Virginia Raggi, la parte (Raffaele Marra) il tutto (23 mila dipendenti comunali)

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di Giorgio Matza

In un precedente articolo abbiamo parlato dell’argomento dell’inclusione della parte nel tutto, che consiste nel riconoscere la maggiore importanza dell’insieme in confronto alle sue componenti, giacché le seconde sono comprese nel primo.

Lo spunto ci è stato offerto da una riflessione di Papa Francesco, il quale invitava a privilegiare ciò che unisce e non ciò che divide: <Quando i cristiani sono perseguitati e uccisi, lo sono perché sono cristiani e non perché sono luterani, calvinisti, anglicani, cattolici o ortodossi. Esiste un ecume­nismo del sangue>.

Abbiamo anche visto come nella comunicazione politica si ricorra a un ragionamento fondato sulla preponderanza del tutto sulla parte magari per fini meno nobili rispetto a quelli perseguiti dal Santo Padre (1).

Recentemente, in occasione dell’arresto per corruzione di Raffaele Marra, capo del personale del Comune di Roma e in precedenza vice del capo di gabinetto della sindaca Virginia Raggi, quest’ultima tra l’altro ha dichiarato, utilizzando evidentemente la tecnica argomentativa di cui stiamo nuovamente trattando: <Il dottor Marra, come ho sempre detto, è uno dei 23.000 dipendenti dell’amministrazione capitolina> (2).

Sicuramente il suo obiettivo era quello di minimizzare le proprie responsabilità nella scelta di uno stretto collaboratore, rivelatosi inadatto. A tale scopo ha tentato di ridimensionarne la figura, di sminuirne l’importanza, di ridurlo a uno dei tanti stipendiati comunali romani, uniformando così le varie categorie professionali. Tuttavia non si può improvvisamente dimenticare che fra un dirigente, oltretutto considerato l’eminenza grigia del Campidoglio e, per dire, un usciere esiste una certa differenza.

La dichiarazione di Virginia Raggi contiene anche un’autocitazione (<come ho sempre detto>), una tecnica discorsiva con la quale si cerca di dare un’idea della costanza delle proprie opinioni e dunque di trasmettere un’impressione di stabilità.

Secondo Sandra Cavicchioli, <in generale l’uso di segnali anaforici riferentisi a un già detto crea un effetto di continuità e quindi di coerenza, […] sempre funzionale ai fini delle strategie di credibilizzazione> (3).

Nell’impiego dell’argomento dell’inclusione della parte nel tutto una particolare intensità espressiva ha raggiunto Bill Clinton. Commentando un risultato delle elezioni primarie democratiche del 1992, osservò: <Ho subito dei duri colpi in questo Stato, ma non sono niente rispetto ai colpi che ho visto subire da certa gente qui in New Hampshire, dalle mie parti in Arkansas, in tutta l’America> (4).

Tale affermazione presenta una certa affinità con quanto disse Edward Kennedy, intervenendo alla Convention nazionale democratica del 1980 a New York: <Certo, abbiamo subito sconfitte; ma il dolore di queste sconfitte è di gran lunga inferiore al dolore della gente che ho incontrato>.

Inoltre ricordò <le parole di Tennyson che i miei fratelli hanno citato e amato – e che in questo momento hanno per me un significato speciale: “Sono parte di tutto ciò che ho incontrato”>.

Infine concluse: <Per me, qualche ora fa, è finita la campagna. Per tutti coloro le cui speranze sono state riposte nel nostro impegno, il lavoro va avanti, la causa resiste, la speranza è sempre viva e il sogno non morirà mai> (5).

 

NOTE

(1) <Papa Francesco, la parte per il tutto>, pubblicato il 29 novembre 2016.

(2) Sky Tg 24, 16 dicembre 2016.

(3) SANDRA CAVICCHIOLI, <Processi in televisione>, in PIER PAOLO GIGLIOLI, SANDRA CAVICCHIOLI, GIOLO FELE, Rituali di degradazione. Anatomia del processo Cusani, Il Mulino, 1997, p. 107.

(4) Riportato in ALBERTO CATTANEO, PAOLO ZANETTO, Elezioni di successo. Manuale di marketing elettorale, Etas, 2003, p. 278.

(5) Riportato in MARIO RODRIGUEZ, Una parola vale più di mille immagini, in sito web.