, purtroppo, accade di doversi ripiegare nella sfera privata per ragioni più gravi, come una malattia della propria compagna della vita. Ne è prova una vicenda, che ebbe per protagonista Carlo Calenda. Qualche mese prima, il 7 settembre, l’ex ministro dello sviluppo economico aveva twittato: “Devo una spiegazione, ora che [la questione] ILVA è chiusa, ai tanti che chiedono perché non vado alle feste dell’Unità o a incontri sul territorio. Mia moglie ha avuto una recidiva della Leucemia ed è in ospedale per trapianto. Seguo i tre bimbi e lei e non posso allontanarmi da Roma”. In un successivo messaggio espresse una grande ammirazione nei suoi confronti, rispondendo a un giudizio di un lettore (“Dietro un grande uomo c’è sempre una grande donna”): “Nel mio caso davanti. Viola vale dieci me. Quando una persona sotto chemio ablativa e in isolamento totale riesce a controllare compiti e lavaggio dei denti dei figli via Skype (anche perché non si fida del marito) siamo su un altro pianeta” (3).

In seguito, riguardo a un momento della routine con i suoi bambini (5, 9 e 12 anni),  commentò: “Quando la domenica sera scopri che dovevano fare: ricerca con foto (stampante rotta) su Carlo Magno, Inglese, Matematica e ti hanno detto ‘papà non ho compiti’ mentre la piccola negozia come un delegato USB x andare a letto. Gestire 3 figli è più duro di 4 Ministeri. È ufficiale” (4).

In Italia, nell’uso di una simile strategia d’immagine, consistente nel rappresentarsi come individuo comune, un abilissimo precursore è stato sicuramente Silvio Berlusconi. Da presidente del Consiglio, ebbe la possibilità di trattare della sua quotidianità di padre, grazie alle cosiddette “conversazioni al caminetto”, realiz­zate da Livio Zanetti per il Giornale Radio di Rai Uno. Nella prima di tali interviste, trasmessa il 19 settembre 1994, ricordò l’inaugura­zione dell’anno scolastico del suo figlio più piccolo, alla quale aveva partecipato due giorni prima: “È stata una cerimonia toccante […]: i bambini stanno con i genitori in platea, sul palco sfilano tutti i ra­gazzi delle altre classi e tutti presentano un omaggio, una canzone, una poesia ai nuovi compagni che, per la prima volta, entrano nella scuola; poi il maestro racconta una favola, che è un po’ una parabola di quello che succederà nella scuola, e chiama i nuovi alunni per no­me. Questi, uno ad uno, si distaccano dai genitori con due ragazzi delle scuole superiori che li prendono per mano, consegnando un mazzo di fiori ed un regalo e vengono portati al maestro che saluta e presenta loro gli altri compagni e formano per la prima volta la squa­dra della prima classe. Con tanti auguri per una fase importante della loro vita, che non ha mancato di inumidire le ciglia di tutti i genitori, me compreso naturalmente”.

Nel programma del 26 settembre, sostenne la necessità di non abbandonare i bambini davanti al televisore e ne approfittò per disegnare un quadretto famigliare: “L’altra sera, con i miei figli, dopo tanto tempo, ho equamente diviso la serata nella visione della televisione, di cartoni animati di qualità, nel racconto di una fiaba che ho letto, anche suscitando commenti ed osservazioni. Poi, bisogna che ci sia un rapporto creativo e così, l’altra sera, ci siamo esercitati su una poesia molto graziosa, credo sia di Palazzeschi, con la gara, tra tutti i bambini, per vedere chi la imparava prima e, alla fine, l’ho imparata anch’io”.

Un evento rilevante è il compleanno. L’allora capo del governo ne rammentò uno, di pochi giorni prima, nella conversazione del 3 ottobre: “Abbiamo festeggiato, mio figlio Luigi ed io. Mio figlio Luigi ha sei anni, io naturalmente qualcuno di più. Mio figlio mi ha sfidato a spegnere, con una soffiata, le mie candeline e quindi ho fatto ricorso alla tecnica e all’esperienza, sono andato prima in cucina, ho fatto disporre le sue, tre da una parte e tre dall’altra e ho compattato le mie 58. Alla fine mio figlio è riuscito a spegnere le sue in una volta sola, perché ha polmoni efficienti, ma anche il vecchio paralitico papà non ha fatto cattiva figura perché in un sola soffiata […] ho spento le mie 58 candeline” (5).

