Vocabolario Normale-Retorica Retorica-Normale

 

Parlare fuor di retorica. Facciamo un esperimento con Flavia Trupia. Guarda il video

Come sarebbe il mondo senza retorica? La parola gode di pessima fama. Si dice che l’arte della persuasione si usa quando non si ha nulla da dire, quando si vuole gonfiare il discorso o quando si vuole imbrogliare qualcuno.

Ma come sarebbe il mondo senza retorica? Secondo alcuni sarebbe migliore. Tutto chiaro, tutto semplice: niente doppi sensi, zero ambiguità, no fumo negli occhi. Finalmente si parlerebbe chiaro: pane al pane, vino al vino. Però questa è una figura retorica…

Si potrebbe fare un esperimento: scrivere un vocabolario: Retorica-Normale, Normale-Retorica, per capire se siamo davvero pronti a rinunciare all’arte del dire.

“Dobbiamo mettere in atto un progetto di uguaglianza tra i cittadini americani di origine africana e quelli di origine europea”.

Questo è Martin Luther King in versione normale. Senza nemmeno un grammo di retorica. Semplice, chiaro, pulito.

“Io ho un sogno. Che un giorno, sulle rosse colline della Georgia, i figli di coloro che un tempo furono schiavi e i figli di coloro che un tempo possedettero gli schiavi, sapranno sedere insieme al tavolo della fratellanza”. Decisamente meglio così!

Forse però è sbagliato prendere in considerazione uno dei discorsi più belli e famosi di sempre. Meglio provare con un altro esempio.

“Il continente europeo è diviso in due: da una parte ci sono i Paesi democratici; dall’altra ci sono i paesi controllati dall’Unione Sovietica”.

È la traduzione in versione “normale” delle parole pronunciate da Winston Churchill in un discorso del 1946, all’alba della Guerra Fredda. Oddio, ecco che emergono altre figure retoriche: una catacresi e un ossimoro… Il discorso vero suonava così:

“È mio dovere porre davanti a voi certi fatti al riguardo dell’attuale situazione in Europa. Da Stettino sul Baltico a Trieste sull’Adriatico, è scesa sul continente europeo una cortina di ferro”.

La metafora “cortina di ferro” è passata alla storia. Impossibile trovare un altro modo per definire quel periodo e quella situazione con la stessa potenza, la stessa sintesi e la stessa chiarezza. Proviamo con un altro esempio.

“Essere sempre contro le minoranze sociali è un fatto sul quale non sono assolutamente d’accordo”.

È un modo per tradurre, in italiano corretto, quello che ha dichiarato Simone di Torre Maura, quartiere alla periferia di Roma. Un ragazzo di 15 anni che, nel 2019, si oppone alle proteste di Casapound contro l’accoglienza in una struttura del quartiere di 75 cittadini di origine Rom.

“Bisogna andà sempre contro le minoranza. A me nun me sta bene che no!”. Queste sono le vere parole di Simone. Non è un italiano perfetto. Ma chi lo ha detto che la perfezione comunica meglio dell’imperfezione?

Proviamo con questa. Chiara e semplice. Niente giri di parole:

“Amate i vostri figli e dite loro che il papa gli vuole bene”.

Ecco la versione in “lingua originale”: “Tornando a casa, troverete i bambini. Date loro una carezza e dite: Questa è la carezza del Papa. È il Discorso della Luna di Papa Giovanni XXIII del 1962.

La retorica fa fare boom al discorso. Le figure retoriche sono i tuoni nella notte. Creano quelle immagini che si fissano per sempre nella nostra mente. Danno vita, chiarezza, colore al nostro linguaggio. Siamo sicuri che vogliamo rinunciare a tutto questo e parlare come le istruzioni della lavatrice? Aprire l’apposito cassettino, versare il detersivo, chiudere il cassetto, avviare con il pulsante start.

Vogliamo davvero rinunciare al colore del linguaggio e far sbiadire per sempre le nostre parole?