Ecco come parlò della festa di San Silvestro e di Capodanno: “Ho cenato e festeggiato l’arrivo dell’anno nuovo con la famiglia e due carissimi amici. Dopo il brindisi, all’una sono andato a dormire con i miei figli” e “Certo per me [l’anno nuovo] è incominciato bene, con una giornata dedicata interamente alla famiglia, a mia moglie e ai miei figli che avevano voglia di fare un’indigestione di papà” (La Repubblica, 2 gennaio 1995, p. 2).

Berlusconi, soffermandosi sul suo ruolo di papà, utilizzò uno stile di comunicazione, che uno studioso ha definito “espansivo, colloquiale, affabile, socievole, poco riservato, franco, estroverso”, con il quale “il tipo aperto parla volentieri di sé” e perciò “viene percepito come attraente e affidabile” (6).

La dimensione dell’intimità domestica è, per il fondatore di Forza Italia, considerevole a segno che irrompe, qualora ce ne sia l’occasione, perfino in un abboccamento politico. In proposito Marco Follini ha rivelato un episodio, che risale al 2001: “Vado a Palazzo Chigi a trovarlo, lui era stato appena nominato presidente del Consiglio, io ero diventato segretario dell’Udc. Evidentemente dimentico di silenziare la suoneria del telefonino, che a un certo punto inizia a squillare. Ero mortificato, non sapevo cosa dire. Era mia figlia, Berlusconi mi disse ‘passamela!’ e inizia a parlarci. ‘Allora’, le dice simulando che mi fossi allontanato, ‘papà adesso non ci sente e puoi parlare tranquillamente. Ma tu le fai le coccole a papà quando torna a casa la sera?’. Mia figlia, che anche da bambina era decisamente più misurata, tipo me, credo rispose un mezzo sì poco convinto. Berlusconi, in cui vidi una punta di commozione, chiuse la telefonata così: ‘Fagliele le coccole a papà quando torna stanco la sera a casa, lui sarà contento. La mia gioia più grande è quando torno a casa e i miei figli mi fanno le coccole. Adesso è tornato papà, te lo ripasso’” (7).

Massimo D’Alema, per assumere il carattere di common man, prese spunto da una domanda sulla questione dell’assistenza sanitaria: “Vi posso dire una cosa. Mia moglie ha partorito due volte. Tutte e due in un ospedale pubblico, al San Camillo di Roma, in corsia. Erano parti che presentavano un certo rischio. Eppure non ci è venuto neppure in mente di rivolgerci alle cliniche private. Sono convinto, infatti, che la Sanità pubblica non sempre funziona male”. E così rispose all’insinuazione sulla possibilità di un trattamento privilegiato: “Mia moglie si presenta abitualmente come Linda Giuva e non come la signora D’Alema. Quando è andata a partorire in ospedale non ero nemmeno presente: mi trovavo fuori per un comizio. Una nostra vicina di casa si è offerta per accompagnarla al San Camillo in taxi. Io mi sono presentato il giorno dopo con un mazzo di fiori, andandola a trovare in corsia do­po che aveva partorito” (Gente, 4 aprile 1996, p. 9).

In una diversa circostanza, in tale maniera accolse un giornalista: “Ho il bambino con la febbre, la bambina da passare a prendere da un’amichetta, mia moglie a Bolzano per un corso d’aggiornamento, mia madre che non può venire e la baby sitter che non può fermarsi: possiamo rinviare l’intervista a domani?”. E l’intervistatore, interpretando il pensiero dei lettori, non poté fare a meno di commentare: “L’avesse studiata a tavolino, Massimo D’Alema non poteva inven­tarsi una ‘ouverture’ migliore. Eccolo là, il potente segretario del PDS alle prese coi problemi di un ragioniere. Il perfido inventore di velenosi sarcasmi teneramente in pena per il figlioletto” (Sette, supplemento del Corriere della Sera, 28 dicembre 1995, p. 14).

Silvio Berlusconi mostrò l’apprensione, ti­pica dei genitori, scusandosi con queste parole per l’interruzione di un’intervista a causa di una telefonata: “Da quando mio figlio è stato male, ogni volta che mia moglie chiama, mi spavento”. I giornalisti aggiunsero come chiarimento: “Si riferiva al malore del suo bambino Luigi, 7 anni, tre sere prima. Il piccolo ha avuto un attacco d’asma. Berlusconi e la moglie, spaventatissimi, lo hanno portato all’Ospedale San Raffaele di Milano. È andato tutto bene. Ma, come accade a ogni genitore che affronta con freddezza l’emergenza dei figli, dopo, quando tutto è finito, si crolla e rimane lo spavento” (Gente, 18 aprile 1996, p. 4).

In un’analoga situazione si trovò Barack Obama: “Una notte di cinque anni fa, Michelle e io fummo svegliati dal pianto della nostra figlia più piccola, Sasha. All’epoca aveva solo tre mesi, quindi non era insolito che si svegliasse nel cuore della notte, ma qualcosa nel modo in cui piangeva e nel suo rifiuto di essere tranquillizzata ci preoccupò. Chiamammo infine il nostro pediatra, il quale acconsentì a riceverci nel suo studio alle prime luci dell’alba. Dopo averla visitata, dichiarò che poteva trattarsi di meningite e ci mandò immediatamente al pronto soccorso. Si scoprì che Sasha aveva proprio la meningite, benché in una forma che rispondeva agli antibiotici per endovena. In mancanza di una diagnosi tempestiva, la bambina avrebbe potuto perdere l’udito o forse perfino morire. Michelle e io passammo tre giorni all’ospedale guardando le infermiere che tenevano la nostra bambina ferma mentre un medico le praticava una puntura lombare, ascoltando i suoi strilli, pregando che non peggiorasse. Ora Sasha sta bene, è sana e felice come dovrebbe essere ogni bambino di cinque anni. Tuttavia rabbrividisco ancora quando ripenso a quei tre giorni: come il mondo per me si fosse ristretto in un unico punto e come non fossi interessato a nulla e a nessuno all’infuori delle quattro pareti di quella stanza d’ospedale… né al mio lavoro, né ai miei impegni, né al mio futuro” (8).

Con un tono assolutamente opposto, così l’allora senatore americano evidenziò il divario tra la soddisfazione per un successo parlamentare e l’esigenza di affrontare un problema domestico, come un qualsiasi capo famiglia: “Un giorno di febbraio ero particolarmente di buonumore, al termine di una seduta su una legge mirata a ridurre la proliferazione di armamenti e il mercato nero delle armi, proposta da me e da Dick Lugar […] Le prospettive per la proposta di legge sembravano promettenti. Desideroso di condividere le buone notizie, chiamai Michelle dal mio ufficio di Washington e cominciai a spiegarle l’importanza della proposta […] Michelle mi interruppe. ‘Abbiamo le formiche’. ‘Come?’. ‘Ho trovato formiche in cucina e nel bagno al piano di sopra’. ‘Davvero?…’. ‘Devi comprare del veleno per formiche mentre torni a casa, domani. Lo prenderei io, ma dopo la scuola devo portare le bambine all’appuntamento col medico. Puoi farlo tu?’. ‘Va bene. Veleno per formiche’. ‘Veleno per formiche. Non dimenticarti, caro. Senti, devo andare a una riunione. Ti amo’. Riappesi il ricevitore, chiedendomi se Ted Kennedy o John McCain comprassero veleno per formiche tornando a casa dal lavoro” (9).

E una single senza prole può riferirsi alla sua vita casalinga? Sì. Lo dimostra una rivelazione di Alexandria Ocasio-Cortez, una delle sorprese del Partito democratico nel voto di mid term del 2018: “Sono così impegnata da non avere nemmeno il tempo di fare il bucato. Ma proprio quando non avevo più niente da mettere, si avvicina un’attivista con un pacco e mi dice: ho trovato questo fantastico abito usato, ti starà bene. Ed era proprio quel che mi serviva”.

Una caratteristica della giovane deputata, iscritta ai Democratic Socialists of America (la corrente guidata da Bernie Sanders), è la semplicità: non devono essere molte le sue colleghe che indossano vestiti di seconda mano. Inoltre ama ricordare la sua “storia di portoricana del Bronx che alla morte del padre interrompe gli studi, si mantiene servendo ai tavoli, fa attivismo” e dunque le sue umili origini: “Da dove vengo io, il codice postale determina il destino. Donne come me non è previsto che corrano per il Congresso”, “L’America non è grande perché una persona ricca e privilegiata può fare politica, ma perché anche una bambina nata povera può diventare quel che vuole”, “Credo che per Trump sia davvero insopportabile che una donna, giovane e figlia di una collaboratrice domestica stia contribuendo alla battaglia per accedere ai suoi documenti finanziari. Al danno si aggiunge la beffa” (10).

È possibile mutuare dalla linguistica l’espressione “commutazione di codice” per indicare un cambiamento di tematiche: dalle politiche alle personali. Erving Goffman ha parlato di “rapida rappresentazione di un ruolo nell’ambito della più estesa esecuzione di un altro” (11).

Sul piano letterario il fenomeno si verifica nel romanzo I Promessi Sposi. Infatti nel passaggio dalla prima alla seconda parte del capitolo XI si narra di un bambino, che è presumibilmente il figlio dell’autore: “Ho visto più volte un caro fanciullo, vispo, per dire il vero, più del bisogno, ma che, a tutti i segnali, mostra di voler riuscire un galantuomo; l’ho visto, dico, più volte affaccendato sulla sera a mandare al coperto un suo gregge di porcellini d’India, che aveva lasciati scorrer liberi il giorno, in un giardinetto. Avrebbe voluto fargli andar tutti insieme al covile; ma era fatica buttata: uno si sbandava a destra, e mentre il piccolo pastore correva per cacciarlo nel branco, un altro, due, tre ne uscivano a sinistra, da ogni parte. Dimodoché, dopo essersi un po’ impazientito, s’adattava al loro genio, spingeva prima dentro quelli ch’eran più vicini all’uscio, poi andava a prender gli altri, a uno, a due, a tre, come gli riusciva”.

È completamente condivisibile quanto osservato da Elena Sala Di Felice: “Colui che racconta intende […] presentarsi nelle vesti del narratore degno di fiducia”. Perciò “abbozza un profilo di sé nelle vesti accattivanti del padre di famiglia” (12).

Talora chi si dedica professionalmente all’attività politica e specialmente chi ricopre un incarico di governo, lamenta di non poter stare più a lungo con i propri cari a causa dei numerosi impegni. Così Silvio Berlusconi rispose a una domanda sul privato nel corso della prima delle sue “conversazioni al caminetto”, trasmessa il 19 settembre 1994: “In verità resta un tempo ab­bastanza ridotto, il sabato e la domenica; e naturalmente non tutti i sabati e non tutte le domeniche. Per illustrare la situazione le cito il finale di un tema di mia figlia Barbara: ‘Quest’anno è stato un anno di grandi cambiamenti della mia famiglia: mia sorella Eleonora ha cambiato pettinatura, mio fratello Luigi ha cambiato i denti, mio pa­dre è diventato Presidente del Consiglio ed io sono diventata una po­vera orfana’” (13).

Durante la campagna per le elezioni del 21 aprile 1996, il leader di Forza Italia confidò: “Io non vado a feste, al ristorante. Lavoro come un forsennato e dedico alla famiglia le rare ore che riesco a recuperare” (Corriere della Sera, 19 marzo 1996, p. 5).

Anche Massimo D’Alema, parlando con un giornalista, apparve amareggiato, perché spesso era costretto a trascurare i suoi bambini: “Sono un papà che si ferma agli autogrill a comprare giocattoli per farsi perdonare” (Sette, sup­plemento del Corriere della Sera, 28 dicembre 1995, p. 14).

In qualche modo sembra che entrambi abbiano voluto seguire un suggerimento dell’oratore e politico romano Marco Antonio (143 – 87 a.C.): “Perché una posizione sicura e brillante non può non suscitare l’invidia, bisogna sforzarsi perché sia abbassato il concetto di fortuna, mostrando che questa fortuna, che tiene un posto tanto alto nell’opinione degli uomini, è congiunta a travagli e miserie” (14).

Ne deriva il ricorso a una fallacia, ossia un’“argomentazione credibile ma logicamente viziata e quindi falsa” (Vocabolario on line Treccani), costituita dall’impiego dell’argomento ad misericordiam, consistente in un appello alla pietà. Il suo uso, come ha ricordato Franca D’Agostini, “non è mai risparmiato da Berlusconi, che mira sistematicamente a suscitare condivisione nei cittadini mostrando che lui, ricchissimo, è come chiunque di noi: ‘Mi sento solo’, detto in televisione il 29 settembre 2009, ‘Io sono un perseguitato politico e sono costretto a difendermi’, ‘Io soffro da morire a fare il presidente del Consiglio. Soffro dalla mattina alla sera. E anche di notte’, ‘Faccio una vita grama. La mia è una vita di tanti sacrifici, di tante incomprensioni, di tanti nemici che ti insultano’” (15).

In un’interazione in cui sono coinvolti individui di prestigio diverso, solitamente è il più modesto a compiere azioni di ri-allineamento. Al contrario, nella relazione fra l’uomo politico e il suo pubblico avviene per iniziativa del primo, in quanto è suo interesse che il secondo si senta “su di un piano di maggiore uguaglianza”. Rinunciando all’esclusivismo delle posizioni di vertice, si pensa pure di poter sollevare il morale di quelli che si trovano ai livelli più bassi. Più precisamente, si attua una permuta. Come ha rilevato Erving Goffman, “il superiore riceve un servizio o un bene mentre il subordinato riceve un’indulgente concessione di intimità” (16).

Nell’ambito della politica una simile esperienza coinvolge un elevato numero di persone ed è quindi più efficace rispetto alla pratica del più rischioso voto di scambio, cioè della distribuzione di favori, più o meno leciti, in cambio di suffragi.

NOTE

(1) Facebook.com/salviniofficial, 19 dicembre 2018, alle ore 23:16. L’azione è stata replicata nel 2019.

(2) Olivier Reboul, Introduzione alla retorica, Il Mulino, 1996, pp. 21 e 69.

(3) Twitter.com/carlocalenda/status/1038305896340901888, 7 settembre 2018.

(4) Twitter.com/carlocalenda/status/1043939464110907392, 23 settembre 2018.

(5) Le “conversazioni al caminetto” sono riportate in PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, DIPARTIMENTO PER L’INFORMAZIONE E L’EDITORIA (a cura di), “Governo Berlusconi. Sette mesi di attività”, in Vita italiana, n° 8-12, agosto-dicembre 1994. I passi citati si trovano nelle pp. 310, 312, 325.

(6) Robert Norton, Communicator style: theory, applications and measures, 1983, citato in Luisella De Cataldo Neuburger, Guglielmo Gulotta, Sapersi esprimere. La competenza comunicativa, Giuffrè, 1991.

(7) Riportato in 7-Corriere della Sera, 9 ottobre 2020, p. 31.

(8) Barack Obama, L’audacia della speranza. Il sogno americano per un mondo nuovo, Rizzoli, 2007, p. 192.

(9) Barack Obama, op. cit., pp. 328-329.

(10) la Repubblica, 6 novembre 2018, p. 3; Huffpost, 6 marzo 2019; la Repubblica, 23 marzo 2019, p.56.

(11) Erving Goffman, Forme del parlare, Il Mulino, 1987, p. 215

(12) Elena Sala Di Felice, Costruzione e stile nei Promessi Sposi, Liviana, 1977, p. 63.

(13) PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, DIPARTIMENTO PER L’INFORMAZIONE E L’EDITORIA (a cura di), op. cit.

(14) M. Tullio Cicerone, Dell’oratore, libro II, in Opere retoriche, a cura di G. Norcio, Utet, 1976, p. 357. Nel testo, dedicato al fratello Quinto, Cicerone riporta un dibattito sull’oratoria, al quale parteciparono, fra il 5 e il 12 settembre del 91 a. C., L. Licinio Crasso, M. Antonio, Q. Mucio Scevola, P. Sulpicio Rufo e C. Aurelio Cotta.

(15) Franca D’Agostini, Verità avvelenata. Buoni e cattivi argomenti nel dibattito pubblico, Bollati Boringhieri, 2010, p. 123.

(16) Erving Goffman, La vita quotidiana come rappresentazione, Il Mulino, 1969, pp. 226-228.